Il reshoring: la percezione del consumatore e suoi effetti sul mercato
3 febbraio 2020
La sua ricerca dimostra una rilevanza pratica per manager e professionisti che si occupano delle decisioni di reshoring delle aziende. Nella sua esperienza professionale, quali sono i vantaggi che un’azienda può trarre dall’opportunità di rivolgersi ad un’istituzione universitaria per svolgere attività di ricerca?
Il primo vantaggio fondamentale è l’approccio scientifico: penso che l’elemento centrale che discrimina un centro di ricerca rispetto ad attori esterni, quali potrebbero essere società di consulenza o società di ricerca di mercato, è il rigore metodologico. Accanto a questo metterei la conoscenza specifica sull’argomento: solitamente i ricercatori hanno il controllo sulla letteratura più recente, e il costante lavoro di rassegna sui topic genera inevitabilmente conoscenza. Ciò che genera comunque in definitiva valore aggiunto è poi il connubio stesso tra conoscenze e metodo scientifico, e questa unione non è facilmente rintracciabile al di fuori di una istituzione accademica.
Entrando nel merito del suo paper, cosa si intende per reshoring, e in che cosa la vostra ricerca si differenzia da quella precedente nel campo dell’international business?
Il reshoring non è altro che la decisione dell’azienda di riportare la produzione nel paese d’origine. I motivi della positiva accoglienza della nostra ricerca sono legati alla particolare prospettiva da cui abbiamo cominciato a studiare il tema. Generalmente il reshoring è una materia legata all’international business e fino ad ora è stato studiato principalmente in una prospettiva analoga a quella da cui si è studiato il fenomeno opposto, l’offshoring, e cioè focalizzandosi su costi e risorse. Nella quasi totalità dei casi, quindi, la ricerca sul reshoring è stata affrontata dal punto di vista dell’azienda, cioè legato alle imprese o al rapporto che intercorre tra queste e il network o l’environment che hanno intorno. La nostra ricerca si pone invece ad una diversa angolazione, in quanto abbiamo voluto studiare gli effetti che il reshoring può avere considerando il punto di vista del consumatore: la nostra ricerca fa emergere infatti che il modo in cui il paese di origine percepisce la decisione di reshoring abbia poi un forte impatto sulla performance dell’azienda.
Obiettivo e risultato della ricerca è stato quello di costruire una “scala di CRS – Consumer Reshoring Sentiment”, basata su 6 driver lato-domanda di cui tenere conto quando si valuta il reshoring. Può parlarci della scala di CRS? In che modo è stata sviluppata?
Il lavoro è stato abbastanza lungo, perché questa ricerca ha seguito la procedura e la metodologia per lo scale development, e la validazione di scale richiede diversi passaggi e diversi studi successivi. La scala che abbiamo costruito e validato è la scala di CRS, Consumer Reshoring Sentiment, con la quale abbiamo cercato di fare una mappatura dei principali beliefs, cioè convinzioni o credenze, che gli individui hanno riguardo l’operazione di reshoring. Quindi l’idea era di studiare come viene percepita una simile operazione nella mente dei consumatori e cercare di “quantificare” questa percezione.
Il primo punto è stato quello di costruire il set di convinzioni. Ciò è stato fatto in parte tramite la letteratura per converso rispetto all’offshoring, e in parte tramite un approfondito studio qualitativo iniziale che ci ha aiutato a mettere a punto la tassonomia di partenza. Abbiamo individuato un set di convinzioni tendenzialmente positive, strutturato intorno a 6 principali elementi di vantaggio che un consumatore percepisce derivanti dall’operazione di reshoring, e che quindi possono costituire i driver lato-domanda di cui l’azienda deve tenere conto quando valuta questo tipo di operazione.
Il primo elemento di vantaggio è legato alla qualità superiore percepita delle produzioni reshored: tornare a produrre nel proprio paese viene da molti percepito come un maggiore indicatore di qualità rispetto al fatto di produrre altrove. Una seconda convinzione positiva è che tornare in patria permette all’azienda di allinearsi ai bisogni specifici del proprio paese. Una terza convinzione che si lega a questa è che le operazioni di reshoring dovrebbero essere incentivate dal governo, proprio perché farebbero il bene del paese. C’è poi il tema delle competenze: molte persone pensano che ritornare voglia anche dire poter beneficiare di competenze molto più specializzate rispetto a quelle dei lavoratori in paesi terzi.
Accanto a queste, abbiamo identificato anche un set di credenze che ha una natura più etico-morale. Molto spesso le operazioni di offshoring sono collegate nell’immaginario collettivo al fatto che andare in paesi terzi permetta alle imprese di aggirare tutta una serie di norme stabilite nel paese di origine che hanno a che fare con l’ambiente, con il trattamento delle risorse umane, e così via. Quindi, per converso, un’operazione di reshoring rassicura molti consumatori sul fatto che quel tipo di produzione venga fatta in linea con i requisiti nazionali per un corretto utilizzo della forza lavoro e per il rispetto dell’ambiente.
Su questi elementi poi si innesta un’altra credenza più emozionale e un po’ più “patriottica” che è l’effetto “made in”. L’idea che un prodotto sia “made in US” o “made in Italy” va a stimolare sempre quella dimensione affettiva che possiamo legare ad una sorta di patriottismo, di “etnocentrismo” inteso nel senso positivo del termine, che per certi versi va a “condire affettivamente” le operazioni di reshoring.
