Guardare alla luna, per una volta. L’Italia e l’interesse nazionale in Europa
23 giugno 2020
Dopo la pandemia, la ripresa dell’Italia sarebbe impossibile, senza il sostegno europeo. Tuttavia, l’Unione europea (Ue) non è una entità astratta, ma un’arena di confronto (e di scontro) tra interessi nazionali differenti. L’abbiamo visto di nuovo qualche giorno fa, nella riunione (online) del Consiglio europeo dei capi di governo. Quella riunione doveva approvare la proposta della Commissione europea di dare vita ad un programma (“Next Generation EU”) per la ricostruzione delle economie dei Paesi più colpiti dalla pandemia. Il Consiglio europeo non è riuscito a trovare un accordo, bloccato dalle divisioni al suo interno. La decisione è stata rinviata a nuove riunioni (formali e informali) da tenersi nella prima metà di luglio. Quando in gioco c’è la distribuzione di risorse finanziarie, l’Ue riesce a decidere ciò che i governi nazionali le consentano di decidere. Occorre dunque contare, in questo confronto/scontro tra governi. Ma è qui, nel caso dell’Italia, che le cose non funzionano come dovrebbero. Vediamo meglio.
Il progetto Next Generation EU
“Next Generation EU” è un progetto innovativo e senza precedenti. Esso si rivolge alla fase post-pandemica e consiste di 750 miliardi di euro (di cui 500 in forma di sussidi e 250 in forma di prestiti). Questi fondi dovrebbero aiutare le economie colpite a riconvertirsi, non solamente a ricostruirsi, lungo le linee della neutralità ambientale, della digitalizzazione tecnologica e dell’inclusione sociale. Il progetto è costituito di tre programmi. Il primo, di supporto agli stati membri (655 miliardi), centrato su una Recovery and Resilience Facility (560 miliardi); il secondo, di supporto al settore privato (56,3 miliardi), basato su strumenti finanziari per aiutare la liquidità e gli investimenti strategici; il terzo, di supporto ai programmi nazionali (38,7 miliardi) nel campo delle politiche sanitarie, della ricerca ed altre ancora. Com’era prevedibile, il progetto ha incontrato subito l’opposizione di diversi Paesi. Alcuni piccoli Paesi del nord (Paesi Bassi, Austria, Svezia, Danimarca e Finlandia) lo hanno contestato per le sue dimensioni finanziarie (eccessive), oltre che per la sua composizione (troppi sussidi rispetto ai prestiti). Ma lo hanno contestato anche perché esso prevede, per finanziarsi, il ricorso a debito europeo, garantito da nuove risorse proprie (come la tassazione europea delle grandi società del web che operano nel mercato unico). A questo gruppo (che riflette una visione confederale dell’Ue), si sono quindi aggregati i Paesi sovranisti dell’est europeo, la cui opposizione è piuttosto strumentale. Essi bloccano il progetto al fine di ottenere più risorse a loro favore, anche se hanno subìto danni limitati per la pandemia. Siccome il Consiglio europeo decide all’unanimità, il potere di veto di tali Paesi è efficace. Per questo motivo, l’esito dello scontro sulle dimensioni finanziarie di “Next Generation EU”, e sulla sua composizione, è tutt’altro che scontato.
