Quanto costerà il vaccino?
6 aprile 2020
Alla fine dello scorso febbraio nel corso di audizione di fronte al congresso Alex M. Azar, il Segretario di Stato per la Salute dell’amministrazione Trump, ha affermato che “Vorremmo offrire garanzie che questo vaccino sarà reso disponibile a prezzi accessibili, ma in realtà non possiamo controllare il prezzo perché abbiamo bisogno che il settore privato investa nella ricerca del vaccino”. Di fronte a questa affermazione, 45 membri del Congresso hanno inviato il giorno dopo una lettera al Presidente Trump chiedendo che il Dipartimento della Salute non conceda alcuna licenza esclusiva per un vaccino o una cura contro il coronavirus ad un’impresa privata se la ricerca che porta a queste cure è stata in parte finanziata da fondi pubblici. Più in generale, la lettera sostiene che garantire diritti di monopolio su tali scoperte farmaceutiche potrebbe risultare in prezzi di vendita eccessivamente elevati, con conseguenze fortemente negative sulla salute pubblica e sul bilancio dello Stato. Nel caso questo prezzo eccessivo fosse effettivamente praticato, chiedono i firmatari, il governo dovrebbe intervenire e prendere tutte le misure necessarie a garantire che cure e vaccini siano disponibili a tutti a prezzi accessibili.
Il Segretario Azar da un lato ed i firmatari della lettera dall’altro pongono una questione fondamentale. Da un lato, Azar sostiene che se vogliamo che le imprese farmaceutiche investano nella ricerca di vaccini e cure contro il covid-19 dobbiamo dar loro la possibilità di vendere le medicine e i vaccini a prezzi sostanzialmente più alti dei costi di produzione per ottenere la remunerazione dell’investimento.
I nostri sistemi economici hanno creato e sviluppato un apposito strumento per garantire questi ritorni elevati agli innovatori: il brevetto. Il brevetto “premia” l’innovatore con un diritto di monopolio per alcuni anni (di norma 20) sullo sfruttamento dell’innovazione. Ma questo diritto di monopolio, sostengono i 45 firmatari della lettera, risulterà inevitabilmente (come sa qualsiasi studente del primo anno di economia) in prezzi elevati, quantità ridotte ed una redistribuzione di benessere a danno del consumatore ed a favore del produttore che godrà di extra-profitti elevati e persistenti. Azar a questo punto però sosterrebbe probabilmente che il vero confronto che dobbiamo fare non è tra benessere dei consumatori in monopolio e in concorrenza, cioè tra un vaccino venduto a prezzo di monopolio o al prezzo molto inferiore di concorrenza, ma tra un vaccino venduto ai prezzi alti di monopolio e nessun vaccino. Il monopolio e i prezzi alti sarebbero dunque una sorta di inevitabile male minore, un prezzo che la società deve pagare per avere le cure e i vaccini che altrimenti non avrebbe.
Chi ha ragione? Azar o i firmatari della lettera? A mio avviso i firmatari della lettera, per almeno due ordini di motivi. In primo luogo Azar solleva un problema reale, come incentivare in un’economia di mercato la produzione di innovazioni da parte di imprese private, ma dà per scontato che i brevetti siano la migliore soluzione di questo problema. In secondo luogo dà per scontato che il mercato sia la modalità economicamente e socialmente migliore per risolvere un problema come quello di trovare cure e vaccini che blocchino o quanto meno riducano gli effetti di una pandemia come quella causata dal covid-19.
I brevetti
I brevetti forniscono diritti di proprietà intellettuale, ma ha senso economico conferire dei diritti di proprietà, seppure di durata limitata (ma 20 anni sono un tempo molto lungo nella vita di una innovazione) sulle innovazioni, cioè su nuove conoscenze? La risposta è no. La proprietà di una risorsa fisica conferisce un diritto di esclusione la cui funzione è evitare problemi di eccessivo sfruttamento della risorsa che si verificherebbero se la risorsa fosse accessibile a tutti. Per questo motivo si conferisce un monopolio dello sfruttamento ad un unico soggetto.
Ma se parliamo di conoscenza questo argomento non sta in piedi. La conoscenza non è una risorsa esauribile come un terreno agricolo o il pesce nel mare e quindi non è soggetta ad alcun rischio di eccessivo sfruttamento. Anzi la conoscenza tipicamente progredisce in modo cumulativo e quindi la condivisione ne favorisce la crescita. Non a caso la cultura, la scienza e la tecnologia occidentali da secoli progrediscono grazie al meccanismo di pubblicazione e condivisione reciproca, cioè un meccanismo istituzionale opposto alla proprietà, all’esclusione, al monopolio.
Usare il diritto di esclusione per garantire la remunerazione dell’innovatore non ha senso, perché crea una scarsità artificiale in una risorsa che scarsa non è e che anzi tende ad aumentare e migliorare al crescere del numero di coloro che la condividono. In secondo luogo la proprietà crea sempre un monopolio, con i relativi costi sociali che ne derivano. Ora, se questo monopolio riguarda ad esempio un terreno agricolo di piccole o medie dimensioni i costi sociali non saranno molto rilevanti perché vi saranno altri terreni simili e altrettanto produttivi. Se invece il monopolio è dato su una importante scoperta o innovazione che è per definizione unica e non ha sostituti il costo sociale derivante dal monopolio sarà molto elevato.
A questo proposito si può sostenere il mercato farmaceutico è probabilmente quello in cui i danni sociali prodotti da un monopolio sono i più alti possibili. Ciò avviene in primo luogo perché un mercato farmaceutico non esiste, ma esistono tanti sotto-mercati quante sono le patologie e questi sotto-mercati sono generalmente totalmente separati. Se io devo vaccinarmi contro il covid-19 ho bisogno di questo vaccino e quello, ad esempio, contro il morbillo non è certamente un suo parziale sostituto. Pertanto nella farmaceutica, e diversamente da altri settori, i sotto-mercati sono impermeabili alla concorrenza proveniente da altri sotto-mercati. In secondo luogo l’elasticità della domanda è certamente molto bassa per medicine in grado di curare patologie gravi. Per queste medicine l’individuo e/o un sistema sanitario sono disposti a pagare anche prezzi molto elevati e la riduzione di domanda causata da un aumento di prezzo sarà nulla o trascurabile.
In conclusione il settore farmaceutico è un vero e proprio paradiso del monopolista e quindi un potenziale inferno per il consumatore. È quindi veramente sorprendente che nei nostri sistemi economici esistano da un lato delle legislazioni e delle autorità anti-trust che vietano e puniscono comportamenti monopolistici e dall’altro legislazioni a protezione dei brevetti che creano monopoli proprio dove i monopoli possono essere maggiormente dannosi per la collettività.
In realtà questa apparente schizofrenia dei nostri sistemi ha una spiegazione ovvia: i governi e i legislatori degli USA e dei Paesi occidentali in generale hanno servito negli ultimi decenni gli interessi delle imprese farmaceutiche molto meglio degli interessi del pubblico. E infatti abbiamo un sistema brevettuale che è sostanzialmente disegnato sulle necessità di queste imprese.
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