18 luglio 2020

Democrazia vs. pandemia. Come il Coronavirus sta infondendo nuovo coraggio agli autocrati

Al momento ci sono ben poche ragioni per essere tranquilli sullo stato della democrazia e molte ragioni invece per preoccuparsi. La pandemia ci ha colpito nel momento più difficile per la democrazia dalla fine della Guerra Fredda, così i regimi autoritari o che vorrebbero esserlo non hanno perso tempo nello sfruttare la situazione per rafforzare e ampliare il proprio potere.

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Alla fine di marzo l’uomo forte delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha spinto il Parlamento ad approvare una proposta di legge che ha ampliato i suoi poteri emergenziali, ufficialmente per difendere il Paese dal Coronavirus. La legge ha autorizzato Duterte a rivedere il bilancio pubblico a suo piacimento e a dirigere direttamente gli ospedali. “Non sfidate il governo”, ha urlato il leader in un minaccioso messaggio televisivo, “perché perdereste”. Sei giorni dopo, il Primo ministro ungherese, Viktor Orbán, si è fatto promotore di una legislazione d’emergenza ancora più ampia in un Parlamento ridotto a passacarte, con norme che gli consentivano di sospendere le leggi esistenti, di introdurre nuove regole per decreto, di arrestare le persone accusate di diffondere “falsità” sulla pandemia o di “ostruire” gli sforzi del governo per fare fronte al virus.

Questo modo di incrementare i propri poteri, deciso da Duterte e Orbán in ragione del Covid-19, è stato particolarmente sfacciato, ma i due non sono stati affatto gli unici leader o partiti politici autoritari a usare l’attuale crisi sanitaria come scusa per limitare le libertà civili o minare lo Stato di diritto. Regimi autoritari in Bangladesh, Bielorussia, Cambogia, Cina, Egitto, El Salvador, Siria, Tailandia, Turchia, Uganda, Venezuela e Vietnam hanno incarcerato critici, operatori sanitari, giornalisti, membri dell’opposizione durante la pandemia. Le democrazie che di recente sono finite sotto attacco, nel frattempo, come Brasile, India e Polonia, hanno visto i leader o i partiti di governo populistici sfruttare la crisi per rimuovere alcuni dei limiti al loro potere o per indebolire l’opposizione.

Ci vorrà del tempo, forse alcuni anni, prima di poter valutare a pieno l’impatto della pandemia sulla democrazia in giro per il mondo. La gravità dei danni dipenderà da quanto durerà la crisi sanitaria e da quanto essa danneggerà le economie e le società. Dipenderà pure da come se la passeranno le democrazie rispetto alle autocrazie nel contenere gli effetti sanitari ed economici del virus, da chi vincerà la gara per il vaccino e, più in generale, da chi – Cina, Stati Uniti o paesi democratici nel complesso – sarà visto come il fornitore più generoso ed efficiente di beni pubblici globali per combattere la pandemia Un altro fattore da considerare sarà il livello d’attenzione con cui le democrazie monitoreranno e circoscriveranno l’incremento dei poteri dei governi che normalmente è associato alle emergenze nazionali, così come la capacità delle democrazie consolidate di far convergere la determinazione collettiva per difendere la libertà a livello globale in una fase di pericolo crescente.

Al momento ci sono ben poche ragioni per essere tranquilli sullo stato della democrazia e molte ragioni invece per preoccuparsi. La pandemia ci ha colpito nel momento più difficile per la democrazia dalla fine della Guerra Fredda, così i regimi autoritari o che vorrebbero esserlo non hanno perso tempo nello sfruttare la situazione per rafforzare e ampliare il proprio potere. Altri pericoli potrebbero stagliarsi all’orizzonte nel momento in cui i governi democratici stanno valutando i dilemmi legati all’utilizzo di nuove tecnologie di sorveglianza per combattere il virus o tenere elezioni regolari nel mezzo della pandemia. La spirale al ribasso della democrazia può ancora essere invertita, ma ciò richiederebbe società civili mobilitate, una gestione democratica efficace della crisi sanitaria, un rinnovamento della leadership americana sulla scena globale.

