Impotenti di fronte alla realtà. Il disequilibrio fra natura e progresso
5 luglio 2020
Il quarto shock nella storia dell’uomo
Sigmund Freud, in un famoso scritto, sostenne che c’erano state alcune occasioni nella storia in cui l’essere umano si era sentito comprensibilmente spiazzato. Era accaduto quando Copernico ci aveva informati che il nostro pianeta non era il centro dell’universo; quando Darwin aveva spiegato che discendevamo dalle scimmie, cui somigliamo tanto (e con alcune delle quali abbiamo il 98 per cento del patrimonio genetico in comune); quando lo stesso Freud, infine, ci aveva raccontato che sotto la nostra arrogante pretesa di essere razionali si celava un’oscura selva di pulsioni.
Credo che questa pandemia riveli un ulteriore esempio di impotenza umana. Esempio che forse potremmo far rientrare all’interno di una classe di casi più comprensiva. Alcuni biologi hanno battezzato questa classe di casi “evo-devo”, dove “evo” sta per “evoluzione” e “devo” per “development” (crescita). In termini generali, la evolutionary developmental biology (evo-devo) può essere definita come un campo di ricerca che indaga la storia naturale nella prospettiva dei meccanismi che presiedono alla formazione dell’individuo. In questo ambito, si è scoperto che in natura esiste la possibilità di modificare la regolazione di geni per l’espressione di funzioni inedite, o comunque di cooptare una struttura per un compito adattivo diverso da quello cui era destinata: ci sono meccanismi genetici che attivano/disattivano gli interruttori e geni regolatori che a loro volta determinano forma, collocazione e dimensioni di ciascuna struttura. In sintesi, si predica qui l’esistenza di un mismatch: da un lato c’è l’evoluzione umana, che dev’essere lenta, ha bisogno di molto tempo e si misura in centinaia di migliaia (se non di milioni) di anni; dall’altro c’è la crescita tecnologica ed economica, che è rapida, troppo rapida per i tempi dell’evoluzione, dato che la si misura talvolta in decine di anni. Quando così accade, può capitare che avvenga uno sfasamento temporale.
In questi casi, l’essere umano non riesce a fare suo, geneticamente e psicologicamente, il tempo della crescita esterna (tecnologica eccetera). In seguito a questo sfasamento temporale, come individui e come specie possiamo subire danni enormi e non (facilmente) controllabili. Ed è per questo che l’essere umano si sente impotente.
Il rapporto gene-ambiente
Tra gli sviluppi teoretici più interessanti in questa area ci sono quelli venuti da settori della biologia che si occupa dei rapporti gene-ambiente, la cosiddetta “epigenetica”. In termini del tutto generali, l’epigenetica è la disciplina che studia le alterazioni di un organismo causate da modificazioni dell’espressione del gene e non da alterazioni del codice genetico vero e proprio. Si tratta di una plasticità nello sviluppo che opera attraverso interazioni ambientali tra genotipo e (per via induttiva) fenotipo. I cambiamenti apportati epigeneticamente possono essere trasmessi anche se non mutano l’informazione genetica o il genotipo.
Non è difficile immaginare che i cambiamenti in questione provengano dai guasti ambientali provocati dall’essere umano, guasti che come sappiamo stanno mettendo a rischio l’intero equilibriodel pianeta. Tale propensione umana a disturbare l’universo dipende dalla capacità di modificare la propria nicchia ecologica a propria immagine e somiglianza tramite la tecnologia. Capacità questa senza dubbio unica e straordinaria. Ma con un risvolto negativo, che può consistere in gravi conseguenze per la salute umana.
Sempre più spesso c’è evidenza che questi effetti dell’inquinamento influiscano sull’epigenoma. Tanto che esiste un nuovo approccio terapeutico chiamato “epigenetica clinica” che si occupa proprio delle conseguenze dell’ambiente inquinato sull’individuo e delle possibili ereditarietà di simili conseguenze.
In sostanza, a quanto detto si aggiunge l’ipotesi teorica, confortata da sperimentazione empirica, che anche infezioni virali come quella di SARS-CoV-2 possano essere regolate epigeneticamente. Di conseguenza, si ipotizza che proprio in questa direzione dobbiamo muoverci, anche dal punto di vista dei rimedi clinici. L’epigenetica, come si è detto, viene di solito descritta come lo studio di quei fattori genetici e non-genetici in grado di controllare alcune variazioni del fenotipo. Queste variazioni sono apportate innanzitutto dai rapporti con l’ambiente esterno, e modificano le performance del gene senza tuttavia cambiare la struttura profonda del Dna.
