Così i mutamenti della popolazione italiana sono diventati un caso internazionale
21 gennaio 2020
“A 36 anni d’età, Valeria Morando, ex dipendente pubblica a Roma, oggi disoccupata, incarna un fenomeno sempre più raro a giudicare dalle statistiche demografiche: è una madre con più di un figlio”. Inizia così il reportage di Miles Johnson pubblicato sul Financial Times. Il quotidiano finanziario di base a Londra cita anche alcuni dei dati che rendono il nostro Paese un unicum al mondo: “Il tasso di fecondità dell’Italia è collassato a 1,32 figli per donna, molto sotto il livello di 2,1 figli per donna necessario a mantenere stabile la popolazione di un Paese. (…) Anche se questo riflette una tendenza in atto in tutto il mondo sviluppato, i demografi giudicano la situazione italiana particolarmente critica, considerati i fardelli dell’enorme debito pubblico e delle pensioni. Il risultato di questo collasso delle nascite significa che la popolazione italiana in età da lavoro sta diminuendo a un ritmo vertiginoso. L’anno scorso l’Italia ha registrato il più basso numero di nascite da quando il Paese si è unificato, nel 1861, secondo l’ISTAT. Con appena 440.000 neonati, meno della metà del numero degli Italiani che muoiono ogni anno, la popolazione si sta allo stesso tempo riducendo e invecchiando. Quasi il 23% degli Italiani oggi ha più di 65 anni d’età”.
Johnson poi riporta alcune considerazioni di Marco Valerio Lo Prete, autore insieme ad Antonio Golini del libro Italiani poca gente. Il Paese ai tempi del malessere demografico (Luiss University Press): “’In Italia spesso parliamo di ‘emergenza demografica’, ma in realtà siamo nel pieno di una crisi demografica conclamata che è in corso da 20 anni’, dice Marco Valerio Lo Prete, coautore di un libro sulla demografia italiana. (…) Lo Prete ritiene che il fattore determinante che sta dietro il basso tasso di fecondità del Paese non sia solamente l’economia anemica e l’elevata disoccupazione giovanile, ma piuttosto una sensazione generale – diffusa tra i giovani Italiani – che il loro futuro economico sia tetro e instabile. ‘Le persone comuni non sono degli economisti, non studiano tutto il tempo il rapporto tra debito pubblico e Pil, ma possono intuire che un imponente debito pubblico per il Paese implichi che ci saranno meno risorse per loro in futuro’, dice. ‘Correlazione non significa causalità, ma è interessante osservare che sia il Giappone sia l’Italia abbiano debiti pubblici molto elevati e tassi di fecondità molto bassi’”. Sul debito pubblico, insomma, influiscono i costi del welfare statale sempre più squilibrato per ragioni demografiche, ma allo stesso tempo questo debito pubblico crescente – associato a instabilità e incertezza future – condiziona le scelte di tante giovani famiglie al momento di mettere al mondo un figlio o un figlio in più.

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