Il ruolo dell’Europa nello scenario internazionale post pandemico

16 giugno 2020
Editoriale Europe | Focus Ripresa
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Non poteva essere diversamente. La pandemia sta spingendo l’Unione europea (Ue) e i suoi stati membri a fronteggiare le sue conseguenze economiche e sociali al loro interno. Eppure, la pandemia ha accelerato processi di trasformazione del sistema internazionale che avranno un impatto sulla capacità, dell’Ue e dei suoi stati membri, di gestire quelle conseguenze (sarebbe bene che a Villa Doria-Pamphilij se ne ricordassero). Se è vero che il mercato unico europeo ha potuto svilupparsi nelle condizioni di un sistema internazionale multilaterale imperniato sull’alleanza transatlantica, la messa in discussione di quel sistema è destinata a ridimensionarne le potenzialità, in particolare dopo la crisi pandemica. La sostituzione del multilateralismo con lo scontro tra grandi potenze ha reso evidente la debolezza strutturale dell’Ue, quella di essere un gigante economico ma un nano politico. Se l’alleanza transatlantica (Nato) e gli Stati Uniti (Usa) garantiscono sempre di meno l’Europa, come garantire la nostra sicurezza economica e sociale, oltre che il nostro sistema di valori?

Cominciamo dagli Usa. Questi ultimi continuano ad essere l’unica potenza globale esistente. Le previsioni sul loro declino si sono rivelate esagerate (Ruchir Scharma e Mick Cox). Piuttosto che il declino degli Usa, è stata l’ascesa di altre grandi potenze (Cina, in particolare) che ha condotto alla ridefinizione dei rapporti di potere internazionali. La crisi pandemica ha accelerato la formazione di un sistema di grandi potenze (Graham Allison) in cui nessuno è in grado di imporsi sugli altri, ma in cui nessuno vuole collaborare con gli altri (Richard Haas). Lo scontro esterno è divenuto la condizione per generare il consenso interno. Si guardi agli Usa. Il presidente Trump ha spinto verso la radicalizzazione dello scontro con la Cina, non solamente perché quest’ultima è responsabile della diffusione della pandemia ma anche perché ha bisogno di trovare un parafulmine per le conseguenze economiche di quest’ultima (nell’ultimo mese, più di 40 milioni di americani hanno fatto richiesta di un sussidio di disoccupazione, alla fine del 2020 il deficit federale sarà del 18,7 per cento del Pil e il debito federale sarà superiore alle stesse dimensioni dell’economia nazionale). Ma la Cina non è l’unico nemico per Trump. In un tweet di pochi giorni fa, il presidente ha minacciato il ritiro di 9.500 soldati americani dalla Germania come reazione al rifiuto di Angela Merkel di partecipare di persona ad una riunione del G-7 a Washington D.C. (anche se nessuna decisione ufficiale è stata finora presa). Naturalmente, Joe Biden potrebbe sostituire Donald Trump il prossimo novembre. Ma la pelle dell’orso non è ancora in vendita. Joe Biden è in testa nei sondaggi nazionali, ma Donald Trump è competitivo nei collegi elettorali degli stati (come Ohio, Wisconsin, Pennsylvania, Michigan e Florida) in cui si deciderà l’elezione presidenziale. Inoltre, le tendenze nazionaliste continueranno a farsi sentire nel Senato, istituzione cruciale per la politica estera e di difesa. Comunque vada, è indubbio che l’alleanza transatlantica dovrà essere radicalmente ripensata (Nick Burns).

Veniamo all’Ue. I suoi principali leader sembrano essere consapevoli dei cambiamenti intervenuti. Il 27 maggio scorso, di fronte al Bundestag, Angela Merkel ha riconosciuto che “la pandemia ha modificato in modo radicale molte cose” obbligando l’Ue ad agire “come forza responsabile non solo al suo interno, ma anche verso l’esterno…La pandemia è uno stress test per la politica estera e di sicurezza europea”. In un articolo dell’aprile 2020 (pubblicato in Italia dall’Istituto Affari Internazionali), Josep Borrell, il capo della diplomazia europea, ha sostenuto che l’Ue deve “proteggersi collettivamente”. In un’intervista al Financial Times del 17 aprile scorso, Emmanuel Macron ha ricordato “che l’Ue è giunta ad un momento di verità, decidere se vuole divenire un progetto politico oppure rimanere semplicemente un progetto di mercato”. Tuttavia, a tali dichiarazioni, non sembrano seguire scelte conseguenti. Anzi, per fare fronte alla crisi pandemica, si sta registrando una pressione per ridurre le risorse previste (nel bilancio pluriennale 2021-2027) per lo European Defense Fund (EDF), oltre che per programmi più limitati come Military Mobility o European Medical Command. Con l’uscita del Regno Unito, la leadership francese ha parlato più volte di dotare l’Ue di “autonomia strategica”, ma si è guardata dal proporre la condivisione europea del seggio francese al Consiglio di sicurezza dell’Onu. La Francia chiede alla Germania di condividere i rischi fiscali, ma è restia a condividere le sue risorse militari. Anche se il commissario Thierry Breton è al lavoro per promuovere le basi tecnologiche e industriali della politica militare e della difesa europee, senza le quali l’Ue non potrebbe acquisire un’autonomia operativa, la pandemia ha aperto divisioni tra stati che rendono difficile la loro cooperazione. Certamente, la rielezione di Trump obbligherebbe l’Ue a superare tali divisioni, ma ciò avverrebbe in un sistema internazionale deteriorato e inospitale. La sconfitta di Trump interromperebbe la deriva nazionalista degli Usa, ma allo stesso tempo ridurrebbe la spinta affinché l’Ue si doti di una sua autonomia militare e operativa. Un paradosso che richiede (per uscirne) la creazione di una capacità militare europea (limitata ma autonoma) con cui riequilibrare la leadership americana della Nato.

Insomma, l’Ue non dovrà diventare una grande potenza, ma non potrà neppure divenire la preda di grandi potenze (come sta avvenendo con Huawei). Anche sul piano della politica militare e della difesa, come sta cercando di fare sul piano della politica fiscale, essa dovrà cambiare paradigma. Non si tratta di sottrarre sovranità militare agli stati membri, ma di creare una sovranità militare dell’Ue, limitata ma indipendente dai suoi stati membri. Così come l’Ue si sta dotando di una fiscal capacity per rispondere alle domande interne, dovrà anche acquisire una military capacity, all’interno di una rinnovato Nato, per rispondere alle minacce esterne. La nostra sicurezza, economica e militare, oltre che del sistema di valori che ci caratterizza, è nelle nostre mani.

Questo articolo è precedentemente apparso sul Sole 24 Ore il 13 giugno 2020. Riprodotto per gentile concessione.

L'autore

Sergio Fabbrini è professore di Scienza politica e Relazioni internazionali e direttore del Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss. È anche Pierre Keller Professor presso la Harvard Kennedy School. 


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