Virus come il SARS-CoV-2 non sono in grado di mutare la struttura del Dna, ma possono tuttavia alterare quella dell’epigenoma, per esempio permettendogli di debellare una risposta immunitaria e quindi facilitando la diffusione della patologia. Negli ultimi dieci anni, una notevole quantità di studi è stata dedicata proprio al tentativo di spiegare la correlazione tra sviluppo di disordini auto-immunitari e alterazioni epigenetiche, sotto la premessa che l’ambiente può indurre cambiamenti significativi determinando e modulando modifiche che alterano non il codice genetico, ma l’espressione o la repressione di alcuni geni. Ciò non vuol dire che Darwin avesse torto e Lamarck ragione. Noi trasmetteremo comunque ai nostri discendenti il nostro genoma, non uno diverso. Tuttavia, siccome cambia l’espressione di alcuni geni, cambia anche il rischio di prendere una malattia o un’altra.
Forme di alterazioni epigenetiche hanno rilievo nella patogenesi del sistema immunitario. Non si può escludere che qualcosa di simile possa avvenire con la trasmissione di un virus come il SARS-Cov-2, anche se ovviamente stiamo parlando di ipotesi. Come abbiamo imparato, i coronavirus sono parte di una famiglia più ampia di patogeni animali e umani, che includono i SARS-CoV, i MERS-CoV, e così via. La patogenesi del Covid-19 interessata in questi casi è complessa, ma quello che è caratteristico in tutti è la capacità di includere l’ingresso nel fenotipo, con il risultato di replicarsi e controllare il sistema immunitario pre-esistente. La ricerca epigenetica può investigare i fattori patogeni di natura ambientale che alterano le variazioni del fenotipo (cioè la malattia) senza intaccare il sottostante genotipo. Il problema è che i virus recenti citati – e il virus del Covid-19 tra questi – hanno sviluppato una grande abilità nel tenere a bada l’epigenoma ospite, controllandone così le attività immunitarie e in generale i programmi difensivi. E favorendo in questo modo la replica dei virus e in sostanza la patogensi. La pandemia attuale potrebbe rientrare in uno dei casi paradigmatici in cui lo spillover della crescita tecnologica ed economico- sociale, la sua ricaduta nell’umano cioè, non è stato addomesticato.
Il “mondo della vita” si ribella ai ritmi della crescita economica e tecnologica indefinita
Parlare di spillover in questi casi vuole dire che i virus come quello del Covid-19 si annidano negli animali, e solo in poche e sfortunate circostanze invadono l’essere umano. Con le conseguenze patogene di natura epigenetica di cui si è detto. L’agricoltura industriale, le imprese minerarie, l’urbanizzazione progressiva, la deforestazione, l’inquinamento atmosferico, la desertificazione, la generale trasformazione degli habitat stanno distruggendo la natura incontaminata. Il livello di biodiversità nel pianeta è a rischio, e sempre più specie animali diverse coabitano con gli esseri umani o sono consumate come cibo. I virus che ci flagellano vengono proprio dalla natura una volta selvaggia e ora espropriata, e dagli animali con cui siamo a contatto.
Il “mondo della vita” si ribella ai ritmi della crescita economica e tecnologica indefinita. Ne consegue un rigurgito oscuro di mali che vanno dall’inquinamento alle epidemie. Per quanto riguarda la pandemia in atto, ipotizziamo che il contagio attacchi la nostra specie per via epigenetica. In casi del genere, la razionalità dei singoli – individualmente presi – è insufficiente a domare i perversi effetti “evo-devo”, come li abbiamo chiamati. Le proposte di soluzione dell’etica pubblica sono, in fin dei conti, le stesse fatte da Yuval N. Harari in un articolo pubblicato sul Financial Times risalente al 20 marzo 2020 e molto letto. Responsabilizzare i singoli è meglio che spiarli, e la cooperazione globale appare indispensabile. Al tempo stesso, diverso appare il modo attraverso cui arrivarci. Per l’etica pubblica, la soluzione di lungo periodo sta nel rendere, dal punto di vista individuale e collettivo, la responsabilità della persona – la sua consapevolezza cognitiva e critica – più capace di reagire e di tenere conto degli altri. Una soluzione, questa, fatta non solo di teoria ma anche di esempi piccoli e grandi: dal comportamento dell’infermiera che si sacrifica alla capacità collettiva di stare a casa e comportarsi responsabilmente. Ma è proprio in questa diversità, a mio parere, che consiste la novità della risposta all’inedita crisi che stiamo affrontando. Ciò per cui esperiamo sia l’imbarazzante sconcerto – di cui parlava Freud – al cospetto della nostra pochezza, sia l’opportunità di uscire fuori da questa crisi profondamente cambiati.

Il quarto shock
Come un virus ha cambiato il mondo
Luiss University Press
Prefazione di Giovanni Lo Storto
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