Il Canada mostra al mondo intero che la convivenza con le minoranze è possibile. Uno studio sul suo modello federale

11 ottobre 2019
Intervista Open Society off
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Il costituzionalismo canadese, nelle sue diverse forme, ha oggi superato i 150 anni dalla nascita della Confederazione. Secondo lei, per quale motivo il suo modello federale sta registrando una forte influenza, diventando sempre più popolare anche per molti Stati europei?

Il modello federale canadese ha acquisito i suoi tratti peculiari soprattutto a partire dal 1982, quando lo Stato canadese ha potuto, in qualche misura, ripatriare la Costituzione che prima era semplicemente un dominio del Regno Unito. Forse il tratto principale del modello consiste nella capacità di tenere insieme culture, minoranze, ordinamenti tanto diversi tra loro, in modo da dar conto nei processi di rappresentanza delle diversità, senza disconoscere l’esistenza di ordinamenti e minoranze forti, territorialmente localizzate, e da cercare di incorporarle nei processi decisionali. Questo sia a livello politico, quindi a livello intergovernativo nei rapporti tra governo federale e governi provinciali, sia anche a livello giudiziario, perché non bisogna dimenticare che il Québec ha un ordinamento che appartiene a una famiglia giuridica diversa, quella del Civil Law (tant’è vero che, per esempio, il Québec è l’unica provincia che può esprimere all’interno della Corte Suprema canadese tre giudici, quindi ha una garanzia di rappresentanza specifica). In qualche misura, anno dopo anno, nonostante le rivendicazioni che a partire dagli anni ’70 in poi sono provenute specialmente dal Québec rispetto alle politiche del Governo federale, l’autonomia di questa provincia è stata presa in considerazione in modo molto forte, anche cercando di venire incontro alla serie di forti rivendicazioni che il Parti Québécois ha avanzato nel corso degli anni. L’influenza del modello canadese anche nel contesto europeo si evince dal fatto che anche gli Stati europei a carattere federale e regionale stanno diventando sempre più asimmetrici e sempre più plurali, con presenza di forti minoranze geograficamente localizzate, e quindi anche per gli Stati europei si pone una serie di sfide che il Canada a partire dagli anni ’70 ha cercato di gestire anche attraverso politiche multiculturali che hanno fatto leva sulla natura federale del sistema. Per cui molti Stati, tra cui per esempio il Belgio e la Spagna, guardano al Canada con un certo interesse proprio per la capacità di gestire in modo pacifico i claim portati avanti dalle minoranze presenti non solo in Québec. In Canada, ad esempio c’è il problema dei nativi che dopo anni di persecuzioni, sono ora ufficialmente riconosciuti e tutelati dalla Costituzione. In definitiva, possiamo dire che il sistema canadese è riuscito in quello in cui molti falliscono: ha creato un modello di convivenza pacifica.

Per quale motivo il tentativo di secessione del Québec è stato un rischio per il sistema federale?

Il caso del Québec spiega perfettamente la capacità di tenuta del sistema federale. Le secessioni sono un elemento non solo perturbativo, ma potenzialmente di disgregazione delle entità federali e non. Normalmente c’è una pregiudiziale delle Costituzioni contro le secessioni: o non sono proprio riconosciute, oppure, se la possibilità di secessione viene garantita, vengono quantomeno incanalate entro procedure specifiche molto complesse da seguire. Nel caso del Canada, la Costituzione – sia il British North America Act del 1867 sia la Costituzione più recente del 1982 – nulla dice a proposito di questo, ma il fatto che taccia sul rischio di secessione non significa che non ci sia una soluzione che si può enucleare in questi casi. Ci sono stati due tentativi molto forti di secessione del Québec rispetto al resto della federazione, uno nel 1980 e uno più recente nel 1995. In entrambi i casi i referendum che sono stati indetti in Québec sono falliti, ma la Corte suprema canadese ha dato una risposta molto importante alla domanda che il governo centrale poneva, è cioè se la possibilità di procedere unilateralmente alla secessione fosse costituzionalmente possibile. La Corte Suprema canadese, che poi è stata presa a modello in questo giudizio di reference da tante altre Corti, ha affermato che la secessione unilaterale non è costituzionalmente possibile, ma che non si può escludere interamente la possibilità di secessione, bensì dev’essere proceduralizzata: ci deve essere una chiara maggioranza che si esprime su una questione chiara, non ambigua, e qualora questa maggioranza sia favorevole alla secessione le altre parti della Federazione (quindi non solo il governo centrale ma anche le altre province) hanno il dovere costituzionale di negoziare con l’entità che vuole secedere, o per meglio dire cercare di venirgli incontro politicamente, di riconoscerla, di fare in modo che le altre parti non neghino che ci sia un problema di secessione in atto.