Una recessione democratica

La democrazia stava vacillando a livello globale già prima dello scoppio della pandemia. In ognuno degli ultimi quattordici anni, secondo Freedom House, sono stati di più i paesi che hanno sperimentato un’erosione dei diritti politici e delle libertà civili che non quelli che hanno visto rafforzare gli diritti o le stesse libertà, invertendo così la tendenza dei precedenti quindici anni post Guerra Fredda. Se, da una parte, i colpi di Stato, anche di carattere militare, sono diventati più rari, dall’altra, sempre più leader eletti hanno svuotato la democrazia di senso dall’interno. Politici che inizialmente sono arrivati al potere attraverso elezioni democratiche – come Orbán in Ungheria, Hugo Chávez in Venezuela, Recep Tayyip Erdogan in Turchia, Sheikh Hasina in Bangladesh – hanno riempito gli organi giurisdizionali di loro uomini; hanno cooptato altre istituzioni indipendenti; hanno esercitato una stretta su stampa, opposizione politica e società civile; hanno cercato di sovvertire o prevenire quelle elezioni che avrebbero potuto portare alla loro rimozione. Risultato: il tasso di peggioramento delle democrazie è cresciuto nell’ultimo decennio al doppio della velocità dei due decenni precedenti. Allo stesso tempo, meno Paesi hanno compiuto una transizione alla democrazia. 

La democrazia stava già vacillando a livello globale prima della pandemia

La recessione democratica è stata particolarmente profonda negli ultimi cinque anni (dal 2015 al 2019). Si è trattato dei primi cinque anni, dal 1975 a oggi, in cui sono stati di più i paesi che hanno compiuto una transizione all’autocrazia che non una transizione alla democrazia (il doppio, per la precisione). Nel gennaio 2020, la percentuale dei Paesi con una popolazione superiore a un milione di abitanti che potevano essere considerati democrazie è scesa sotto il 50% per la prima volta dalla fine della Guerra fredda. Altrettanto preoccupante è la decadenza delle istituzioni e delle norme democratiche nelle democrazie che consideravamo mature, come l’India, e anche nelle liberal-democrazie come Israele e Polonia. Poi, vi è stato il più subdolo e finora poco notato peggioramento della democrazia in Corea del Sud; oltre allo stabile declino della qualità della democrazia negli Stati Uniti e l’ascesa del populismo xenofobo e della polarizzazione politica nelle liberal-democrazie europee. Secondo Freedom House, dal 2006 a oggi, la democrazia ha fatto passi indietro in venticinque delle quarantuno democrazie consolidate.

In breve, il Covid-19 ha attaccato un mondo in cui la democrazia era già in pericolo. La crisi sanitaria che ne è risultata ha consentito ad alcuni leader (come Erdogan e Orbán) di consolidare i loro poteri dal carattere autoritario che avevano già accumulato, e ad altri (come il Primo ministro Narendra Modi e il suo partito BJP al potere in India) di intensificare le proprie campagne illiberali contro i critici, i media indipendenti, i partiti di opposizione. In altre parole, la pandemia ha perlopiù rafforzato delle tendenze negative della democrazia già esistenti, fornendo ai governi illiberali un incentivo e una scusa per le loro tattiche repressive. I difensori dei diritti umani hanno pagato a caro prezzo con arresti, uccisioni e incarcerazioni prolungate. Il virus si è rivelato particolarmente mortale all’interno delle prigioni, fornendo ad autocrati cinici e sanguinari un’arma perfetta da brandire contro attivisti instancabili che tentano di chiedergli conto del loro operato.

È necessario un uso democratico delle applicazioni di sorveglianza.

Potrebbero emergere nuove crepe nel sistema democratico ancor prima che si termini la pandemia globale. In nome della gestione del virus, molti governi stanno già attivando sistemi di sorveglianza e localizzazione che potrebbero portare alla perdita permanente della privacy. Le app generalmente funzionano accedendo alla posizione GPS di un telefono e alla sua gamma di comunicazioni Bluetooth. Quando qualcuno, che è risultato positivo al Covid-19, entra in contatto con altre persone, il software mette in allerta quei contatti e consiglia loro di auto-isolarsi. Con il giusto controllo democratico e le adeguate restrizioni, queste app possono essere potenti armi nella lotta contro il virus, ma senza tali limitazioni, possono anche essere utilizzate per spiare privati cittadini ed attuare un vero e proprio controllo sociale.

In India, ad esempio, molti temono che una nuova app di tracciamento, lanciata ad aprile, possa diventare uno strumento di sorveglianza di massa in mano ad un governo già incline a calpestare le libertà civili. Da quando Modi è stato eletto primo ministro nel 2014, il suo governo ha attaccato tradizionali pilastri della democrazia indiana: libertà di stampa, tolleranza religiosa, indipendenza giudiziaria e rispetto del dissenso.

