Dall’economia all’immigrazione, ecco i dossier più difficili della Presidenza tedesca dell’Unione europea

2 luglio 2020
Editoriale Europe | Focus Ripresa
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Iniziamo chiarendo un aspetto: la Presidenza tedesca del Consiglio europeo non significa che la Germania dominerà come vuole l’Unione europea per i prossimi sei mesi. La Presidenza di turno del Consiglio Ue è soprattutto una posizione di mediazione, quindi per un paese “di parte” e leader di un determinato schieramento come la Germania è piuttosto difficile staccarsi dai suoi interessi vitali all’interno dell’Ue per assumere una posizione che deve prendere in eguale considerazione gli interessi dei Paesi fortemente indebitati come l’Italia e in generale tutti gli Stati membri la cui economia è stata pesantemente colpita dalla crisi del Coronavirus.

La cancelliera Angela Merkel però sembra avere capito che il futuro stesso dell’Ue si gioca proprio su questa capacità di mediazione e il lancio del Recovery Fund, in buona parte su iniziativa tedesca, è stato un segnale in questo senso. Merkel, alla fine del suo mandato da cancelliera, intende lasciare un’eredità da leader europeo prima ancora che di leader di un solo Paese dell’UE, vuole riconciliarsi con l’Europa dopo che nel passato aveva spesso imposto gli interessi tedeschi rispetto agli interessi di altri Paesi.

Il difficile equilibrio da raggiungere sul Recovery Fund

Intendiamoci, il Recovery Fund, così come finora proposto, nuoce agli interessi della Germania, o più specificamente quelli dei contribuenti tedeschi che devono fornire una buona parte della materia prima – il denaro da mettere a disposizione dei Paesi più colpiti dalla crisi, Spagna e Italia in primis. E la cosa è destinata a creare malumori, rianimando la questione delle garanzie: il contribuente tedesco – che è anche elettore alle prossime elezioni del 2021 – si chiede perché deve pagare per Paesi in crisi se non è almeno garantito che questi soldi saranno usati in maniera tale da assicurare che in tempi prevedibili siano “restituiti” sotto forma di una economia nazionale più efficace e produttiva dell’Italia (e degli altri Paesi in crisi) che permetterà a sua volta maggiore equilibrio tra gli Stati europei.

Per i Tedeschi è molto più digeribile il Mes, perché definisce le condizioni per la messa a disposizione del denaro e dà una certa garanzia che questo denaro non sparisca in un pozzo senza fondo. Ma l’Italia tradizionalmente, a torto o a ragione, ha una fama di partner poco affidabile in termini di scambi finanziari intra-europei. Se la crisi da Coronavirus avesse colpito un Paese che per il resto si fosse sempre seriamente impegnato a rispettare i suoi obblighi, la solidarietà dei partner sarebbe stata senza dubbio più importante, così da aiutare un Paese caduto in disgrazia per cause che non dipendono da esso.

Questa oggi è la situazione in cui si trova un Paese come il Portogallo, del quale in Europa si riconosce la politica economica virtuosa negli ultimi anni. L’Italia, all’opposto, appare al centro di una crisi perenne da almeno quarant’anni, non si è mai risollevata con forza come ha fatto invece la Spagna negli anni novanta e i primi anni duemila. Il boom economico e il cambiamento strutturale del Paese iberico, e quindi il suo utilizzo efficace dei massicci sostegni dell’Ue, furono visibili a occhio nudo, e quando Madrid ricadde in crisi dal 2008 in poi, si ebbe almeno l’impressione che il Paese fosse in grado di utilizzare gli aiuti europei in modo efficace. Agli occhi di molti cittadini dell’Europa del Nord, un tale impegno da parte dell’Italia non c’è stato. E più il governo di Roma insiste sulla sua “sovranità” nell’utilizzo dei fondi, meno i contribuenti dell’Europa del nord sono disposti a sostenere un progetto come il Recovery Fund.

Merkel ora è consapevole che non ha bisogno di essere rieletta in Germania,  quindi con l’attuale Presidenza del Consiglio Ue si può presentare più che mai da leader europea, non da leader tedesca. Da qui la chance storica di superare il dettato della limitazione del debito in una situazione di crisi eccezionale e di fare della Presidenza tedesca una vera Presidenza europea. Certo, così facendo Merkel lascia una pesante eredità ai suoi successori, ma spetta a loro distaccarsi dall’attuale cancelliera e profilarsi sul piano nazionale.

In questo contesto, l’Italia almeno un credito da vantare ce l’ha: la gestione della crisi del Coronavirus, la tempestiva chiusura di intere zone e poi dell’intero Paese, il lockdown rigido, sono state considerate misure esemplari ed efficaci da tanti in Europa.  In questo momento i risultati sembrano dar ragione al governo Conte e, nell’assenza di nuovi gravi focolai come è stato quello di Gütersloh in Germania, possono giovare all’Italia in termini di una maggiore credibilità nei negoziati per il Recovery Fund e per il Meccanismo europeo di stabilità (MES).

