Una sfida al diritto costituzionale dell’UE: il rapporto fra diritto dell’Unione europea e diritto nazionale
11 febbraio 2020
Nell’articolo analizza il modo in cui la Corte costituzionale italiana (ICC) – in rifermento ai diritti fondamentali – ha cercato di riformulare il rapporto tra il diritto dell’UE e il sistema giuridico italiano attraverso due sentenze “chiave”. Quali sono le questioni cruciali che emergono dalle decisioni della Corte prese in esame?
L’articolo, che anticipa un libro sul quale sto lavorando e che uscirà nel 2022 per Oxford University Press con il titolo The Nature of EU law: Direct Effect, si occupa, in particolare, di due pronunce della Corte costituzionale, entrambe molto celebri: la n. 269 del 14 dicembre 2017 e la n. 115 del 31 maggio 2018. In queste due pronunce la Corte costituzionale affronta il tema dei rapporti fra diritto dell’Unione europea e diritto nazionale. Lo fa giungendo a conclusioni e a elaborazioni che, almeno dal mio punto di vista, sono molto diverse da quelle che hanno ispirato per anni la Corte costituzionale e il rapporto tra le due Corti, europea e costituzionale. Prima di capire perché la Corte costituzionale abbia adottato un approccio diverso e, dal mio punto di vista, non corretto, c’è da dire che a seguito della pronuncia n. 269 e successivamente alla pronuncia Taricco II (la n. 115) la Corte costituzionale ha limitato in misura significativa la sua impostazione orientata a challenging EU constitution law. Dopo questo filone che inizia con la 269, assistiamo, cioè, a una rimodulazione, seppure parziale, dell’impostazione della Corte costituzionale.
Le due pronunce sono le più commentate degli ultimi decenni dagli studiosi del diritto europeo e del diritto costituzionale. Nella 269 il tema è quello della tutela dei diritti fondamentali, quindi una categoria molto ampia. La suddetta decisione prevede che il giudice comune – che vuol dire le autorità giurisdizionali italiane, inclusa la Corte di cassazione – deve sollevare la questione innanzitutto davanti alla Corte costituzionale quando c’è un problema di incompatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione europea ogni volta che c’è in gioco la tutela dei diritti fondamentali. Quindi prima il giudice deve andare di fronte alla Corte costituzionale e poi eventualmente di fronte alla Corte di giustizia: il risultato è un importante accentramento di poteri e competenze in capo al Corte costituzionale e a tutto svantaggio della Corte di giustizia dell’Unione europea. Questo lo dice anche quando, e qui entriamo in un tema che per gli europeisti è centrale, la norma UE che tutela i diritti fondamentali del diritto dell’Unione europea è immediatamente applicabile ed è quindi suscettibile di portare ad una disapplicazione del diritto nazionale contrastante con il diritto europeo.
Quindi anche quando una norma è direttamente efficace il giudice non deve disapplicare la norma nazionale o andare alla Corte di giustizia, ma rivolgersi sempre alla Corte costituzionale. Questo è un cambiamento di grandissima importanza.
Prendiamo poi in esame la pronuncia della Corte costituzionale n. 115 del 31 maggio 2018. Si tratta della cosiddetta saga Taricco, saga che prende nome da un uomo che era stato oggetto di un procedimento penale in Italia per alcune frodi nei confronti sia dell’Unione europea che dell’Italia con riferimento al pagamento dell’IVA. Si tratta di un tema che di per sé non è appealing, ma, come spesso avviene, da alcuni temi che sembrano molto specifici Corte di giustizia e Corte costituzionale desumono principi fondamentali intesi a orientare tutti i rapporti interordinamentali. La Corte costituzionale si pronuncia nel maggio 2018 dopo che la questione era stata affrontata sia dalla Corte di giustizia sia dalla stessa Corte costituzionale. La Corte di giustizia, con una prima sentenza, aveva adottato un certo tipo di impostazione, contraria all’autonomia del diritto nazionale; la Corte costituzionale, dal canto suo, aveva reagito dicendo che la Corte di Giustizia stava mettendo in discussione dei principi fondamentali del loro ordinamento, i cosiddetti “contro-limiti”. A quel punto la Corte costituzionale ha ritenuto che la Corte di giustizia stesse sbagliando agendo ultra vires, andando cioè oltre la sua competenza. La Corte di giustizia è stata, quindi, reinvestita del tema e ha circoscritto la sua iniziale precedente del 2015.
La Corte costituzionale, nella decisione n. 115, da un lato riconosce la limitazione effettuata della sua giurisprudenza da parte della Corte di giustizia, dall’altro coglie l’occasione per riaffermare se stessa e per accentrare a sé, come fatto nella n. 269, poteri e competenze. Quindi la Corte costituzionale, in Taricco II, ritiene che la regola che era stata enucleata dalla Corte di giustizia con riferimento a questo caso di specie non possa mai penetrare nell’ordinamento italiano perché in gioco c’è un principio supremo del nostro ordinamento e perché, comunque, dovrebbe essere prevista dal legislatore e non enucleata da una Corte.
Quali sono i principi cardine della cosiddetta Simmenthal doctrine ed in che senso sono stati rivoluzionati dall’approccio della recente giurisprudenza della Corte costituzionale italiana (ICC)?
