I valori che dobbiamo far convivere
10 aprile 2020
Se qualcuno ci avesse detto, non molti mesi fa, che milioni di cittadini italiani sarebbero rimasti per settimane in uno stato di reclusione domiciliare, avremmo rifiutato anche la sola idea che ciò potesse accadere in un Paese di saldi principi democratici.
Eppure, questo 2020, che verrà ricordato come l’anno di una delle pandemie più disastrose della storia, rimarrà come l’anno in cui abbiamo dovuto imparare a far convivere i valori della libertà, della salute e dell’economia. C’è un racconto che può raffigurarci la difficoltà, ma anche la necessità di questa convivenza: è la storia di una famiglia di porcospini, in cui una cucciolata deve affrontare un inverno difficile e trovare un modo per riscaldarsi nella tana. Essi riescono a sopravvivere al freddo solo perché riescono a stare vicini, scaldandosi, ma anche stando attenti a pungersi a vicenda il meno possibile. Forse a qualcuno apparirà dissacrante paragonare ai simpatici animaletti alcuni fra i valori più fortemente tutelati della nostra Costituzione: libertà, salute, economia. Non sfuggirà però la similitudine di ragionamenti che ispira questa esemplificazione.
Il punto di partenza è inevitabilmente rappresentato dalla Carta dei valori fondanti del nostro Paese, elaborata da una Assemblea costituente che, pur nelle drammatiche divisioni politiche del dopoguerra, è riuscita a dare un esempio di straordinaria sintesi di princìpi giuridici. Un periodo non a caso richiamato dal Presidente Mattarella come indispensabile e valido punto di riferimento.
La prima norma che viene in considerazione è l’art. 13 che definisce il principio della libertà personale come “inviolabile”, declinando le modalità con cui essa può essere limitata. Il fatto stesso che, ciò nonostante, a nessuno sia venuto in mente di invocare una lesione di tale principio dimostra come tutti, più o meno consapevolmente, abbiamo ritenuto che, di fronte alla epidemia, anche la possibilità di limitare la libertà di movimento trovasse un fondamento nella tutela della salute. In realtà, lo indica l’art. 16 della Costituzione, riconoscendo supremazia al bene della salute, che l’art. 32 qualifica come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Ai fini di una ripresa dell’economia, che auspichiamo parta nel più breve tempo possibile, dobbiamo cimentarci con il compito di mettere a confronto tre aspetti, tutti oggetto di tutela: libertà, salute, lavoro, quest’ultimo collocato in apertura della Costituzione come elemento fondante della Repubblica. La ripresa del lavoro e delle attività produttive rappresenta certo un valore essenziale, che si rispecchia anche nell’art.35, ma deve incidere il meno possibile sui valori della salute e libertà. Ci si è perciò chiesti se l’uso di tecnologie informatiche volte a raccogliere dati sulla diffusione del virus, a monitorare le aree di contagio e a tracciare gli spostamenti dei lavoratori in modo da orientare via via la ripresa della produzione nelle aree non più infette, sia compatibile con quell’aspetto della libertà personale tutelato dall’art.15 della Costituzione, oggi sinteticamente denominato diritto alla privacy.
Sotto il profilo sociologico, si è già osservato che in una società ormai basata sulla informatizzazione è comunemente accettata l’idea di cedere dati alle grandi piattaforme, senza che questo susciti particolari forme di reazione. A conferma, sono stati esaminati il modello di tracciamento coreano e quelli valutati in Germania e nel Regno Unito.
Se vogliamo analizzare il tema sotto il profilo giuridico possiamo ora aggiungere che l’ordinamento italiano ammette il contemperamento di principi costituzionali, purché avvenga tra valori ugualmente riconosciuti, invada nella misura minima l’area ricoperta da ciascuno di essi e sia presidiato da un sistema di limiti e di garanzie.
Se perciò si dovesse predisporre un tracciamento degli spostamenti al fine di assicurare che le attività produttive ripartano e che eventuali riprese di focolai infettivi siano segnalate, a tutela della salute pubblica e di singoli lavoratori, occorrerebbe individuare quali presidi e quali garanzie vadano attivate per mantenere un sostanziale equilibrio tra valori costituzionali. A tal fine è necessario il contributo di una pluralità di competenze: informatica, giuridica, economica, sanitaria. Occorre infatti individuare una serie di presidi tecnologici che siano in grado di segnalare attacchi informatici. Garantire la segretezza sia dei dati sensibili raccolti sullo stato di salute dei soggetti monitorati, sia dei loro nomi, sia dei tracciati ad essi riferibili. Assicurare che i dati siano utilizzati solo per gli scopi indicati e poi immediatamente distrutti.
Solo in questo modo si riuscirà ad affrontare, nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali, una emergenza che sta piegando il nostro Paese sia sotto il profilo umano che sotto quello economico e far ripartire gradualmente la produzione senza aumentare i rischi di contagio.
Per tutto ciò abbiamo bisogno di mettere insieme competenze, menti, capacità, così come sta facendo il team di esperti costituito presso il Ministero per l’innovazione tecnologica. In loro e nelle tante menti ingegnose degli italiani – da sempre apprezzate per la loro capacità innovativa – riponiamo le nostre aspettative per la creazione di un “modello italiano” di tecnologia che consenta una ripresa economica compatibile con la tutela della salute e con il nostro incomparabile sistema di garanzie.
Questo articolo è precedentemente apparso sul Corriere della Sera il 2 aprile 2020. Riprodotto per gentile concessione.
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