Il lockdown dell’economia: i dati per capire da dove ripartire

30 aprile 2020
Editoriale Focus Ripresa
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Come molti altri paesi, per contrastare la diffusione del Covid-19 l’Italia ha deciso di limitare al minimo indispensabile la libertà di movimento e i contatti interpersonali, fermando anche larga parte delle attività produttive. Le misure adottate, come è naturale, hanno avuto ripercussioni rilevanti. Gli ultimi dati indicano un declino dei contagi (vedi figura 1). E si inizia a discutere di come riavviare l’economia.

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Figura 1: andamento infetti a livello nazionale.

 

Come sempre, le opzioni possibili sono più di una. Ognuna con i suoi costi e benefici. E per quanto i dati disponibili siano spesso parziali, e a volte fuorvianti, e l’analisi non sia semplice, è fondamentale ancorare le nostre valutazioni, e scelte, ai numeri. Perché il rischio è evidentemente quello di allentare le restrizioni troppo presto, causando un nuovo aumento dei contagi. Ma d’altra parte, il rischio è anche allentarle troppo tardi. Ogni giorno in più è un giorno di sofferenza per la nostra economia.

E la prima cosa da capire è intanto se il contenimento dell’epidemia sia stato effettivamente una conseguenza del lockdown. Per valutare l’efficacia delle misure sarebbe opportuno stimare di quanto ogni giorno di lockdown abbia ridotto il numero di contagi e quante vite siano state salvate a causa del provvedimento più restrittivo. In particolare, il decreto del 23 marzo ha ristretto di molto le attività economiche indicando un limitato elenco di attività consentite. Queste restrizioni sono andate ad aggiungersi alle precedenti restrizioni introdotte tra il 9 e 11 marzo, che invece limitavano il commercio all’ingrosso e al dettaglio, prevedendo (tra le altre) la chiusura di bar, ristoranti, e palestre. Uno studio recente suggerisce che il primo lockdown dell’11 Marzo abbia in effetti rallentato la dinamica dei contagi. Tuttavia, è importante capire se ciò sia vero anche per il secondo lockdown indirizzato più alle attività produttive che agli utenti di attività commerciali. La chiusura delle attività produttive ha un impatto potenzialmente molto ampio sull’economia italiana e occorre valutare i costi e benefici di tale misura.

In teoria, sfruttando la diversa prevalenza sul territorio delle attività consentite, è possibile valutare se il rallentamento nella diffusione del virus sia stata più marcata proprio dove un maggiore numero di lavoratori è stato interessato dalla chiusura delle attività produttive. Cosa suggeriscono in merito i dati attualmente e pubblicamente disponibili? La Protezione civile pubblica ogni giorno il numero totale di persone positive al Covid-19 a livello provinciale (e a livello regionale altri dati, come numero di decessi, tamponi effettuati o pazienti ospedalizzati). Inoltre, prendendo gli ultimi dati disponibili (2017) sul numero di addetti delle unità locali per settore Ateco (2 e 3 cifre) a livello comunale, si può effettuare un primo calcolo della frazione di addetti attivi e non attivi aggregati a livello provinciale. Semplicemente, si è calcolato il numero di addetti totali per provincia nei settori Ateco indicati negli allegati ai DPCM come settori la cui attività è consentita. Viceversa, gli inattivi sono gli addetti totali nei settori non ricompresi in tali elenchi. Per ottenere la frazione di attivi/inattivi si è poi diviso il numero degli inattivi per il numero totale di addetti per provincia. Naturalmente, dato che alcune attività erano già state limitate dai decreti del 9-11 marzo, per valutare gli effetti del blocco produttivo del 23 marzo, occorre prendere in considerazione la variazione della frazione degli inattivi dopo il 23 marzo. Questa variabile è la differenza tra la frazione degli inattivi secondo i DPCM del 9 e 11 marzo e la frazione degli inattivi secondo il DPCM del 23 marzo. La seguente mappa mostra la variazione nella frazione di inattivi a livello provinciale.