La dottrina Simmenthal è una dottrina elaborata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea negli anni ’70 e sostiene che ci sono due princìpi che orientano l’ordinamento europeo e i rapporti con gli ordinamenti nazionali di tutti i paesi membri che oggi sono 27. Quando c’è una norma del diritto dell’Unione europea che contrasta con una norma del diritto nazionale, la norma del diritto dell’Unione europea, in ragione dei principi del primato e dell’effetto diretto, impone alle autorità nazionali, compresi i giudici, di accantonare la norma nazionale.
- Principio del primato: vuol dire che il diritto dell’Unione europea prevale sull’ordinamento nazionale.
- Effetto diretto: vuol dire che la norma del diritto dell’Unione europea può essere invocata direttamente dal singolo ed è immediatamente applicabile nel caso di specie e questa norma direttamente efficace, insieme al principio del primato, obbliga il giudice o l’autorità amministrato a disapplicare il diritto nazionale.
La dottrina Simmenthal è stata messa in discussione dalla pronuncia n. 269, ma anche dalla n. 115. Dalla 269 perché quando in gioco ci sono i diritti fondamentali, dice la Corte costituzionale, anche se la norma europea è direttamente efficace, il giudice non deve immediatamente disapplicare il diritto interno contrastante. Nella 115 quello che fa la Corte costituzionale è interpretare a suo modo quel che è direttamente efficace e quel che non lo è secondo il diritto dell’Unione europea; una competenza che spetterebbe in verità alla Corte di giustizia.
Qual è il ruolo della Corte di giustizia europea nella ricerca di quell’equilibrio tra sovranità e sovranazionalità nell’ambito dei rapporti tra ordinamento UE e ordinamento nazionale?
La tesi che ho cercato di sviluppare in questo articolo è la stessa che si ritrova nel mio libro pubblicato nel 2018 per Giuffrè (L’efficacia diretta del diritto dell’Unione europea negli ordinamenti nazionali: evoluzione di una dottrina ancora controversa). Dal mio punto di vista la Corte costituzionale ha reagito in maniera così proattiva nel rispondere alla Corte di Giustizia mettendo in discussione alcuni pilastri dei rapporti tra le due Corti perché la Corte di giustizia avrebbe dovuto fare quello che ha fatto per molti anni, almeno nei primi decenni della sua istituzione (anni ’60,’70,’80) e che non fa da diverso tempo: agire cioè come Corte autenticamente sovranazionale, prendere per mano i giudici delle diverse giurisdizioni e dei diversi paesi membri e, chiarendo e sviluppando una sua dottrina come ha fatto in Simmenthal negli anni ’70, portarli verso la risoluzione delle antinomie e dei contrasti fra i due ordinamenti.
L’attivismo giudiziario della Corte costituzionale è il prodotto, dal mio punto di vista, di un minimalismo eccessivo da parte della Corte di giustizia che dovrebbe essere più audace e coraggiosa, come lo è stata per diversi decenni. Peraltro, la Corte di giustizia, oltre ad essere minimalista nell’argomentare, nello sviluppare, nell’individuare i pilastri di alcuni principi cardine del diritto europeo, è spesso, nella sostanza, molto intrusiva perché mette in discussione l’autonomia e la competenza della Corte costituzionale arrivando a conclusioni sovrapponibili a quelle cui potrebbe pervenire una Corte federale. Insomma, la Corte di giustizia è una Corte sovranazionale di una organizzazione internazionale, ma sembra comportarsi in sostanza un po’ come la Corte suprema degli Stati Uniti. C’è quindi un problema che ruota intorno al fatto che la Corte di giustizia, da un lato, è troppo self restraint nell’argomentare il nocciolo duro di questi principi, dall’altro lato, nella sostanza, quando deve decidere il caso concreto, sembra essere troppo intrusiva e ledere troppo la sovranità delle giurisdizioni degli stati membri.
Questa combinazione di minimalismo e attivismo porta la Corte costituzionale italiana e altre Corti costituzionali in altri paesi membri a reagire in maniera più resistente che resiliente alla giurisprudenza costituzionale. Insomma, l’atteggiamento duplice, apparentemente contraddittorio, della Corte di giustizia, minimalista e attivista, porta le Corti costituzionali ad occupare degli spazi che non gli spettano e a farlo in maniera molto proattiva.
Quali dovrebbero essere le nuove frontiere della ricerca universitaria in questo settore e le skills fondamentali di un ricercatore che si dedica allo studio di questi temi?
Il ricercatore deve avere una predisposizione e una curiosità verso sistemi e codici culturali, compresi quelli giuridici, diversi dall’italiano. Questo vuol dire che dovrebbe fare esperienze all’estero strutturate e intraprendere un confronto costante con la letteratura, con la dottrina e con la giurisprudenza europea e degli altri Stati membri. L’obiettivo è contribuire alla crescita della scienza giuridica in Italia e all’estero: in questo senso scrivere in lingua inglese e francese, oltre che in italiano, è fondamentale.
Io credo che oggi siamo in un periodo di crisi in cui il ricercatore deve riprendere in mano alcuni principi, alcune categorie concettuali, alcuni capisaldi teorici e deve avere il coraggio di affrontare, di mettere in discussione, di criticare sia la Corte costituzionale che la Corte di giustizia. Bisogna ai classici, come direbbe Calvino, e dunque avere il coraggio di confrontarsi con queste categorie.
Culturalmente c’è l’idea per cui è meglio essere esperti di un settore piuttosto che spaziare, osare, avere una visione d’insieme; tuttavia, secondo me, è proprio questo l’atteggiamento ambizioso (nel suo significato più bello e positivo) di cui abbiamo bisogno oggi.
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