La normalizzazione dei Cinque Stelle. Storia di una Movimento che si è fatto Partito

3 luglio 2020
Editoriale Open Society off
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Ascesa e discesa 

Il Movimento Cinque Stelle è stato la somma di molte cose differenti. In negativo, ha potuto approfittare delle debolezze e dei fallimenti altrui. È cresciuto combattendo tanto i partiti storici della Repubblica bipolare, screditata dagli scandali e poi definitivamente affondata dalla crisi del debito sovrano del 2011, quanto l’idea che il vuoto aperto dal collasso della politica potesse esser riempito dai tecnocrati europeisti guidati da Mario Monti.

In positivo, a quelle debolezze e quei fallimenti il M5S ha reagito muovendosi almeno in cinque direzioni differenti. Chiedendo che fossero soppressi le protezioni e i privilegi della «casta» che vive nei palazzi del potere, in primo luogo. Poi, che si formasse un ceto politico interamente nuovo, di specchiata onestà e non proveniente da alcuna élite, ma fatto soltanto di persone comuni. In terzo luogo, proponendo un insieme di provvedimenti finalizzati a proteggere le vite modeste di quelle persone comuni dal potere dei «grandi», dallo sfruttamento, dalle pressioni del mercato globale. Ancora, adottando un atteggiamento complessivo di avversione nei confronti del «sistema»: dell’establishment, dell’Europa, delle regole e gerarchie istituzionali. E infine affermando che il circuito tradizionale della rappresentanza politica doveva esser rimpiazzato da un meccanismo di partecipazione permanente dei cittadini alle decisioni pubbliche reso finalmente possibile, due secoli e mezzo dopo Rousseau, dall’avvento di internet.

Sommando pezzi di elettorato attratti quale dall’una quale dall’altra di queste anime, e complice la fragilità dei suoi avversari, il Movimento ha avuto un successo politico straordinario. Chi avrebbe mai potuto prevedere il 25% del 2013? E chi si aspettava che sopravvivesse un’intera legislatura all’opposizione, contribuisse a far naufragare l’operazione renziana, superasse il 32% alle elezioni del 2018 e governasse in due gabinetti differenti con due partner che sono l’uno l’opposto politico dell’altro? A ben vedere, si è trattato di un fenomeno politico unico al mondo.

Un futuro sì, ma diverso dal piano originario 

«Si è trattato», al passato: non perché il M5S sia finito, ma perché il groviglio di anime che ne ha fatto la forza si è ormai dissolto. Dell’anima più ambiziosa e affascinante – il progetto di democrazia diretta immaginato da Gianroberto Casaleggio – non è rimasto praticamente più nulla. Perfino i pagamenti dei parlamentari all’associazione Rousseau sono oggi in pericolo, per timore che soprattutto i senatori, pur di non pagare, migrino verso altri lidi. La lotta ai privilegi della politica, a cominciare dalla riduzione del numero dei parlamentari che il referendum confermerà, in larga misura è stata fatta. C’è da chiedersi semmai se davvero avrà risultati positivi, e soprattutto se non poteva esser condotta in maniera meno maldestra – come ha mostrato da ultimo l’annullamento del taglio dei vitalizi da parte della commissione contenziosa del Senato. L’anima antisistema del Movimento è viva, ma molti degli elettori che ne erano stati attratti sono ormai migrati verso le forze sovraniste. E poi come si fa a essere davvero antisistema mentre si governa, e col Partito democratico per giunta?

Oggi nelle mani del M5S rimangono soprattutto due carte. L’uso delle risorse pubbliche per proteggere e garantire pezzi di società, in primo luogo. Una carta di cui la crisi post-pandemica ha notevolmente accresciuto l’importanza e nel giocare la quale il Movimento potrà muoversi di conserva con settori consistenti del Pd. Ma che porrà pure, e in tempi molto brevi, immensi problemi di sostenibilità e compatibilità coi vincoli europei. E in secondo luogo la sua stessa diversità: il suo esser riuscito a portare al potere una classe politica nuova fatta di persone ordinarie, dalla quale il cittadino medio può sentirsi rappresentato perché non la percepisce in alcun modo diversa da sé.

Si capisce meglio allora – anche al di là delle ambizioni e degli appetiti personali, che di certo non mancano – per quale ragione il Movimento rimanga abbarbicato al potere con così grande tenacia e a qualsiasi costo, e con la benedizione di Beppe Grillo. Perché il risultato principale dell’ascesa del M5S al potere non dev’essere cercato in questa o quella riforma, ma nel fatto stesso dell’ascesa del M5S al potere: nel ricambio della classe politica, nell’eliminazione di una parte almeno di quelli che c’erano prima, nell’aver portato dentro le istituzioni pezzi di elettorato che non si sentivano più rappresentati.

Questo articolo è precedentemente apparso su La Stampa il 27 giugno 2020. Riprodotto per gentile conccessione

L'autore

Giovanni Orsina è il Direttore della Luiss School of Government


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