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Figura 2: Aumento frazione addetti inattivi post-lockdown

 

Si è quindi cercato di capire se sulla base di questi dati emerge un chiaro effetto del lockdown sui contagi, ovvero se una maggiore frazione di inattivi a livello territoriale indichi una diminuzione della dinamica dei contagi nel periodo dopo il blocco (post 23 marzo) rispetto al periodo antecedente il blocco (12-23 marzo). Come analisi preliminare, il seguente grafico mostra la variazione giornaliera nel numero totale di individui positivi al Covid-19 nelle province sopra (blu) e sotto (rosso) la mediana regionale in termini di variazione della frazione di inattivi post-lockdown.

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Figura 3: Dinamica contagi.

 

Il seguente grafico mostra una figura analoga restringendo il campione alle sole province con un numero di contagiati sopra la mediana nazionale alla data del lockdown (23 Marzo)

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Figura 4: Dinamica contagi (solo province sopra mediana contagi al 23 Marzo).

 

I due grafici non sembrano dare una chiara indicazione sull’effetto del lockdown nella direzione sperata: le province con un maggior numero di lavoratori inattivi non hanno una dinamica di aumento dei contagi significativamente più contenuta nel periodo post-lockdown.

Naturalmente questi dati “grezzi” non tengono conto di importanti fattori di eterogeneità territoriale e di variazioni temporali nelle dinamiche dei sistemi sanitari regionali (come ad esempio il numero di tamponi). Alcuni di questi fattori possono essere catturati in un modello di regressione lineare con effetti fissi a livello di provincia e di regione-giorno. I primi permettono di catturare eterogeneità tra diverse province. I secondi permettono di tener conto di variazioni complessive all’interno di una data regione e di un determinato giorno. La tabella mostra l’impatto sul numero di positivi al Covid a livello provinciale della frazione di inattivi interagita con una dummy post-lockdown.

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Risultati analoghi si ottengono considerando numero di positivi per capita (e relativi lag temporali per capita). Nonostante il segno dei coefficienti sia negativo (coerentemente con l’idea che la riduzione dell’attività economica riduca la diffusione del virus), i risultati di questa analisi preliminare non forniscono una chiara indicazione di effetti significativi del lockdown sul numero di contagi (i coefficienti non sono statisticamente diversi da zero e sono stimati con intervalli di confidenza troppo ampi).

Naturalmente, l’analisi va interpretata con molto cautela per varie ragioni. Per esempio, i dati epidemiologici sono disponibili solo a livello provinciale (il numero di contagi) o regionale (come il numero di tamponi effettuati), e non comunale. Ad esempio, non è possibile condurre l’analisi mostrata usando il numero di decessi o di ricoveri a livello comunale. Inoltre, il numero complessivo di contagi non corrisponde al numero di “nuovi contagi”, in quanto dipende anche dal numero di pazienti guariti o deceduti, e potrebbe essere molto diverso dall’effettivo numero di infetti per la presenza di pazienti asintomatici. Infine, la variabile chiave (variazione nella frazione di inattivi a livello provinciale) ha una bassa variazione all’interno di ogni regione che limita la capacità di stimare effetti con precisione. Per un’analisi in grado di dare chiare indicazioni di policy, sarebbe utile avere dati Ateco più disaggregati per attività produttiva (per esempio a più cifre a livello comunale) e sui settori non ricompresi nel registro delle unità locali. Oltre alla variabilità geografica, sarebbe importante considerare anche le eterogeneità nel rischio di contagio dei lavoratori operanti in diversi settori produttivi.

Una disponibilità maggiori di dati e più puntuali è fondamentale per analisi che consentano a chi ci governa di prendere scelte informate. Un test diffuso su un campione di popolazione rappresentativo consentirebbe di misurare il numero di infetti effettivo. L’analisi a livello di sistemi locali del lavoro sull’efficacia delle misure di blocco potrebbe consentire di individuare delle aree del paese dove allentare prima le misure restrittive e condurre un test pilota, che dovrebbe guidare la successiva ripresa dell’attività nel resto del paese.

L’articolo è precedentemente apparso su lavoce.info. Riprodotto per gentile concessione.

Gli autori

Nicola Borri è Ricercatore di Economia Politica al Dipartimento di Economia e Finanza alla Luiss


Francesco Drago è professore ordinario di Economia Politica all’Università degli Studi di Catania, research fellow del CEPR (Londra), dell’IZA (Bonn) e del CSEF (Napoli).


Francesco Sobbrio è professore presso il Dipartimento di Economia e Finanza della Luiss


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