Come promuovere l’eguaglianza tra gli Stati?

2 giugno 2020
Editoriale Europe | Focus Ripresa
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La proposta avanzata dalla Commissione europea, per affrontare le conseguenze della pandemia, ha un’importanza sia economica che politica. Sul piano economico, la Commissione ha proposto di attivare un programma (“Next Generation EU”) di 750 miliardi di euro, di cui 500 di sussidi e 250 di prestiti, da aggiungere al bilancio pluriennale dell’Unione europea (Ue) di 1.100 miliardi, per un totale di 1.850 miliardi di euro (somma a cui occorre aggiungere i 540 miliardi già decisi nelle settimane scorse). Siamo al di sotto del budget mobilitato dagli Stati Uniti per affrontare gli effetti della pandemia, ma siamo al di sopra di ciò che molti si aspettavano. Ma è soprattutto sul piano politico che la proposta della Commissione introduce una vera e propria discontinuità. Per la Commissione, “Next Generation EU” dovrebbe essere finanziato attraverso un debito europeo, garantito dal budget pluriennale dell’UE, a sua volta incrementato da “nuove risorse proprie” (ovvero, tasse europee). Tale proposta fiscale (se verrà accettata dal Consiglio europeo) avrà conseguenze cruciali sull’eguaglianza tra gli stati dell’Ue. Vediamo perché.

Chi controlla le tasse e la forza, ha scritto più volte Max Weber (un gigante della sociologia, 1864-1920), controlla il potere politico. La formazione dei moderni stati nazionali è il risultato di una lotta senza quartiere per controllare le une e l’altra. Le tasse hanno consentito (ai costruttori degli stati) di acquisire la forza, la forza è stata indispensabile affinché essi potessero estrarre le tasse. Non può stupire, dunque, che gli stati europei abbiano cercato di opporre una resistenza tenace al trasferimento di quote del loro potere fiscale (oltre che militare) nelle istituzioni sovranazionali, una volta che hanno attivato il processo d’integrazione postbellica. Quest’ultimo ha condotto alla federalizzazione del mercato unico, ma tale federalizzazione si è fermata quando si è trattato di aprire la porta del potere fiscale (e militare). Le istituzioni sovranazionali ancora oggi non dispongono di un potere di tassazione diretta. Il bilancio dell’Ue è costituito per più di 2/3 da trasferimenti finanziari degli stati membri. che hanno potuto così preservare il loro potere fiscale (rispetto alle istituzioni sovranazionali). Eppure, come è avvenuto spesso nella storia, una contingenza ha imposto di cambiare corso. Poiché la pandemia ha colpito la generalità degli stati membri dell’Ue, non sarebbe stato possibile rispondere ai suoi effetti devastanti attraverso un incremento dei loro trasferimenti sul budget europeo. Di qui, la necessità di ricorrere a nuove fonti finanziarie.

Se chi controlla le tasse controlla il potere, allora è evidente che attivare una tassazione europea vuole dire ridurre il potere degli stati membri e accrescere quello delle istituzioni sovranazionali. E’ questa la natura politica della frattura che è emersa tra i cosiddetti Paesi “frugali” (Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia), sostenuti da diversi leader dei Paesi del nord, e i Paesi del sud d’Europa più colpiti dalla pandemia (Italia, Spagna e Francia). Tale frattura politica concerne, nientemeno, che l’eguaglianza tra gli stati. I Paesi del nord, infatti, riaffermando il principio della dipendenza fiscale dell’Ue dagli stati membri, chiedono che l’aiuto fornito ai Paesi del sud abbia la forma di prestiti da restituire (e non di sussidi). Poiché la pandemia ha indebolito i Paesi del sud più che i Paesi del Nord (almeno per ora), le future restituzioni accentuerebbero il vantaggio dei secondi sui primi. Tant’è che la Commissione, nel rapporto che ha giustificato la sua proposta, fa notare che “la pandemia ha creato il rischio di una ricostruzione economica sbilanciata, di un campo da gioco ineguale che è destinato ad allargare le disparità tra gli stati”. Disparità che si erano già affermate durante le crisi dello scorso decennio, proprio a causa della loro governance intergovernativa. Così, nonostante ciò che afferma l’Art. 4 del Trattato sull’Unione europea (“L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri”), la governance intergovernativa ha reso alcuni stati (con i relativi governi, parlamenti e corti costituzionali) più eguali di altri. Tale ineguaglianza è stata addirittura rivendicata dalla Corte costituzionale tedesca con la sua sentenza del 5 maggio scorso.

L’eguaglianza tra gli stati costituisce una sfida sistemica per un’unione di stati. Promuovere l’eguaglianza tra Paesi asimmetrici (basti pensare alla Germania con più di 83 milioni e Malta con meno di 500.000 abitanti) richiede un metodo federale (per dirla con James Madison, 1751-1836, un gigante della scienza politica). In un’unione di stati asimmetrici, rispondere a minacce comuni con risorse fiscali nazionali significa accentuare l’ineguaglianza. Dietro il principio dell’esclusiva sovranità fiscale degli stati, si nasconde infatti l’esercizio ineguale di quella sovranità. Nel caso dell’Ue, anche se i sostenitori della logica intergovernativa (con le sue appendici interparlamentari e inter-giudiziarie) non ne sono consapevoli, quella ineguaglianza minaccia la sostenibilità del mercato unico. Se è vero, come ha scritto Tony Atkinson nel suo ultimo libro (2015), “che è difficile rimanere ricchi in una società di poveri”, è altrettanto vero che è difficile che un Paese cresca mentre altri Paesi decrescono in un mercato unico. Ecco perché occorrono programmi di ribilanciamento tra stati, come “Next Generation EU”, in quanto sostenuti da una fiscalità indipendente da quegli stessi stati.

Insomma, se le tasse costituiscono la sostanza del potere, la risposta europea alla pandemia ha portato in superficie la frattura tra chi vuole che il potere rimanga negli stati membri e chi invece ritiene che sia necessario trasferirne una parte alle istituzioni sovranazionali. L’esito di tale contrasto avvicinerà, oppure allontanerà, la condizione materiale dell’Ue al principio legale di eguaglianza tra stati (su cui essa si fonda). E’ bene ricordarsi però che, così come gli stati nazionali hanno avuto vita breve quando si sono basati sulla disuguaglianza sociale, le unioni di stati non hanno avuto vita lunga quando hanno finito per accentuare l’ineguaglianza tra i loro stati membri.

Questo articolo è precedentemente apparso il 30 maggio sul Sole 24 Ore. Riprodotto per gentile concessione.

L'autore

Sergio Fabbrini è professore di Scienza politica e Relazioni internazionali e direttore del Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss. È anche Pierre Keller Professor presso la Harvard Kennedy School. 


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