Il ruolo dell’Italia
L’Italia ha un interesse nazionale a rafforzare la coalizione che sostiene quel progetto (alla cui ideazione, peraltro, ha contribuito). Tuttavia, il suo ruolo risulta sottodimensionato, per via delle sue debolezze istituzionali e incongruenze politiche. Le debolezze istituzionali sono risultate evidenti nella fase di risposta alla pandemia. In questa fase, il governo è intervenuto subito con diversi decreti per contenere l’emergenza, beneficiando della decisione dell’Ue di sospendere i vincoli del Patto di stabilità e crescita. Tuttavia, l’ha fatto con provvedimenti che hanno rallentato l’intervento di sostegno alle attività economiche e sociali (basti pensare che il Decreto Rilancio, appena approvato, è costituito di 266 articoli e richiede almeno 90 provvedimenti attuativi per divenire operativo). Un rallentamento quindi accentuato da apparati amministrativi che si sono rivelati ingiustificatamente burocratici. Si potrebbe dire che, in questa fase, è mancato lo stato (la sua amministrazione, le sue strutture di intervento, i suoi funzionari) più che la politica (inteso come decisori). La politica (governo e opposizione), invece, ha dimostrato le sue incongruenze nell’avviare la fase successiva all’emergenza, quella della ricostruzione post-pandemica (cui si rivolge “Next Generation EU”). Per quanto riguarda il governo, esso si è fatto (giustamente) consigliare da tecnici ed esperti (Commissione Colao), ma invece di derivare dal loro lavoro le priorità di un suo programma, con cui andare ad un confronto con le opposizioni in Parlamento e poi con la società, ha preferito privilegiare il palcoscenico mediatico (degli “Stati generali dell’economia e della società”). Inevitabilmente, in assenza di un programma governativo con cui confrontarsi, le leadership dei gruppi d’interesse coinvolte negli “Stati generali” si sono affrettate ad avanzare le loro richieste particolaristiche, come se la riconversione post-pandemica derivasse dalla soddisfazione degli interessi particolari. Piuttosto che alla ‘democrazia negoziale’ dell’ormai conclusa esperienza socialdemocratica, siamo ritornati alla ‘democrazia corporativa’ che non si è mai conclusa nell’esperienza italiana. Per quanto riguarda le principali forze di opposizione, qui c’è da rimanere addirittura allibiti. Escono dal Parlamento quando si discute sulla posizione da tenere nel Consiglio europeo, denunciano l’uso di uno strumento finanziario (come la “Linea anti-Covid” del Meccanismo europeo di stabilità o Mes) con argomenti quasi teologici. Come si fa a contare, se si è appesantiti da ingiustificabili inefficienze e divisioni?
Insomma, non diamo per scontata l’approvazione di “Next generation EU”. L’Ue è fatta di interessi divergenti, non sempre conciliabili. Avendo pagato (e dovendo pagare) un prezzo altissimo per la pandemia, l’Italia non può permettersi di vedere le sue richieste offuscate dalle sue debolezze istituzionali e politiche. Per evitare ciò, occorre una classe dirigente che sappia costruire un consenso nazionale sulle priorità strategiche del Paese, non già sulla distribuzione particolaristica di risorse che ancora non ci sono. Alziamo lo sguardo, per cortesia.
Questo articolo è precedentemente apparso sul Sole 24 Ore il 20 giugno 2020. Riprodotto per gentile concessione.
Newsletter
Articoli correlati
20 ottobre 2021
La fine di Alitalia rappresenta il capolinea di un’era per l’Italia e per molti: lavoratori e viaggiatori. L’ultimo volo visto da un passeggero del volo AZ 1466 fra commozione e rabbia.
Lost in Translation? La sinistra europea alla ricerca di se stessa
6 settembre 2021
Nel panorama politico dell’Europa occidentale degli ultimi anni è generalmente accettato che i partiti di sinistra, e in particolare i partiti socialdemocratici, abbiano sperimentato un inarrestabile declino elettorale. Giornalisti ed esperti hanno evidenziato il drammatico crollo recente dei partiti socialdemocratici in diversi paesi. Vediamo le cause.
Regimi fiscali e visioni dell’Unione euopea
4 agosto 2021
Dopo l’estate inizierà la discussione sul futuro del Patto di stabilità e crescita (PSC), il perno del sistema fiscale dell’Eurozona momentaneamente sospeso. Già ora, però, gli schieramenti si stanno formando. L’Eurozona ha bisogno di un framework fiscale per funzionare, ma la sua natura è oggetto di divisioni. Vediamo perché.
L’Europa apra le porte solo alle vere democrazie
27 luglio 2021
Non era mai sparito dall’agenda, ma l’obiettivo dell’ulteriore allargamento dell’Unione europea (Ue) è stato recentemente riproposto. Come valutare le pressioni verso un nuovo allargamento? La visione internazionalistica è in contrasto con la realtà istituzionale dell’Ue? Ecco un’analisi di Sergio Fabbrini.