Quali effetti potrà avere l’utilizzo della scala CRS da parte delle aziende che valutano il reshoring?
Per le imprese, il risultato della scala di CRS potrebbe essere una sorta di variabile aggiuntiva all’interno di una ideale “funzione di decisione del reshoring”. È chiaro che si debbano sempre mettere in conto i costi, le risorse e tutte le questioni organizzative, tuttavia l’utilizzo della scala può essere senz’altro un valore aggiunto per comprendere meglio quali potranno essere gli effetti sul lato-domanda del mercato interno del paese in cui si torna. Si potrebbe pensare che questo tema sia minoritario, dal momento che è stato studiato in relazione al mercato italiano, che è un mercato di piccola scala, ma i nostri ulteriori studi dimostrano che questo in realtà vale anche per i mercati che hanno scale più importanti, come quello statunitense.
Che ruolo ha l’utilizzo dei social media nello sviluppo della ricerca, soprattutto nell’attività di segmentazione e targeting dei mercati dei paesi di origine?
Il modo in cui raccogliere dati di questo tipo è sempre un tema molto delicato. Proprio per questo però l’utilizzo dei social media può essere determinante, in quanto le informazioni necessarie possono essere raccolte tramite le pagine o gli altri canali social direttamente posseduti dalle imprese. Certi strumenti possono facilmente diventare dei canali attraverso i quali l’azienda può catturare in maniera abbastanza chiara la percezione, il sentiment, della propria fan base, ad esempio attraverso dei semplici quiz, sondaggi o domande online.
Questo si può fare anche in maniera destrutturata, cioè andando ad indagare le 6 dimensioni della scala CRS una per volta. Ognuna di esse può infatti diventare oggetto di singole iniziative comunicative: ad esempio, un giorno si parla di “cosa ne pensi del made in”, un altro di “la qualità dei prodotti fatti nel proprio paese”, e così via. In questo modo l’impresa potrebbe anche decidere di fare ad intervalli cadenzati una misurazione di questi sentiment, stabilendo una baseline e progressivamente osservando l’andamento. Questo modo di interagire è utilissimo perché ad un costo molto basso e in modo molto semplice consente di avere accesso a informazioni importanti, perché consentono di capire quali potrebbero essere le dimensioni su cui fare leva a livello di marketing, o di focalizzarsi su uno specifico target in base alle reazioni dei propri fan.
Quali sviluppi prevede per la vostra ricerca?
In realtà abbiamo già lavorato a due studi successivi a questo, ed entrambi i paper sono già stati pubblicati online.
Nel primo, Consumer Reshoring Sentiment and Animosity: expanding our understanding of market responses to reshoring (MIR Management International Review, 2019), abbiamo studiato quale effetto abbia sulla scala di CRS l’animosity, vale a dire una disposizione d’animo negativa, nei confronti del paese terzo da cui si rientra.
Il fatto che l’azienda rientri da un paese percepito come “nemico” infatti genera in patria una sorta di amplificazione, di potenziamento del sentimento positivo nei confronti del reshoring, perché in qualche modo l’inimicizia verso quel paese rende l’operazione di rientro ancora più attraente. Quindi in questa seconda ricerca abbiamo collegato il sentiment all’animosity, e abbiamo dimostrato che effettivamente il rientro è ancora più proficuo nel momento in cui l’impresa torna da un paese verso il quale l’orientamento interno è particolarmente avverso.
Il secondo studio, The effects of reshoring decisions on employees (Personnel Review, 2019), ha riguardato invece un diverso stakeholder, cioè i dipendenti dell’azienda che opta per il reshoring. Questa ricerca è stata condotta in collaborazione con alcune imprese e in particolare nel paper riportiamo i dati di una che ci ha permesso di raccogliere le opinioni dei propri dipendenti riguardo la decisione dell’azienda di rientrare in Italia, applicando quindi la scala di CRS ad un target diverso rispetto ai consumatori.
La convinzione alla base è che offshoring e reshoring sono operazioni che possono essere percepite come positive o negative nei confronti della comunità di riferimento: in questo senso possono quindi avere la natura di operazioni di irresponsabilità/responsabilità sociale. Se il mercato può percepire la responsabilità sociale dell’impresa soprattutto in termini etico-sociali, in questo secondo studio ci siamo focalizzati su quale è la percezione di un altro stakeholder fondamentale, che sono i dipendenti. Abbiamo osservato come l’operazione di reshoring abbia sui dipendenti dell’azienda un forte effetto di collante, non solo nei confronti della comunità di appartenenza, ma anche nei confronti dell’azienda stessa. Il dipendente infatti tende a sentirsi orgoglioso del fatto che la sua azienda sta tornando in patria, e in un certo senso grato ad essa perché percepisce che si sta adoperando per il benessere del paese e della sua comunità di riferimento. Il reshoring può quindi essere anche una importantissima leva motivazionale nei confronti dei dipendenti, in quanto tendono a sentirsi più legati all’azienda nel momento in cui ne hanno un’idea positiva, e sviluppano un più forte senso di appartenenza ad essa: a mio avviso, è questo l’aspetto più rilevante dello studio.
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