Asimov, sovrappopolazione e pandemia

30 aprile 2020
Editoriale Focus Ripresa
FacebookFacebook MessengerTwitterLinkedInWhatsAppEmail

In un’intervista ad Isaac Asimov risalente al 1989 Bill Moyers gli chiede: “Che ne sarà della dignità del genere umano se la popolazione continuerà a crescere al ritmo attuale?”. Ecco la risposta di Asimov: “Sarà completamente cancellata. In genere uso quella che mi piace chiamare la metafora della stanza da bagno: se due persone vivono in uno stesso appartamento con due stanze da bagno, allora entrambe godono della libertà della stanza da bagno. Ciascuna potrà andarci quando vuole, starci quanto vuole, per qualsiasi motivo. E naturalmente ognuno potrà credere nella Libertà della Stanza da bagno; anzi una tale libertà starà bene in Costituzione. Ma se nello stesso appartamento sono in venti ad abitarci, allora per una tale libertà non ci sarà più spazio, e ciò indipendentemente dalla fede che si abbia nella Libertà della Stanza da bagno. Dovrai stabilire tempi massimi per l’uso, dovrai bussare alla porta e chiedere: ‘Hai finito?’ E così via.

Ho scelto questo passaggio, unico per efficacia e sincerità, di un’intervista ad Isaac Asimov risalente al 1989 per parlare di un tema spesso rimosso dalla discussione pubblica, quello della sovrappopolazione. In maniera scanzonata Asimov sembra richiamarci alla pericolosa distanza che può crearsi, proprio a causa di una crescita incontrollata della popolazione, tra norma e realtà, tra costituzione ed effettività, tra diritti proclamati al livello normativo più alto e deprimenti negazioni degli stessi alla prova della concretezza.

Il brano colpisce anche per un’altra ragione: richiesto di parlare della dignità della specie umana in un mondo sovraffollato, Asimov sceglie di farlo adoperando, a modo suo, categorie giuridiche. La scelta mi ha colpito perché il tema della sovrappopolazione è negletto dai giuristi, forse perché ritenuto, più correttamente, di competenza degli economisti, dei demografi, dei geografi. Eppure, come ci ricorda Asimov, il diritto c’entra, non fosse altro perché la crescita demografica incontrollata rischia di azzerare i diritti e la dignità delle persone e di aggredire, progressivamente ma inesorabilmente, le protezioni ultime della democrazia.

Uno scenario fantascientifico, in tono con il genere letterario inventato dallo scrittore americano? Non direi proprio visti i numeri impressionanti della crescita della popolazione negli ultimi decenni (sul punto rinvio al report del 2019 del Department of Economic and Social Affairs delle Nazioni Unite, World Population Prospects 2019. Highlights). Ma non è di questo che vorrei ragionare, quanto del rapporto tra ciò che sta succedendo intorno a noi e il problema della sovrappopolazione. Di fronte alla pandemia che attanaglia il mondo intero, vale la pena porsi qualche domanda fastidiosa. Credo, anzi, che il drammatico scenario attuale rappresenti un’occasione per porre sul tappeto questioni brucianti, proprio per questo troppo spesso rimosse.

Forse non sapremo mai come è venuto fuori il virus maledetto. Resta l’ironia della sorte che esso si è sviluppato nel paese che più di tutti gli altri al mondo ha fatto per frenare una crescita demografica che, in quello Stato, assume dimensioni gigantesche. Dal 1979, anno in cui la Cina avvia la sua drastica ‘one-child policy’, al 1991 il tasso di fertilità è crollato dal 2.8 a 2.0, addirittura sotto il tasso di fertilità degli USA. E tuttavia non solo la popolazione ha inevitabilmente continuato a crescere (i numeri in Cina sono tali che la popolazione cresce approssimativamente di 150 milioni di persone ogni dieci anni); essa è aumentata soprattutto nelle grandi aree urbane a causa della saturazione del settore agricolo, contribuendo così ad elevare il tasso di urbanizzazione e la densità abitativa.

L’epidemia ha anche posto sotto i riflettori un’altra questione, troppo spesso rimossa, quella degli effetti delle deforestazioni, praticate in varie zone del pianeta. È anche a causa di queste pratiche violente, si dice, che il virus è saltato fuori, impossibilitato a restare nel profondo delle foreste, lì dove era sempre stato. Dietro questi fenomeni c’è sicuramente l’avidità di speculatori, grandi e piccoli, e quindi la cecità di un sistema economico che non riesce a frenare se stesso dalla corsa verso il disastro. V’è però da chiedersi se non giochi un ruolo anche la crescita della popolazione e la necessità dei governi di fornire risposte, anche se profondamente sbagliate. I fautori dello sviluppo sostenibile dimenticano spesso di porre con forza la problematicità del rapporto tra crescita della popolazione e tutela effettiva dell’ambiente.

