Perché l’emergenza spinge verso un nuovo modello ospedaliero
17 giugno 2020
La pandemia legata al Coronavirus ha portato numerosi cambiamenti non solo nella nostra vita quotidiana, ma anche nella percezione che ognuno di noi ha degli altri. Si stanno infatti moltiplicando gli attestati di stima nei confronti del personale sanitario, accompagnati da una rinnovata fiducia nella sua professionalità. Questa atmosfera positiva e partecipativa ha aiutato chi era in prima linea nella lotta al virus ad affrontare con uno spirito più sereno situazioni difficili, stanchezza, crollo psicologico. Si tratta di una conquista importantissima, da preservare quando ritorneremo ad una situazione di normalità. Abbiamo tutti infatti acquisito consapevolezza, in questa tragica evenienza, di alcuni aspetti essenziali riguardo la gestione della sanità. In primo luogo, non è possibile garantire una assistenza corretta in assenza o in carenza di spazi idonei, apparecchiature quantitativamente adeguate, specifici dispositivi di protezione, ma soprattutto di un numero sufficiente di personale. In secondo luogo, la medicina non può garantire a tutti un risultato positivo, ma deve tener conto delle caratteristiche individuali del soggetto (età, condizioni generali, pregresse patologie), che possono influire sull’esito. In terzo luogo, di fronte ad un fenomeno così grave e sconosciuto, le acquisizioni della scienza medica hanno bisogno di un lungo periodo di sperimentazione e quindi le informazioni day by day vanno interpretate con il beneficio del dubbio. Si è anche compreso che nella ricerca come nella assistenza bisogna agire non individualmente ma attraverso team multidisciplinari, perché solo abbandonando modelli di protagonismo individuale e partendo dal confronto e dal lavoro di gruppo, è possibile arrivare a soluzioni più condivise e sicure. Nel valutare la qualità delle prestazioni occorre inoltre considerare, come evidenziato dalle drammatiche immagini dell’emergenza, che in campo sanitario al normale peso lavorativo si aggiunge una importante quota di stress psicologico.
Tutto ciò ha cominciato a portare trasparenza all’interno degli ospedali, rappresentando un primo ma significativo passo verso la creazione di un modello di ospedale-casa di vetro, in cui personale sanitario e utenti possono confrontarsi in un positivo effetto di reciproca interazione, così potenziando l’efficacia delle cure. È infatti fondamentale superare il progressivo deterioramento del rapporto pazienti-parenti / personale sanitario, che aveva influito in maniera assolutamente negativa sul processo di cura, determinando da un lato sfiducia preconcetta dei primi nei confronti di tutto l’apparato ospedaliero, con incremento delle rivalse legali; da un altro lato, una progressiva demotivazione lavorativa e conseguente corsa al pensionamento. Solo una emergenza drammatica come quella che abbiamo vissuto poteva dare una percezione completamente diversa di medici ed infermieri, oggi emblematicamente acclamati come veri e propri eroi, anche attraverso il riconoscimento pubblico che ad essi ha voluto tributare il Presidente della Repubblica.
Ora, nell’avviarci ad un ritorno alla normalità, non dimentichiamo il monito della Corte dei Conti che nel suo recente Rapporto sulla Sanità Pubblica ha acceso un faro sulle rilevanti carenze del sistema sanitario. Un bilancio che evidenzia, a fronte dell’aumento della spesa diretta delle famiglie (+14,1%) un taglio di circa 27.000 lavoratori a tempo indeterminato, una diminuzione di posti letto di circa 20.000 unità, una riduzione del 4,3% delle strutture di prossimità. Ciò ha determinato una costante inadempienza rispetto alle garanzie sancite da tutti i contratti del settore, in termini di fabbisogni minimi di personale, di fruizione regolare di ferie e di riposo, di rispetto del monte ore di turni notturni, di indennità dei turni festivi. Garanzie spesso sacrificate in nome della politica del pareggio di bilancio, politica notoriamente orientata verso la quantità piuttosto che la qualità delle prestazioni. Il futuro della sanità dovrebbe quindi auspicabilmente orientarsi verso un utilizzo dei fondi europei destinati alla soluzione di questi problemi, nella consapevolezza-oggi condivisa da molti- del circolo vizioso che si è sviluppato tra ragioni del paziente e problemi del personale sanitario. Occorre inoltre non disperdere il patrimonio di conoscenze acquisite da noi tutti in questi giorni del Covid, in modo che il cittadino si senta pienamente coinvolto e in diritto di affiancare il personale sanitario nella battaglia per una sanità trasparente e a misura di uomo.
Questo articolo è precedentemente apparso sul Messaggero e su Il mattino l’8 giugno 2020. Riprodotto per gentile concessione.
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