I limiti del bilancio e del “metabolismo costituzionale” dell’Unione

2 giugno 2020
Editoriale Europe
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Il bilancio europeo, al centro di un intenso dibattito oggi, è stato un oggetto tradizionalmente poco considerato dai giuristi. Sistematicamente criticato per le sue dimensioni assai circoscritte e per il forte condizionamento che su di esso esercitano i governi degli Stati membri, non è mai stato elevato agli “onori” delle cronache costituzionali.

Eppure, la crisi del debito che ha colpito l’Eurozona a partire dal 2010, la crisi migratoria dal 2015, con il controverso accordo tra UE e Turchia – beneficiaria di un cospicuo sostegno finanziario, gestito al di fuori del budget UE in senso stretto – e la crisi della rule of law nell’Europa dell’est hanno tutte almeno un nodo problematico in comune: l’insufficienza del bilancio europeo rispetto agli obiettivi che l’Unione si pone e rispetto alla protezione dei suoi valori fondamentali (art. 2 TUE). Questi limiti sono ora emersi in modo drammatico nella crisi generata dalla pandemia, nonostante tra le iniziative della Commissione europea e la risposta fornita dalla Banca centrale europea (BCE) sia stato già stanziato oltre un miliardo di euro.

Può l’Unione europea rivendicare credenziali genuinamente costituzionali e democratiche in assenza della effettiva capacità di mobilitare risorse in autonomia dagli Stati? O, quanto meno, senza essere sempre costretta ad arrestarsi rispetto a singoli interessi e veti nazionali? Secondo Peter L. Lindseth (cfr. qui), quando ci si interroga sulla natura costituzionale dell’UE, prima ancora di vedere se effettivamente l’Unione riesce ad assicurare le principali funzioni che ogni ordinamento fedele ai principi del costituzionalismo liberale dovrebbe svolgere – ossia, un certo grado di protezione dei diritti e di separazione dei poteri, contro l’arbitrio della pubblica autorità – occorre controllare se un tale ordinamento è prima di tutto nelle condizioni di fondare e “costituire” quei poteri. È in grado, cioè, di ottenere e mobilitare risorse, umane e finanziarie, in modo legittimo e vincolante? Guardando alla Decisione sulle risorse proprie, alle defatiganti negoziazioni sul quadro finanziario pluriennale, al tanto discusso Meccanismo europeo di stabilità e, ora, all’istituzione del Recovery Fund, sembra quanto meno dubbio che l’Unione riesca davvero a controllare il suo “metabolismo costituzionale”. Del resto, gli stessi art. 123 e 125 TFUE, rispettivamente, sul divieto di assistenza finanziaria agli Stati da parte della BCE e sulla no bail-out clause dell’Unione, e la mancanza di volontà di istituire una serie di imposte a livello europeo, nonostante le numerose proposte avanzate negli ultimi anni (da quella sulle transazioni finanziarie, a quella sull’economia digitale, fino alla c.d. carbon tax), parlano chiaro.

I limiti della Costituzione “metabolica europea” sono emersi in tutta la loro tragicità nelle ultime settimane. Sono vincoli tutti nazionali; anzi, derivano da una certa interpretazione delle Costituzioni nazionali. Una pista di ricerca che appare particolarmente promettente, finora poco battuta, è proprio quella volta ad esaminare in prospettiva comparata i limiti derivanti dalle normative e dalle giurisprudenze nazionali all’ulteriore conferimento di poteri fiscali e di bilancio all’Unione europea e se e in che misura questi siano aggirabili, anche in virtù della formulazione delle clausole costituzionali.

Segnali particolarmente preoccupanti già erano emersi nell’estate del 2015, a margine della negoziazione del terzo pacchetto di aiuti finanziari alla Grecia, quando l’avvio dei negoziati, prima, e le sorti del Memorandum of Understanding siglato, poi, erano nelle mani di alcuni Parlamenti nazionali di “Stati creditori” – quelli austriaco, estone, finlandese e tedesco – la cui approvazione era costituzionalmente necessaria. Il problema si ripropone adesso. Anche se se ne è parlato poco, la commissione affari costituzionali del Parlamento finlandese, che svolge un controllo di costituzionalità ex ante su disegni di legge e progetti di accordi internazionali e una valutazione di massima della conformità a Costituzione delle proposte e degli impegni assunti dal Governo, anche nelle sedi europee, ha prima affermato che l’introduzione di “corona bonds” avrebbe potuto richiedere una modifica della Costituzione, mettendo in discussione l’effettività della garanzia dei diritti economici e sociali dei cittadini finlandesi. Quindi, la stessa commissione parlamentare ha successivamente considerato la nuova linea di credito del MES per finanziarie le spese sanitarie, per la cura e per la prevenzione, contraria alla Costituzione e al diritto UE (!), in quanto priva di condizionalità (cfr. P. Leïno, qui e qui).

Quasi in contemporanea, il 5 maggio 2020, il Tribunale costituzionale federale tedesco ha adottato la sua controversa decisione sul caso Weiss. La sentenza, ampiamente commentata, appare assai discutibile nel metodo e nel merito, ma porta alle estreme conseguenze un ragionamento sul principio di democrazia rappresentativa collegato all’identità costituzionale tedesca che questo Tribunale costituzionale ha elaborato per gradi, prima intervenendo sul Trattato di Maastricht, poi sul Trattato di Lisbona, quindi, durante la crisi dell’Eurozona, sui numerosi accordi intergovernativi, prestiti e fondi istituiti, nonché sugli strumenti di politica monetaria non convenzionali della BCE. Il problema è ravvisato dal Tribunale nella supposta sproporzione tra gli effetti economici del Public Sector Purchase Programme e le conseguenze che ne derivano sui diritti dei cittadini (risparmiatori e pensionati tedeschi); cittadini il cui diritto ad essere democraticamente rappresentati è stato messo in discussione dal Parlamento e dal Governo nazionali, colpevoli di non essersi opposti alla decisione di una istituzione europea tecnica e indipendente, dotata di una assai limitata accountability democratica, come la BCE.

È proprio sulla distonia tra la (disperata) necessità di mobilitare risorse proprie che le istituzioni europee chiaramente avvertono – con la BCE che ha tentato di fare il possibile per assicurare la stabilità dell’euro, con l’avallo della Corte di giustizia europea – e sostenibilità democratica delle decisioni europee, che (alcune) autorità nazionali mettono in discussione, senza però voler dotare l’Unione o l’Eurozona di un autonomo metabolismo costituzionale, che si gioca il futuro del costituzionalismo europeo.

 

L'autore

Cristina Fasone è Ricercatrice (t.d.) in Diritto pubblico Comparato presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss


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