Naturalmente questo dipende molto dal tipo di Costituzione che viene adottata: la Costituzione canadese è piuttosto breve, non scende nel dettaglio, ma ha comunque dei principi supremi che vanno rispettati, come quello del federalismo o della protezione delle minoranze (e la Corte Suprema canadese ha fatto leva su questo, sul fatto che ci sono delle minoranze che hanno dei claim che è giusto tenere in considerazione). Viceversa, negli ordinamenti europei le Costituzioni sono molto più articolate e molto più rigide, ad esempio spesso ci sono principi supremi che impediscono modifiche stesse della Costituzione, cioè che non si possa più rendere lo Stato indivisibile e unitario. Questo però è un problema che in Luiss ci proporremo di indagare, perché è stato recentemente vinto un PRIN (Progetto di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale) proprio sul tema delle applicazioni costituzionali dei separatismi europei, e quindi cercheremo di tenere conto dei separatismi europei e non solo per capire quale risposta costituzionale si può dare al problema.

Analizzando la composizione e dei poteri del Senato del sistema federale Canadese: quali sono le principali ragioni che la portano a considerare questa istituzione come un elemento problematico per il funzionamento di una confederazione?

Normalmente, uno degli elementi per identificare una forma di Stato come composta (federale o meno), è proprio la rappresentanza delle entità federate, cioè delle Regioni o degli Stati membri, all’interno della seconda Camera, in modo che queste regioni possano partecipare al processo legislativo federale o comunque alle decisioni federali, inclusa anche la modifica della Costituzione, quindi del patto federale. In diversi ordinamenti però notiamo che si creano una serie di problemi con la rappresentanza delle regioni nella Seconda camera, che vengono poi ad essere indirizzati con meccanismi ulteriori. Nel caso canadese il Senato anziché essere composto da rappresentanti delle varie province ricalca il modello della Camera dei Lord, in qualche modo, quindi si tratta di sentori nominati dal primo ministro tramite il Governatore generale (a seconda di certi requisiti di competenza, di un certo livello di età massima raggiungibile), per cui loro una volta nominati esprimono in realtà il partito politico dalle cui fila provengono, piuttosto che la provincia di residenza; ciò ha fatto sì che in Canada anziché trovare una rappresentanza a livello federale attraverso il Parlamento, le Province sono rappresentate attraverso conferenze intergovernative, quindi attraverso ministri competenti per materia o primi ministri delle varie province e della federazione, che cooperano insieme sulle diverse politiche per trovare, quando necessario, delle soluzioni concordate, perché il compromesso politico nei rapporti tra province e federazione non riesce ad essere trovato in maniera efficace in Parlamento attraverso il Senato. Questo crea alcuni problemi perché naturalmente la rappresentanza parlamentare ha dalla sua la capacità di includere anche le minoranze politiche, cosa che invece a livello di primi ministri delle province e della federazione non può essere garantita. Pertanto, il Canada è ancora alla ricerca di un’efficace soluzione da questo punto di vista mentre in Europa ci sono modelli che hanno avuto forse più successo, tra cui per esempio la Camera federale tedesca o quella austriaca. In Italia guardiamo con interesse soprattutto al caso tedesco quando si è discusso di riforme costituzionali, ma nell’ultimo – poi fallito – referendum del 2016, si era trovata una soluzione quasi di compromesso tra il modello austriaco e il modello tedesco poi da sviluppare ulteriormente nella legge di attuazione. Ad ogni modo in Italia non guardiamo molto al modello canadese anche se abbiamo delle conferenze intergovernative che poi effettivamente cercano di fare ciò che il Parlamento non può fare nei raccordi tra regioni e Stato.

Cosa si intende per “asimmetria” dell’assetto federale canadese? Quale può essere considerato un “elemento chiave” di questa realtà?