La pandemia ha invece silenziato, almeno per ora, l’attenzione verso i nuovi fenomeni migratori. Il tema è troppo delicato per trattarlo nello spazio di queste poche righe. Sappiamo che è provocato  da un mix di fattori che va dall’assenza di politiche per lo sviluppo da parte dei paesi più industrializzati a conflitti geopolitici risolti (o meglio causati) dalle grandi potenze avendo come obiettivo il mero e gretto interesse nazionale. E tuttavia anche in questo caso il fattore della sovrappopolazione non può essere ignorato visto che buona parte dei flussi migratori riguarda quei paesi subsahariani nei quali il tasso di crescita della popolazione è ancora molto alto.

Si tratta di esempi banali che dimostrano la complessità del problema, la sua dimensione planetaria, la diversità di approcci con il quale è stato affrontato, in dipendenza anche dell’evoluzione sociale e della sensibilità culturale. Se lasciamo sullo sfondo le previsioni di Malthus e quelle di poco precedenti di Diderot, e concentriamo l’attenzione al Novecento, non possiamo far a meno di notare che la questione della sovrappopolazione è stata oggetto di prospettive e tematizzazioni molto diverse. Da quella tragica di Hardin e soprattutto di Ehrlich (The Population Bomb) alla sua correlazione con il ruolo della donna e quindi con i diritti riproduttivi, dal rapporto con la tutela dell’ambiente a quello con il più recente fenomeno delle migrazioni, per finire al cambiamento climatico.

Cosa può fare, di fronte a problemi di tale portata, il giurista? Quale contributo può dare, non certo alla soluzione, ma alla corretta impostazione di un problema enorme e planetario? Personalmente credo che, più che alle soluzioni concrete, cui pure è necessario dare forme giuridiche, il compito dei giuristi sia quello di partire, molto semplicemente, dal ripensamento di alcuni concetti giuridici rilevanti per il tema.

Riprendendo la provocazione di Asimov, perché non provare a rimodellare alcuni profili dei diritti e doveri fondamentali? Perché non forzarci a pensare che, almeno in alcuni casi, quando parliamo di diritti fondamentali non abbiamo a che fare solo con diritti fondamentali degli individui oggi esistenti ma anche con i diritti di quelli che verranno dopo di noi. Così provando a ragionare, non solo arricchiremmo la struttura del concetto di diritti fondamentali ma porremmo le basi per cambiare l’operatività dei diritti stessi. Per esemplificare, quando metteremo in bilanciamento il diritto al lavoro e all’iniziativa economica privata con quello alla salute e all’ambiente salubre dovremo immaginare che la lesione o la limitazione di questi ultimi si riflette non solo sugli individui di oggi ma, molto probabilmente, anche su quelli di domani. Se così fosse, per poter limitare diritti così ‘spessi’ dal punto di vista soggettivo, dovrebbe essere necessario un apparato argomentativo particolarmente robusto.

E sempre per rimanere nell’ambito di concetti giuridici ben noti, perché non ripensare uno tra i più noti (e più inutili), lo sviluppo sostenibile, e declinarlo anche nel senso anche della sostenibilità demografica? Quali conseguenze potrebbe avere questo ‘ispessimento’ concettuale dello sviluppo sostenibile, se esportato nelle grandi arene delle decisioni internazionali? Perché non provare a immaginare, per il futuro, una condizionalità degli aiuti ai paesi meno sviluppati sottoposta anche a criteri di questo tipo? È impensabile strutturare un sistema di aiuti ai paesi meno sviluppati ma impegnati in effettive politiche di sviluppo umano, indirizzate a favore delle donne in primo luogo e delle famiglie? Gli studi di A.Sen sono lì, ad indicarci la strada.

Il monito finale dell’intervista di Asimov si presta bene per una conclusione: “Allo stesso modo, la democrazia non potrà sopravvivere (alla sovrappopolazione); la dignità umana non potrà sopravvivere (alla sovrappopolazione); come non sopravviveranno comodità e decenza. Quante più persone aggiungi su questo pianeta, tanto più il valore della vita declina, sparisce. E non avrà più rilievo neppure la morte perché più persone ci sono, meno conta il singolo individuo. Lo scrittore americano lascia intendere che una crescita incontrollata della popolazione rischierebbe di annullare diritti e democrazia. Che quella di Asimov non sia una boutade fantascientifica, lo dimostrano in questi giorni le aule parlamentari incredibilmente e a lungo vuote, il ricorso continuo e vertiginoso a strumenti normativi di rango secondario per incidere sulle nostre libertà, lo spostamento del baricentro decisionale verso i (troppi) ‘tecnici’.

 

L'autore

Raffaele Bifulco è Professore ordinario di Diritto costituzionale nel Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss.


Newsletter