L’età barbarica. Salvini e il centro-destra alla prova del covid

10 giugno 2020
Editoriale Focus Ripresa
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Che ruolo avranno i «barbari» sovranisti nella travagliatissima Italia post-pandemia? La loro decisione di scendere in piazza nel giorno della Repubblica e l’appello del Presidente Mattarella all’unità morale della nazione danno rilievo a questa domanda. Come merita, perché dalla risposta che troverà dipendono non soltanto i destini dell’opposizione, ma anche quelli della maggioranza e del sistema politico nel suo complesso. I barbari sono una soluzione, dopo tutto.

Si ripete spesso che i sovranisti sono in crisi. È un’affermazione non infondata, ma nemmeno del tutto corretta. Alle elezioni europee del maggio 2019 la Lega ha raccolto più del 34% dei voti e Fratelli d’Italia circa il 6,5%. A un anno esatto di distanza la supermedia Youtrend dei principali sondaggi dà Salvini sopra il 26% e Meloni al 14,5%. Insieme facevano il 40,7% allora, fanno il 40,8% adesso. Il segnale è chiaro: una parte minoritaria ma consistente del Paese si riconosce nel loro messaggio politico, e né i loro errori, né le iniziative delle altre forze politiche, né gli avvenimenti domestici, europei e internazionali, per quanto drammatici, l’hanno indotta a spostarsi da lì. Almeno per ora.

Tutto bene per i barbari, quindi? Non direi. La crescita apparentemente inarrestabile di Salvini lo collocava in una posizione egemonica nella Lega e nella coalizione di destra-centro. Questo non gli consentiva soltanto grande libertà di movimento, ma soprattutto ne faceva il simbolo e il riassunto dell’intera area sovranista. Il leader incarnava il messaggio politico e ne rappresentava il principale veicolo comunicativo, come – con le dovute, notevoli differenze fra i due personaggi – è stato per anni con Berlusconi.

Il venir meno di questa condizione da un lato rende scalabile la guida del destra-centro, destabilizzandolo. Dall’altro, e in maniera forse più profonda ancora, pone il problema di quale sia l’identità politica di quello schieramento nel momento in cui la leadership di Salvini, col suo estremismo ma anche con la sua innegabile capacità di penetrazione comunicativa, non la riassume più del tutto. Su questo terreno il destra-centro, se non proprio all’anno zero, è certamente in ritardo. E il leader leghista lo è più di Meloni – comprensibilmente, visto che finora ha vinto giocando con uno schema solo, e ora è chiamato a mostrare di saper cambiare schema.

La questione diviene più urgente ancora, per le forze d’opposizione, se alla miscela aggiungiamo due ingredienti ulteriori. Forza Italia, in primo luogo. Emblema di un problema ben più grande delle sue dimensioni elettorali, quello del rapporto fra centrodestra «classico» e destra sovranista – ossia fra Europa e sovranismo. E in secondo luogo le due grandi sfide che il Paese dovrà affrontare nei prossimi mesi: la crisi economica e l’esplosione del debito. A oggi è pressoché impossibile prevedere sia quali conseguenze politiche e sociali avrà la recessione, sia che cosa avverrà delle nostre finanze pubbliche – la partita europea, al netto dei trionfalismi prematuri, essendo ancora del tutto aperta. È possibile però immaginare che nei prossimi 12-18 mesi la politica italiana sarà messa terribilmente sotto pressione. Molte carte potrebbero allora essere redistribuite, molti rapporti di forza rovesciati, e chi avrà le idee chiare su dove mettere le mani e saprà mostrarlo agli italiani avrà le maggiori probabilità di sopravvivenza e di successo.

Ma i barbari, si diceva in principio, non sono soltanto una soluzione per se stessi, lo sono anche per i loro avversari. Salvini ha rappresentato la principale ragion d’essere dell’alleanza fra Partito democratico e Movimento 5 stelle e del secondo governo Conte, e per mesi ha tenuto in piedi questo e quella. È sempre possibile, naturalmente, sostituire al suo spauracchio il babau della coalizione sovranista e andare avanti. Vale però il discorso che abbiamo già fatto: la coalizione sovranista non equivale a Salvini – tanto meno al Salvini che vince elezioni l’una dietro all’altra e si permette di reclamare i pieni poteri.

L’impossibilità di «appoggiarsi» al leader leghista aggrava il problema dell’identità politica del Pd e ancor più del M5S, per non dire di quella del loro sempre precario matrimonio di potere. Se le sfide dei prossimi mesi sono cruciali per l’opposizione, poi, a maggior ragione lo saranno per le forze di governo. Che, certo, diversamente dai partiti del destra-centro avranno tanti soldi per comprarsi la benevolenza del Paese. Ma rischiano di fallire ugualmente se non riusciranno a mettere in campo qualche idea chiara e condivisa su come spendere quei quattrini, se non quella che è meglio li spendano loro dei sovranisti.

 Questo articolo è precedentemente apparso su La Stampa il 2 giugno 2020. Riprodotto per gentile concessione

L'autore

Giovanni Orsina è il Direttore della Luiss School of Government


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