Occorre precisare che la gran parte degli ordinamenti composti presenta comunque delle asimmetrie al suo interno, sia per quanto riguarda l’esercizio dei poteri legislativi, quindi su un novero di materie su cui le regioni possono legiferare, sia spesso sulle competenze amministrative, e addirittura sui poteri finanziari, quindi sulla capacità anche di imporre e di raccogliere tasse e tributi. Nel caso canadese, se si guarda il British North America Act in particolare, ma anche l’Atto costituzionale del 1982, apparentemente il sistema è abbastanza simmetrico quanto a poteri conferiti alle diverse province; spicca però, anche grazie a una serie di accordi intergovernativi ancora una volta, il caso del Québec che ha delle competenze specifiche differenziate rispetto alle altre province, per esempio in materia di politiche sociali, di tutela della salute ma anche di politiche pensionistiche e, più recentemente, di politiche di immigrazione, quindi una competenza che è anche molto importante per i rapporti poi con gli Stati Terzi, in cui il Parlamento del Québec ha una serie di poteri anche legislativi che le altre province non hanno e inoltre ha una autonomia impositiva ben superiore rispetto alle altre province, circostanza che ormai da anni genera una serie di malumori da parte soprattutto delle province dell’Ovest, che tradizionalmente erano poco popolate ma che negli ultimi decenni sono diventate invece un po’ anche il traino dello sviluppo produttivo del paese rispetto al governo centrale; quindi c’è questa tensione per cui un’autonomia specifica è riconosciuta anche come Nazione al Québec, che ha anche una sua Carta dei diritti fondamentali, cosa che altre province non hanno, ma non viene vissuta in modo molto positivo soprattutto dalle province economicamente più sviluppate. Queste dinamiche possiamo trovarle anche sia in Belgio, che in Spagna, dove la richiesta di rivendicazioni di nuovi poteri non solo da parte della Catalogna ma anche dei Paesi Baschi non vede favorevolmente le altre comunità autonome che invece nel corso degli anni hanno vissuto un processo di omogeneizzazione al rialzo delle loro competenze.

L’internazionalizzazione è di certo uno degli ingredienti fondamentali della Ricerca d’eccellenza: nella sua esperienza di giovane ricercatrice, quale ritiene sia effettivamente il valore aggiunto del frequentare Atenei diversi in diverse parti del mondo?

È un valore importantissimo, specie nell’ambito in cui io faccio ricerca che è il Diritto pubblico comparato: se non c’è una proiezione esterna, o comunque un interesse nel conoscere ordinamenti stranieri di prima mano e quindi facendo ricerca sul campo, è impossibile sviluppare la propria agenda di ricerca. Da questo punto di vista, fortunatamente, la Luiss offre moltissime opportunità, anche per i giovani ricercatori, attraverso una serie di programmi come l’International Chair Program di cui ho beneficiato negli anni passati.  Visto il mio interesse, almeno per una fase, rispetto al costituzionalismo nordico, ho avuto la possibilità di andare presso l’Università di Uppsala, presso l’Università di Copenaghen, prima ancora ho potuto svolgere un periodo di ricerca in Nuova Zelanda, presso l’Università di Wellington, nell’ambito di un progetto nel cui consorzio vi era anche la Luiss, progetto EUOSSIC. Questo mi ha interessato moltissimo ed è stato fondamentale per declinare in chiave non esclusivamente eurocentrica certi temi di ricerca. Ad esempio, fino a quel momento avevo studiato il principio di sussidiarietà, solo in ambito prettamente europeo, questa opportunità invece mi ha permesso di approfondire come si declina nell’ambito di altri processi di integrazione regionale e in una parte del mondo a me fino a quel momento sconosciuta.

Sicuramente è stato poi importantissimo anche per costruire dei rapporti accademici durati nel tempo, per costruire nuovi tipi di ricerca, per fare nuove application a livello internazionale ed europeo e per creare consorzi. Sono un bagaglio che mi porto dietro e che in effetti è fondamentale per sviluppare tutte le ricerche.

Canada as an “importer” and as an “exporter” of federal arrangements: A view from Europe

intervista a

Cristina Fasone è Ricercatrice (t.d.) in Diritto pubblico Comparato presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss


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