Benvenuti nell’era del verosimile. Perché la tecnologia ha compiuto la definitiva fusione tra reale e virtuale
31 gennaio 2020
Quando Zygmunt Bauman scriveva di una società liquida, aveva ben colto la nuova realtà sociale percepita dalla gente, tanto che i suoi libri sono diventati dei veri bestseller venduti in tutto il mondo. Anche quando affermiamo che le nuove tecnologie ormai ci definiscono meglio delle relazioni sociali ed economiche, intercettiamo un “comune sentire”, ci caliamo nella dimensione percettiva dell’individualismo liquido, “amorale”. Questa dimensione però si discosta sempre più da come le “cose” sono in realtà e da come si evolvono nella società contemporanea.
La tecnologia è una dimensione del sociale di cui tener in gran conto a seguito della rivoluzione informatica e comunicativa degli anni Novanta (già a metà anni Ottanta, per un’élite sparuta, quasi tutta californiana). Il senso di connessione – non i sogni, per ora utopici, d’intelligenza collettiva o inter-connettiva – è diventato un nostro istinto primario, che sistematicamente anteponiamo a situazioni e relazioni vis à vis. Il senso di connessione è ormai un sistema passante della nostra mente. È una traccia, una prova importante che per circa due miliardi di persone la fusione tra reale e virtuale sta partorendo una nuova mentalità.
L’affermazione di una nuova mentalità che usa tecnologie come protesi di empowerment individuale, però non comporta che altre dimensioni come quella morfologica a carattere socioeconomico o quella civica legata a diritti e doveri di cittadinanza si siano liquefatte. Sono scolorite, hanno perso valore in una visione olistica della società mondo. Sono meno percepite dagli individui perché nelle reti relazionali tecnologiche i fattori di contesto tendono a collassare, ma sono tutt’altro che non vissuti.
Sulla scia della visione weberiana, resta valida una visione multidimensionale della società mondo. L’individuo sociale è oggi attraversato da spinte economico-sociali, civico-istituzionali e tecnologiche mediante le quali imbastisce visioni morali e culturali, plurime e individuali. Il mondo guarda alla tecnologia come nuova potente trazione, driver di un nuovo ordine sociale.
Molte nostre relazioni sociali e civiche si sono dematerializzate, sono virtuali grazie alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie (NT) e al nostro compiacimento e rapimento nell’usarle. A esempio, se oggi la partecipazione politica dei cittadini sta evaporando, questo non è dovuto al fatto che i partiti politici hanno in modo arbitrario chiuso le sezioni, dove un tempo ci si recava per informarsi e discutere. Piuttosto, radio, televisione e internet/web (portatili e iPhone) hanno fatto piazza pulita di vecchie forme di partecipazione, rendendole obsolete al cospetto di cotanta informazione, in grado di far fuori le vecchie forme di partecipazione attiva. È l’odierna meta-realtà verosimile, in cui realtà individuale, socioeconomica, civica, culturale girano assieme alle infinite finestre e app della realtà virtuale.
Come sosteneva Fernand Braudel, nulla è brutalmente sostituito nel cambiamento: il mondo precedente si conserva con resilienza, finisce per adattarsi al nuovo. Sbiadisce, ma non scompare. O forse c’è qualcuno che possa negare – dopo tante evidenze prodotte da Atkinson, Stiglitz e da molti altri – che le disuguaglianze socio-economiche interne ai paesi sviluppati siano in drammatica crescita? O che la dimensione civica e pubblica sia uno dei fulcri messi in discussione dalla grande trasformazione in corso? Anzi, la morfologia socio-economica (la stratificazione sociale) entra prepotentemente nella stessa dimensione tecnologica, determinando disuguaglianze abissali nell’accesso e nell’uso delle nuove tecnologie. Ci sono aree ricche in cui le nuove tecnologie hanno vinto la partita, altre in cui esse ristagnano per opposte convenienze economiche e politiche, e altre aree povere dove le nuove tecnologie restano fantascienza. Altrettanto accade con la dimensione civica che crea diritti e doveri dei netizen, dei cittadini in rete. La dimensione tecnologica è a sua volta influenzata dall’ibridazione con la vita socioeconomica e istituzionale con cui deve fare i conti.
Non c’è niente di liquido nel sociale. Sta avvenendo piuttosto una metamorfosi sociale profonda con un’interazione stringente e multidimensionale. Non ci sono più classi sociali perché non è più diffusa la coscienza di classe di più di mezzo secolo fa: semmai, si possono formare “oggetti di studio”, che chiamiamo classi occupazionali. La citizenship di Keynes, Beveridge e Marshall si è involuta in forme regressive residenziali, nazionaliste, delle piccole patrie. Sta sbiadendo l’universalismo dei diritti. Questo non vuol dire che non ci siano più obiettivi socioeconomici e civici da perseguire: tutt’altro. Non c’è però ancora una nuova cultura sociale e tecno-etica in grado di correggere il profondo astigmatismo che emerge nelle percezioni sfuocate delle persone su quanto sta avvenendo. Quel che è peggio, è che si tratta di astigmatismo più miopia. Mancano consapevolezza e coscienza.
Accade così che, a esempio in Italia, che è percorsa da impervie problematiche socioeconomiche e di giustizia civica e sociale, il contrasto agli sbarchi d’immigrati (nonostante siano in forte calo) diventi fertile e ossessivo obiettivo populista: un brand politico per una questione umanitaria, confondendo un po’ tutto. Gli italiani pensano che gli immigrati extracomunitari siano ormai almeno il 35-40% della popolazione: in realtà, non arrivano al 10%. Tale è il gap tra percezione (che ingloba il sentiment dello scontento e della post-verità) e realtà (che segnala una problematica in cammino nel futuro).
Tuttavia, non è solo un problema d’informazioni inventate o inesatte. Oggi, come a esempio nota Y.N. Harari, l’individuo è sottoposto a un’alluvione di stimoli e informazioni che la mente non riesce a immagazzinare e processare: un bombardamento che distorce la nostra percezione, rende spaesata la nostra attenzione, porta a decisioni sbagliate, soprattutto quando il diluvio informatico ci toglie lucidità d’attenzione e di giudizio su quanto giornalmente ci viene dispensato (solo le parole sono all’incirca centomila!).Mi chiedo perciò quale sia la “qualità” della società dell’informazione e della comunicazione, dato che la percezione dell’opinione pubblica trasfigura sempre più la realtà a causa di un information overload o di un’informazione manipolata e metabolizzata dai media tecnologici. Ci sono le fake news giornalistiche e della rete, c’è la strabica attenzione degli individui travolti da immagini e messaggi, ma anche i nuovi big powers monopolisti come le “cinque stelle” californiane, che usano le NT come straordinaria moneta vincente. Se vi distraete, meglio per loro. Il percepito come reale ben si allinea alla realtà virtuale come vita reale. È come vivere un sogno intersoggettivo senza coscienza del limite, senza avere il greve fardello di dover cercare il senso dell’essere.

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