Ecco perché il Recovery Fund segna una svolta per l’Europa

29 maggio 2020
Intervista Focus Ripresa
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A Francesco Saraceno, membro del consiglio scientifico della Luiss School of European Political Economy e Direttore del Dipartimento di Ricerca dell’OFCE Sciences-Po di Parigi, abbiamo chiesto di commentare a caldo la proposta della Commissione europea per la costituzione di un Recovery Fund che aiuti l’economia del Vecchio Continente a risollevarsi dopo la pandemia da Coronavirus.

Saraceno. La proposta della Commissione europea, cioè un piano di 750 miliardi di aiuti complessivi, di cui 500 miliardi di trasferimenti e 250 miliardi sotto forma di prestiti, è un “game-changer” per l’Unione europea, una svolta. Il salto di qualità è nel meccanismo stesso: per la prima volta siamo di fronte a una politica di bilancio comune dell’Unione. Vuol dire che si utilizzerà il bilancio comune dell’Ue per stabilizzare il ciclo economico e non solo per investimenti futuri o politiche di lungo termine. In concreto, la Commissione europea inizierà a prendere a prestito dai mercati oggi, creando un debito europeo, e poi inizierà a rimborsare questi prestiti a partire dal 2028 e fino al 2058. Ci saranno quindi fondi da spendere nel breve termine e da ripagare nel medio-lungo termine.

Luiss Open. Alcuni scenari, inclusi quelli delle Previsioni economiche di primavera della stessa Commissione, prevedono per i prossimi mesi una crescente disuguaglianza tra Nord e Sud dell’Europa, con economie in situazioni di partenza differente e con una diversa capacità di reagire alla pandemia. Il Recovery Fund impedirà questa temibile divaricazione?

Saraceno. Una seconda importante innovazione del meccanismo presentato ieri è che, proprio per attuare una politica di bilancio vera e propria, di stampo keynesiano si potrebbe dire, i fondi saranno allocati tra i diversi Stati membri in base alle necessità economiche degli stessi e non col vecchio criterio di chi ha contribuito di più al bilancio comune. In altre parole: chi avrà meno bisogno di questi fondi li trasferirà a chi ne ha più bisogno. Il fatto poi che questo debito sarà saldato a partire dal 2028, cioè con le risorse del prossimo bilancio settennale ancora tutto da decidere (visto che stiamo ancora negoziando il bilancio 2021-2028), implica ancora una volta che non sappiamo esattamente in quale proporzione ogni Stato membro sarà richiamato a ripagare; dipenderà dalla salute delle rispettive economie. Io comunque non parlerei di “solidarietà”; si tratta più precisamente di uno sforzo comune per tenere assieme l’euro, dalla cui eventuale rottura perderebbero tutti, Germania incluso. Aggiungo che la quantità dei fondi che saranno stanziati, secondo il progetto, è ragguardevole. Parliamo di 750 miliardi di euro tra trasferimenti e prestiti, da spendere in tre anni, ai quali sommare i 540 miliardi in prestiti decisi nelle settimane scorse, e le misure adottate dai governi nazionali che beneficiano dell’ombrello costituito dalle operazioni straordinarie di politica monetaria già messe in campo dalla Banca centrale europea.

Luiss Open. Siamo quindi arrivati agli ormai celebri “Eurobond” di cui si discuteva da almeno un decennio?

Saraceno. Non esattamente. Questo è un debito emesso dalla Commissione europea, non è un debito emesso congiuntamente dagli Stati dell’Ue. Ciò ha alcune implicazioni concrete. Il debito, per esempio, rimane totalmente europeo, è garantito dall’Ue e quindi dal suo bilancio settennale. Faccio pure notare che la Commissione è tornata a ipotizzare la creazione di risorse proprie, cioè di un bilancio alimentato con una web tax o una carbon tax per esempio, il che amplierebbe in futuro la portata del bilancio comunitario e dunque la sostenibilità di questo debito. Inoltre, sempre a differenza degli Eurobond classicamente intesi, già da subito le risorse mobilitate grazie al maggiore indebitamento saranno veicolate negli Stati che più ne hanno bisogno attraverso programmi comunitari. Ci sarà dunque un controllo europeo su come verranno spese le risorse, come accade per esempio coi fondi comunitari per le politiche di coesione.

Luiss Open. Adesso quali sono le principali opportunità e sfide per l’Italia?

Saraceno. Ci sono diverse simulazioni sul beneficio netto che l’Italia potrebbe ricavare dall’emissione di questo debito europeo. Si parla di oltre 30 miliardi di trasferimenti netti per il nostro Paese, cioè al netto del nostro contributo al bilancio comunitario. Risorse, sottolineo, che arriverebbero a partire dal 2021 e fino al 2024. Ora ci sono due sfide davanti a noi. La prima si gioca in Europa. La proposta della Commissione arriva all’indomani di un accordo politico fondamentale come quello tra Francia e Germania. Non a caso il piano di Bruxelles ricalca abbastanza da vicino quello avanzato da Macron e Merkel. Il motore franco-tedesco dell’Europa si è rimesso in moto ma non si possono escludere nelle prossime settimane resistenze di Stati più piccoli, i cosiddetti “frugali”, come Olanda e Austria. Certo, di fronte all’accordo delle quattro principali economie dell’Eurozona sarà difficile fare barricate. La seconda sfida si gioca tutta all’interno dei nostri confini: saremo capaci di spendere in modo efficace queste risorse aggiuntive? Le prove degli scorsi anni, coi fondi strutturali, non sono state esaltanti. Serve una svolta anche a livello nazionale.

 

 

 

intervista a

Francesco Saraceno è membro del consiglio scientifico della Luiss School of European Political Economy e Direttore del Dipartimento di Ricerca dell’OFCE Sciences-Po di Parigi.


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