Il Green Deal sarà ancora un priorità?

Cosa sarà inoltre dell’originale agenda della Presidenza tedesca, soprattutto del “Green Deal”, invero progetto lanciato dalla presidente della Commissione Von der Leyen ma fortemente voluto anche dal governo tedesco – essendo stata la Von der Leyen per vent’anni una specie di “Merkel 2.0”? Da un lato i mesi di lockdown hanno mostrato in tutta Europa, in grandi città e in tante aree ecologicamente compromesse, come la laguna di Venezia o gli Alpi, quali possono essere gli effetti immediati di una riduzione delle emissioni. Dall’altro però, di fronte ai massicci problemi economici e al forte rischio della disoccupazione, la maggior parte dei governi europei non sarà particolarmente interessata a promuovere le iniziative ecologiche proprio in questo momento.

Una delle proposte per il Recovery Fund, proveniente dagli ambienti politici nei Paesi del nord, è di stabilire la condizionalità di investire i fondi in progetti sostenibili, ma è più che dubbio che un Paese come l’Italia, caratterizzato da scarsa consapevolezza per l’impatto drammatico che il cambiamento climatico avrà per la vita dei cittadini – la mortalità per cause legate all’inquinamento, se statisticamente rilevata, supererebbe di gran lunga quella per il Covid-19 –, possa davvero pensare a progetti di cui l’effetto si farà vedere solo tra dieci o vent’anni. Se l’economia e i soldi in tasca dettano l’agenda politica, non solo è corta la memoria, ma anche la preveggenza.

Il dossier Brexit e la postura tra Stati Uniti e Cina

La Presidenza tedesca può diventare storica anche per i negoziati sul Brexit. Anche se è, appunto, l’Europa e non la Germania che deve trovare l’accordo – o non-accordo – con la Gran Bretagna, il risultato peserà, nella percezione che se ne avrà, sul governo tedesco e sulla Merkel. E’ un gioco di finezza diplomatica: a chi sarà attribuita la responsabilità per il futuro dei rapporti tra l’Europa e il Regno Unito? Chi sarà considerato vincitore, chi perdente? La tradizionale monodimensionalità dell’arte diplomatica tedesca non promette nulla di buono. Meglio sarebbe state, in un momento simile, una Presidenza francese o italiana.

Altro problema dell’Europa nei prossimi sei mesi è la difficile situazione internazionale. Cosa sarà dei rapporti tra l’Unione europea e gli Stati Uniti? La crisi del Coronavirus rischia di diventare pretesto politico per modificare gli equilibri internazionali e l’Europa può fare tesoro della sua – in sostanza – ragionevole gestione della pandemia, anche se l’Ue in quanto tale non ha potuto fare nulla contro i governi nazionali. Ma proprio questo potrebbe rivelarsi alla fine un vantaggio nei confronti degli Stati Uniti, dove un Presidente gioca d’azzardo con la vita dei suoi cittadini. Non permettere agli americani di viaggiare liberamente in Europa, almeno per il momento, è stato comunque un atto di coraggio da parte dell’Ue.

La Cina invece rimane il grande enigma. Da una parte l’Europa deve cercare di non farsi travolgere dall’espansionismo cinese e fa bene a guardare con scetticismo ai dati sulla pandemia che arrivano dalla Cina. Dall’altra però un rapporto con la Cina basato sulla ragionevolezza serve all’Europa per non diventare dipendente dalla politica degli Stati Uniti che rischia di infiammare gli animi, cercando di incolpare la Cina per tutti i mali del mondo, compresa la pandemia.

La questione migratoria

Last not least, i migranti. Anche durante i mesi del lockdown non hanno smesso di arrivare, ma il tema è stato messo in secondo piano – forse meglio per i migranti stessi i quali sono stati salvati, accolti e distribuiti in Europa senza il solito chiasso mediatico e populistico. Ma, se non ci sarà una grave seconda ondata del Coronavirus con nuove chiusure, il tema tornerà sull’agenda e la Germania come Paese chiave nella gestione del problema sarà tra qualche mese confrontato con la responsabilità di trovare finalmente una soluzione. Serve una idea nuova, un approccio nuovo, ma le discussioni finora non fanno sperare che questa idea possa essere trovata nel giro di pochi mesi.

In definitiva la Presidenza tedesca del Consiglio dell’Ue è quindi un compito che per la sua funzione istituzionale non va sopravalutato, ma nonostante ciò si muove tra la possibilità di attribuire alla cancelliera Merkel l’immagine di salvatrice dell’Europa, e il rischio di mettere in ulteriore evidenza le divisioni tra gli Stati europei e di piazzare cosi la carica esplosiva che farà saltare la casa europea.

L'autore

insegna Storia contemporanea e Storia dei sistemi politici alla Luiss. Esperto di partiti e movimenti politici europei e storia politica italiana e francese, è commentatore di attualità politica europea per tv e radio internazionali. “Sinistra. Una storia di fantasmi” è il suo primo libro in italiano, edito da Luiss University Press.


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