Più fiducia nell’Europa
1 giugno 2020
Con la creazione di un debito comune di 750 miliardi garantito dal bilancio europeo, il piano della von der Leyen rappresenta una svolta storica per l’Europa e un passo importante verso una maggiore integrazione fiscale e politica. Alcuni lo hanno definito il “momento hamiltoniano”, dal nome del segretario al tesoro della giovane nazione americana che creò il debito federale incorporando i debiti degli stati. Gli eurobonds rispondono a diverse esigenze. La prima è dotare l’UE di un meccanismo di assorbimento degli shock di tipo inter-temporale: così come una famiglia tende a risparmiare quando ha un reddito elevato e indebitarsi se è in difficoltà, altrettanto dovrebbe fare una nazione. In sostanza, si tratta di trasferire risorse da domani a oggi e questo trasferimento non può essere delegato ai singoli paesi che compongono l’UE, perché alcuni di essi, tra cui l’Italia, hanno più difficoltà a trovare investitori disposti ad acquistare i propri titoli di stato. Il risultato è che l’UE nel suo insieme tende a usare in misura ridotta lo strumento del debito pubblico. Ma perché alcuni paesi dell’UE hanno una capacità di indebitamento limitata? Ciò accade per due ragioni alternative ma non incompatibili: la prima è che questi paesi sono intrinsecamente più rischiosi, la seconda è che il mercato cede a ondate di panico e attribuisce un rischio eccessivo ai titoli emessi dagli Stati più fragili dell’Eurozona. La prima interpretazione implica che gli eurobonds determinano un trasferimento dei rischi a carico dei paesi fiscalmente solidi, e spiega perché Austria e Olanda siano contrari al debito comune. La seconda interpretazione giustifica il ruolo di “compratore di ultima istanza” della BCE, che ha già fatto acquisti massicci di titoli di stato sul mercato e limitato la crescita degli spread. Ma la BCE non può essere lasciata sola: estendere oltre misura questi interventi accende un conflitto sui limiti di mandato della politica monetaria, come segnalato dalla recente sentenza della corte costituzionale tedesca. Questo è un altro motivo per cui gli eurobonds sono desiderabili: essi consentono alla BCE di avere più libertà di movimento e di sottrarsi alle pressioni politiche.
Tuttavia, il momento hamiltoniano inaugurato da Bruxelles pone questioni successive di difficile soluzione: quella delle garanzie, dell’azzardo morale e dell’entità dei debiti pubblici nazionali. Con i “recovery bonds”, la costituzione di un debito federale europeo è solo all’inizio, e rimane un obiettivo estremamente ambizioso. Io vedo due problemi principali: il primo riguarda la costituzione di un bilancio europeo in assenza di una vera unità politica a livello federale, e il secondo ha a che fare con la consistenza dei debiti nazionali. Partiamo dal primo punto. La proposta della von der Leyen implica il raddoppio del bilancio dell’UE, con maggiori tasse per i cittadini europei. Data la dimensione ancora ridotta del debito comune, si tratta di un costo tollerabile, e certamente vantaggioso per l’Italia, che dovrebbe ottenere in cambio 82 miliardi a fondo perduto. Se vogliamo che questo sia solo un primo passo per arrivare a un vero e proprio debito federale, allora dovremmo pensare a trasferire quote del gettito nazionale alle autorità sovranazionali riducendo la spesa pubblica con destinazione nazionale a favore di una spesa con destinazione sovranazionale (una soluzione per ora improbabile). Ma anche questo non sarà sufficiente. Un “non detto” nella discussione sugli eurobonds è la questione del “commitment”: cioè il valore della promessa, da parte di ciascun paese europeo, di rimanere per sempre nell’UE, continuare a contribuire al suo bilancio, oppure sottoporsi alle sanzioni o ai controlli che si renderebbero necessari se non riuscisse o non volesse più contribuire al bilancio federale. A me sembra che il problema del commitment sia dato per scontato dai federalisti più convinti, ma la “brexit” e la popolarità dei movimenti nazionalisti e populisti europei dimostrano che esso è molto serio. In altre parole, gli eurobonds sono strettamente legati al consolidamento di un sentimento popolare filo-europeo e della crescita della fiducia reciproca e della solidarietà. A loro volta, fiducia e solidarietà sono direttamente proporzionali ai benefici percepiti dai cittadini europei e al successo economico dell’UE. E qui veniamo al secondo ostacolo: il debito dei paesi dell’UE. La cifra di 750 miliardi proposta dalla von der Leyen è molto generosa, ma essa equivale a non più del 6% della somma dei debiti pubblici degli stati dell’Unione a fine 2019. Lo scenario che ci dobbiamo aspettare per i prossimi decenni è quello di una federazione europea in cui i debiti pubblici nazionali saranno molto elevati, e, nel caso dell’Italia, estremamente elevati. Occorre ricordare che nel 1790 Hamilton intendeva assegnare al governo federale il ruolo esclusivo di emettere debito e impedire agli Stati di avere accesso diretto al mercato. La morte in duello gli impedì di realizzare immediatamente questo progetto, ma successivamente gli Stati adottarono l’obbligo costituzionale del pareggio di bilancio. Ciò stabilizza la finanza pubblica americana ma ha un costo: gli Stati USA hanno oggi serie difficoltà finanziarie a causa del Coronavirus e della mancanza di fondi dal governo federale. Al contrario, tutti i paesi europei usciranno dalla pandemia con disavanzi fiscali molto elevati e il patto di stabilità è stato sospeso. Occorre allora evitare che la creazione di un debito pubblico europeo possa generare un aumento dei rischi (reali o percepiti) sui debiti nazionali, e frenare la crescita. Questi rischi potrebbero essere alimentati dall’assenza di limiti all’autonomia di spesa degli Stati (azzardo morale) e dal fatto che, per alcuni di essi, potrebbe aumentare la tentazione di uscire da un’Unione Europea gravata da maggiori imposte, vincoli e condizioni. In questo caso si potrebbe porre, presto o tardi, il problema di consentire un default più o meno mascherato.
Possiamo evitare questo scenario? La proposta di usare i “recovery bonds” per trasferimenti a fondo perduto suggerisce che i paesi forti e la Commissione sono consapevoli della necessità di limitare i debiti sovrani. Ma ciò renderà più stringenti i controlli reciproci e le condizionalità. Probabilmente per l’Europa è arrivato il “momento di Hamilton”, ma non sarà un percorso facile, ed esiste un solo un modo per affrontarlo: rafforzare il consenso dei cittadini nei confronti del progetto europeo e affermare l’irreversibilità dell’Euro.
Questo articolo è precedentemente apparso sul Sole 24 Ore del 29 maggio 2020. Riprodotto per gentile concessione.
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