Spagna e Italia sono a oggi i paesi più colpiti del Vecchio Continente dalla pandemia causata dal Covid-19 che attanaglia l’intero globo dalla fine dello scorso anno. Madrid e Milano sono assurte a simbolo delle aree più martoriate dei loro rispettivi paesi, ma le reazioni politiche e la tenuta degli equilibri politico – istituzionali sono state differenti.
A quasi una settimana di distanza dal primo DPCM del premier Conte, anche il suo omologo spagnolo Sánchez, seguendo tuttavia il più consueto iter del decreto-legge, ha dichiarato lo stato d’allerta nazionale, e con effetto immediato ha limitato tutti gli spostamenti e chiuso le frontiere di accesso alla penisola per limitare il propagarsi del virus. Come in Italia la curva dei contagi è stata asimmetrica ed ha colpito prevalentemente la Comunità di Madrid e alcune aree a sud del paese. Il Parlamento inizialmente ha seguito e sostenuto le scelte governative e anche il rapporto centro- periferia ha dimostrato una buona tenuta fino alla recente decisione di differenziare la fine del lockdown a seconda dell’intensità del contagio raggiunto nelle varie comunità autonome.
In quella che in Spagna chiamano fase 0 (equivalente alla nostra fase I), il premier ha svolto settimanalmente gli incontri virtuali con i vertici delle Comunità Autonome e – nonostante l’abrogazione di fatto – di alcune prerogative storiche a livello locale- si è registrato un clima di collaborazione sulle regole imposte a livello centrale.
Tuttavia con il passare delle settimane il sostegno al governo da parte del legislativo è iniziato a decrescere. Ciò nonostante il premier anche nella fase più critica, quando si contavano quasi 1500 morti al giorno, non ha voluto forzare i dettami costituzionali e si è mosso nel rispetto dell’articolo 116, il quale prevede che lo stato d’allerta dichiarato dal governo, mediante decreto deliberato in Consiglio dei Ministri, abbia una validità di 15 giorni, ed ogni successiva proroga necessiti una nuova autorizzazione parlamentare.
L’iniziale condivisione della necessità di congelare le divisioni ideologiche per affrontare l’emergenza sanitaria ha riportato alla memoria degli spagnoli gli anni della Transizione. Allora il timore che la crisi economica potesse fare deragliare il processo democratico spinse gli attori politici in campo a smussare le differenze e mettere al primo posto l’obiettivo della riforma politico-istituzionale per superare il passato franchista. Guardando a quella stagione, lo scorso mese, il premier Sanchez ha proposto di rilanciare i Patti della Moncloa, assurti a simbolo della politica del consenso. L’obiettivo era allora evitare che le conseguenze della crisi petrolifera travolgessero il processo di democratizzazione, oggi è impedire che la pandemia comprometta la ricostruzione economica e la qualità della democrazia.
Nei tardi anni Settanta fu quella improvvisata coalizione l’Unión de Centro Democrático- nata appositamente per fare traghettare il paese verso la democrazia – in cui confluirono covidantichi franchisti riformisti e antifranchisti moderati- a tendere la mano verso il partito comunista e riprodurre un equilibrio sistemico “all’italiana” (tentativo poi fallito a causa dell’ascesa del partito socialista); all’inizio della pandemia sono stati invece i socialisti, pur rivolgendosi a tutti i partiti dell’arco parlamentare, a guardare con particolare attenzione ai popolari di Pablo Casado.
Al di là delle misure economiche da mettere in campo per trovare la quadra tra progetti a favore del rilancio di una politica assistenzialista attraverso l’aumento del debito – sostenuta dall’attuale compagine governativa, e quelli a favore della privatizzazione e defiscalizzazione per gli investimenti, sostenuta dall’opposizione, politicamente l’ipotesi di un nuovo “patto” apre uno spazio a favore di maggioranze alternative a quella attuale formata dai Socialisti e da Unidas Podemos.
Con il passaggio alla fase I e la progressiva normalizzazione, l’apertura e la disponibilità al dialogo non è tuttavia venuta dai popolari, ma da un altro rappresentante dell’area di centro- destra: Ciudadanos. Questi ha sostenuto la scelta del governo di scaglionare la fine del lockdown per regioni, lasciando ancora chiusa la Comunità di Madrid. Il sostegno parlamentare di Ciudadanos al governo Sanchez ha di fatto indebolito l’area di centro destra occupata insieme a Vox e il PP, e ancora una volta – anche se con numeri più esigui- ha messo in dubbio la tenuta del governo attuale in vista anche della votazione della prossima legge di Bilancio, prevista per ottobre.
Gli scenari sono aperti, Vox e il PP si discostano sempre più dalle scelte del governo, la tenuta del rapporto stato –regioni si è sfaldata con la scelta di differenziare i tempi di riapertura, creando anche delle gelosie tra comunità autonome confinanti. Da un punto di vista politico si fa spazio anche l’ipotesi di un governo tecnico. È una novità assoluta. Dalla fine del franchismo fino ad oggi la classe politica non aveva sperimentato un processo di delegittimazione di così ampia portata, nel 2008 lo scossone della crisi economica aveva accelerato il ricambio di leadership all’interno dei partiti tradizionali insieme all’ascesa di nuovi attori, ma non erano state avanzate svolte tecnocratiche. La sfiducia nell’attuale classe politica e nelle istituzioni è ancora maggiore di allora. La società civile non accetta di scegliere tra la tutela della salute pubblica e la ripresa economica.
Serve un cambio di passo e il ritorno allo spirito della condivisione degli obiettivi. Solo il trionfo della logica del compromesso può scongiurare il rischio dell’impianto di governi tecnici o ancor peggio l’ascesa di leadership divisive che cavalcano il montante malcontento sociale.