In che circostanze il crowdsourcing impatta positivamente sulla performance finanziaria?
27 gennaio 2020
All’inizio del XVI secolo, il commercio tra l’Europa e le colonie americane e indiane era fiorente. I viaggi transoceanici, tuttavia, erano eccezionalmente pericolosi al momento, poiché non esisteva una metodologia affidabile per determinare la posizione esatta di una nave in mare aperto. Questo problema, definito il “Longitudinal problem” è stato risolto nella seconda metà del XVIII secolo. Sorprendentemente, la soluzione non venne da uno scienziato o da un ingegnere bensì da John Harrison, un orologiaio inglese della classe operaia che è stato sedotto dalla ricca ricompensa monetaria che il “Longitude Act” approvato dal parlamento britannico nel 1714 ha offerto a chiunque fosse in grado di risolvere questo problema. Questo resoconto rappresenta uno dei primi esempi di quello che oggi viene chiamato crowdsourcing, un fenomeno sempre più diffuso grazie agli sviluppi delle information technologies che permettono di interagire facilmente con individui da ogni parte del globo.
Il crowdsourcing è una forma particolare di Open Innovation (OI) che mira a stimolare la generazione di idee nei processi di innovazione tramite il coinvolgimento di crowd. A causa delle idiosincrasie che differenziano il crowdsourcing da altre forme di OI, come ad esempio il coinvolgimento di numerosi individui invece che poche entità esterne ai confini aziendali e l’assenza di dispute legali dovuta alla rinuncia sulla proprietà intellettuale delle idee inviata, i risultati della ricerca finora condotta circa l’impatto della OI sulla performance aziendale non possono essere estesi direttamente al crowdsourcing. Allo stesso modo, i risultati sull’effetto della R&D condotta internamente all’azienda sulla performance non possono essere applicati direttamente al crowdsourcing a causa della maggiore incertezza nel trattare con una folla di persone sconosciute al di fuori dell’organizzazione le cui idee devono essere valutate e infine elaborate internamente. L’impatto portato dal crowdsourcing sulla performance aziendale merita quindi dovuta attenzione.
La logica di fondo del crowdsourcing è che la crowd wisdom che deriva dalla partecipazione di un gran numero di individui esterni ai confini organizzativi dell’azienda aumenta la probabilità di ottenere extreme outcomes, ovvero idee innovative di alta qualità con un elevato potenziale commerciale. Tuttavia, il crowdsourcing comporta anche dei costi relativi all’organizzazione e la gestione delle online calls for ideas, e per la valutazione dei contributi raccolti che comporta l’impiego di numerose risorse aziendali. Pertanto, mentre sta crescendo l’interesse accademico e manageriale sul crowdsourcing ancora non è chiaro se e quando il crowdsourcing sia vantaggioso per le aziende. Basandoci sulla Resource Based View il nostro studio si basa sul ragionamento che la crowd può diventare una risorsa preziosa se l’impresa è in grado di creare ed estrarre valore da essa, così che in determinate circostanza i benefici del crowdsourcing possano superare i costi. Dato che risulta essere molto complicato separare l’effetto di singole decisioni e attività sulla performance globale delle aziende, per cercare di isolare l’apporto del crowdsourcing ci siamo focalizzato sul suo impatto sulla performance finanziaria. Difatti, assumendo l’efficienza dei mercati finanziari, ogni informazione riguardante nuove iniziative aziendali comporta una reazione positiva o negativa sul prezzo azionario, i.e. performance finanziaria, a seconda che ci si aspetti un effetto positivo o negativo per i profitti. In particolare, la domanda di ricerca che abbiamo esplorato nel nostro studio è stata: in che circostanze il crowdsourcing impatta positivamente sulla performance finanziaria?
Per contribuire a chiarire questo aspetto, abbiamo condotto un event study, i.e. analizzando le reazioni del mercato azionario agli annunci di campagna di crowdsourcing, per misurarne gli effetti nel lungo termine sui profitti aziendali. I risultati empirici del nostro studio mostrano che due fattori chiave di contingenza, vale a dire il valore del brand e le opportunità di investimento, determinano le condizioni al contorno che consentono alle aziende di creare ed estrarre valore dalla crowd, dando luogo a una reazione positiva del mercato azionario all’annuncio di una campagna di crowdsourcing. Mentre il valore del brand, misurato tramite l’Interbrand Brand Ranking stilato ogni anno consultabile gratuitamente, indica la capacità delle aziende di collezionare numerosi contributi dai quali più facilmente si possono estrarre extreme outcomes e quindi creare valore, le opportunità di investimento, misurate attraverso il dividend yield preso assieme agli altri dati finanziari dalla banca dati Thomson Reuters Eikon disponibile presso la biblioteca Luiss, indicano quante possibilità hanno le aziende di implementare effettivamente le idee di valore collezionate. Con questo studio quindi forniamo le prime evidenze che il crowdsourcing non è sempre benefico per la performance aziendale ma lo è solamente in determinate circostanze, cioè in presenza di elevati valore del brand ed opportunità di investimento. Oltre a contribuire alla comprensione del fenomeno, i nostri risultati forniscono anche ai manager indicazioni rilevanti per lanciare campagne di crowdsourcing che siano benefiche per la performance aziendali.
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