Covid-19, un’emergenza gestita senza una catena di comando

7 aprile 2020
Editoriale Open Society off
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Di fronte all’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Coronavirus in Italia tutte le istituzioni dei diversi livelli di governo si sono trovate in prima linea, ma in assenza di un quadro normativo che identificasse in maniera univoca i compiti e le responsabilità di ciascuno e che permettesse l’instaurazione di una chiara catena di comando nella gestione dell’emergenza.

L’assenza di un effettivo coordinamento si è presto resa visibile in tutta la penisola. Basti ricordare l’ordinanza n. 15/2020 impeditiva, tra l’altro, della possibilità di svolgere sport individuali all’aperto adottata dal Presidente della Regione Campania in contrasto con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) dell’8 marzo 2020. Per sciogliere l’incertezza sull’esistenza o meno di un “diritto allo sport” per i cittadini campani è stato adito il TAR Campania, che ha confermato (con il decreto n. 416/2020) la validità dell’ordinanza regionale in ragione dei rischi irreparabili per la tenuta del sistema sanitario campano in caso di incremento dei contagi. Forti incertezze si sono avute anche in Lombardia, in cui l’Ordine dei commercialisti e degli esperti contabili di Milano si è trovato a non sapere se proseguire o meno il proprio lavoro in concomitanza della chiusura di tutte le attività non essenziali, per contrasto tra il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 22 marzo 2020 che consentiva l’attività e l’ordinanza regionale n. 515/2020 dello stesso giorno che, invece, ne impediva la prosecuzione. Ancora, in Sicilia il Prefetto ha ingiunto al Sindaco di Messina di revocare l’ordinanza n. 61/2020 con cui autorizzava l’apertura domenicale dei supermercati in linea con i DPCM del 9 marzo 2020 e dell’11 marzo 2020, ma in contrasto con la successiva ordinanza n. 6 della Regione Siciliana del 19 marzo 2020.

Le ragioni dell’incertezza regolatoria stanno nella difficoltà di organizzare sistematicamente l’esercizio dei poteri emergenziali diffusi tra i diversi livelli di governo. Il problema è che per affrontare le situazioni di emergenza nel momento stesso in cui si presentino, diverse leggi conferiscono a singoli organi esecutivi poteri di ordinanza, sottoposti all’unico limite del rispetto dei principi generali dell’ordinamento. Si pensi alle ordinanze del Ministro della salute, del Presidente della Giunta regionale e del Sindaco ai sensi della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale; ma anche ai poteri di ordinanza del Sindaco nelle emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale previsti dal testo unico degli enti locali e dal decreto legislativo n. 112/1998 sul decentramento amministrativo.

Nell’incidenza dirompente della crisi sanitaria, il Governo ha assunto la leadership nella gestione dell’emergenza. All’iniziale dichiarazione dello stato di emergenza nazionale per un periodo di sei mesi e all’intervento attraverso ordinanze di potezione civile, sono seguiti numerosi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) e alcuni decreti legge miranti al contenimento della stessa. In una condizione di straodinarietà come quella attuale, tuttavia, la sovrappozione di misure diverse sullo stesso territorio rischia di diventare il “tallone d’Achille” nel superamento dell’emergenza.

In assenza di una legge generale sulla gestione delle emergenze nazionali, la ricerca di coordinamento nella catena di comando tra provvedimenti statali e regionali è avvenuta pragmaticamente. Con il primo decreto legge del 23 febbraio 2020, il Governo ha mirato a garantire la coerenza e l’uniformità applicativa delle misure di contenimento del contagio senza rinunciare alla concertazione delle stesse con i territori e senza impedire ai territori di poter tempestivamente rispondere all’emergenza nell’attesa del coordinamento delle competenze. La ragionevolezza del meccanismo si è, però, confrontata, da un lato, con l’urgenza delle Regioni di provvedere nell’eccezionalità delle situazioni di fatto e, dall’altro, con la (pur comprensibile) incapacità del Governo di offrire risposte istantanee ed univoche alle richieste regionali.

Da qui, il Governo ha proceduto in maniera incerta, tra l’utilizzo – quantomeno inedito in un contesto emergenziale – delle vie legali, con l’impugnazione davanti al TAR Marche dell’ordinanza “ribelle” del Presidente della Regione (n. 1/2020), e la successiva estensione delle misure restrittive a tutto il territorio nazionale con il progredire dei contagi. Da ultimo, il secondo decreto legge del 25 marzo 2020 ha tentato il riordino dei provvedimenti adottati fino a quel momento, introducendo ulteriori e specifiche modalità di coordinamento nell’esercizio dei diversi poteri d’emergenza. Nella sostanza, il principio di coordinamento resta immutato, ma le Regioni hanno conquistato “sul campo” il potere di proposta nell’adozione dei DPCM. Parallelamente, l’esercizio degli altri poteri di ordinanza è stato ridotto alle more dell’adozione dei DPCM, con efficacia limitata fino a tale momento e circoscritto da una più puntuale definizione – per quanto necessariamente flessibile – delle condizioni di esercizio.

Sebbene la strada del coordinamento con i territori sia imprescindibile per un’adeguata comprensione e gestione delle emergenze, serve una legge generale che stabilisca un’organica catena di comando, ponendo fine all’incerta concorrenza di provvedimenti e alla profilerazione di norme, riducendo i conflitti di competenza e rendendo così più spedita l’azione delle istituzioni e dei cittadini per il superamento delle crisi.

L'autore

Marta Simoncini è ricercatrice in diritto amministrativo alla Luiss Guido Carli


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