Affrontare la pandemia: una prospettiva diversa
22 aprile 2020
Si ricorre anche oggi, in questi mesi di Covid-19, alla religione e alla sua dimensione spirituale. Vi è infatti una riscoperta, talvolta purtroppo traumatica, della fragilità umana, quella altrui e quella propria, con la conseguente ricerca di consolazione e di significato, per la vita e per la morte.
Quella dei nostri giorni è una domanda di aiuto e di conforto da parte del sacro, declinata molto diversamente che nel passato quando, in contesti simili, la religione aveva una centralità pubblica, con riti e processioni propiziatorie che spesso costituivano il cuore della reazione sociale contro il contagio delle pestilenze. Oggi Dio dov’è? Ha perso cittadinanza, stritolato dalla secolarizzazione?
L’inderogabilità razionale di un approccio scientifico/sanitario alla pandemia impone, nell’assenza di un vaccino efficace e in base alle conoscenze sin qui ottenute, quel distanziamento sociale, anche in merito alla pratica religiosa pubblica, impensabile nelle epoche a noi precedenti. Impressiona tutti il vedere luoghi di fede di fama mondiale, di una o dell’altra confessione religiosa, oggi chiusi; vuoti di riti e di fedeli.
Le varie organizzazioni religiose, per lo più prese anche loro alla sprovvista dalla novità della situazione, intensificano la pratica dei linguaggi mediatici per favorire quella socializzazione della pratica del culto, dell’educazione religiosa e della carità, impossibile da assicurare nelle forme precedenti al Coronavirus. Non mancano ministri del culto e figure religiose tra quanti, in prima linea, combattono a fianco dei contagiati nelle strutture ospedaliere o nei luoghi di cura.
Paradossalmente, tuttavia, la costrizione al privato delle proprie abitazioni conduce, in chi veramente lo desideri, ad un contatto ancor più personale, e forse più autentico, con il divino.
È proprio la profonda considerazione morale dell’unicità della persona umana, della sua dignità, del suo essere sempre fine e mai mezzo, che apre il cuore alla speranza. Essa diventa preghiera silenziosa, anzitutto dentro di sé, accogliendo l’invito a credere di non mettere la parola fine, con la morte fisica, sul mistero che è ogni donna e ogni uomo.
La fede, infatti, è un grande dono in vasi di creta, così strutturante la persona, che lo si può solo chiedere, senza permettersi di giudicare le ragioni di chi non lo ha.
L’uomo religioso ricerca il contatto con Colui che ha compassione per l’umanità e per tutti gli esseri; cosa evidente in tutti i monoteismi, ma non solo. Va oltre il rispetto etico, perché parla di amore, di dedizione pura. Le Rivelazioni ce la narrano al cuore del divino e, conseguentemente, della dimensione religioso/spirituale dell’essere umano.
La compassione, a cui attinge la speranza, è allora ciò che interroga profondamente le coscienze, anche oggi, passando dalla sfera privata a quella pubblica, sociale.
Se al centro della speranza religiosa c’è la gratuità, la misericordia verso l’uomo fragile, debole, “scartato”, essa provoca/domanda di essere parimenti collocata al cuore della società, così che si rivedano, a partire da essa, i modelli organizzativi: politici, economico/finanziari, sociali in senso più globale.
Ogni autentica dimensione spirituale ha sempre un risvolto etico/sociale, messo in moto dalla sua speranza.
Riscoprirla oggi, dal privato delle nostre case, chiede di “ripartire” mettendo al centro, e non più ai margini del nostro vivere associato, la cura/custodia dell’uomo fragile (l’anziano, il bisognoso, il malato, il carcerato ecc.), cominciando dalla stessa Casa dell’uomo, la Terra, oggetto negli scorsi decenni più di preda che di salvaguardia.
Guardatevi dall’ipocrisia, ammoniscono i più antichi echi del soprannaturale, perché essa è l’inequivocabile sigillo della presenza del male.
Davvero non dobbiamo rivedere profondamente molte cose circa il nostro modo di vivere il cammino dell’esistenza? Dobbiamo solo ripartire il prima possibile, con qualche “aggiustamento” sui criteri con cui allocare le risorse? Rimetterci in corsa, con uno stile di fondo acquisito, che ha infine provocato/permesso tanti lutti? Compassione non invoca una ravveduta responsabilità?
Nel dare risposta a questi interrogativi, anche il contributo dei percorsi di speranza della religione chiede ad ognuno di sintonizzarsi anzitutto con la propria coscienza; per ottenere poi cammini pubblici di confronto, talvolta aspro e complesso, ma mai menzognero. Sono sentieri su cui la persona di fede è tenuta a cercare profonde alleanze con tutti gli uomini di altrettanta “buona volontà”.
Il credente vive anche questa dimensione di responsabilizzazione nel dialogo con Dio, ricordando ciò che suggeriva Agostino d’Ippona: «Non lasciarti distrarre da ciò che è solo vuota apparenza. Nell’ascolto sincero, umile e paziente di te stesso troverai la Luce e la forza per coraggiosi itinerari di Verità».
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