Più allarmante è stata la crescente campagna dell’amministrazione Modi contro la minoranza musulmana indiana, che, con circa 180 milioni, è la seconda popolazione musulmana più numerosa al mondo dopo l’Indonesia. Queste narrazioni sulle minoranze – spinte in modo più evidente dai seguaci estremisti di Modi, ma blandamente condannate dal primo ministro, un po’ com’è accaduto negli Stati Uniti con Trump e i manifestanti neonazisti a Charlottesville – sostengono che i musulmani (e talvolta i cristiani e altre minoranze non indù) sono “nemici interni” con attaccamento verso terre e popoli esterni all’India. Questo tipo di propaganda demagogica è aumentata durante la pandemia, alimentata da notizie false che incolpano i musulmani di aver deliberatamente diffuso il virus. Modi ha usato la crisi del Covid-19 per centralizzare l’autorità sul gettito fiscale a discapito degli Stati e del parlamento indiano e per tentare di sottrarre il controllo dei governi dei diversi stati indiani ai partiti di opposizione. Molti attivisti per i diritti umani ed esperti di informatica temono che il suo governo utilizzi l’app di sorveglianza, chiamata Aarogya Setu, per compromettere la privacy e monitorare gli avversari politici.

L’utilizzo di Aarogya Setu era inizialmente volontario, ma poi, all’inizio di maggio, il governo ha allentato il lockdown e l’app è diventata obbligatoria per i dipendenti del settore pubblico e privato, oltre che per le persone nelle cosiddette zone di contenimento, aree con tassi particolarmente elevati di Covid-19. Inoltre, è richiesto l’utilizzo dell’app a chiunque viaggi in treno. Solo in seguito, il governo ha preso l’ooportuna iniziativa di vietare la conservazione dei dati individuali per più di 180 giorni e ha consentito alle persone di chiedere la cancellazione dei loro dati entro 30 giorni. Per alleviare i dubbi sulla privacy e sulla sicurezza, alla fine ha anche reso di dominio pubblico il codice sorgente dell’app (pure per eventuali migliorie). Ma il ragionevole sospetto persiste e potrà diminuire solo se l’India farà ciò che tutte le democrazie dovrebbero fare: nominare un difensore civico indipendente per garantire che le norme sulla privacy, la raccolta e l’uso dei dati siano rispettate.

Per rispettare le norme internazionali sui diritti umani, le app per il tracciamento del contagio devono essere fondate sulla legge, deliberate pubblicamente, trasparenti, limitate alla durata dell’emergenza e definite dai requisiti specifici di lotta contro il virus. L’MIT Technology Review ha avviato un importante studio di classificazione di tutte le app di monitoraggio in base a cinque criteri. Ad esempio, se sono ad uso volontario o meno, se i dati raccolti sono utilizzati solo per scopi di salute pubblica, con quale velocità vengono cancellati i dati e la trasparenza delle politiche e del codice su cui si basano. Sulla base di queste domande, Aarogya Setu è stata valutata con una sola stella (per la cancellazione dei dati).

Il rinvio delle elezioni? Un’opzione da limitare nel tempo e proporzionata al pericolo di contagio

La privacy non è l’unico precetto democratico minacciato ai tempi del coronavirus: tenere elezioni regolari è diventato un enigma logistico. Molte democrazie sono libere di scegliere qual è la minaccia maggiore: tenere le elezioni nei tempi previsti in un momento in cui l’opposizione non può fare campagna elettorale, gli scrutinatori potrebbero non presentarsi e un gran numero di persone non si sente sicuro di andare alle urne, oppure rinviare le elezioni e perpetuare governi impopolari che gli elettori avrebbero altrimenti destituito.

La scelta è semplice nelle democrazie consolidate che hanno il tempo e le risorse per modificare le procedure elettorali in modo che gli elettori possano votare in sicurezza e a distanza, idealmente per posta, o almeno in seggi elettorali dotati di personale che utilizza le norme igieniche e le distanze di sicurezza. Ma persino negli Stati Uniti – a cinque mesi dalle elezioni – alcuni repubblicani, guidati da Trump, hanno trasformato il voto per corrispondenza in una questione ferocemente partigiana, nonostante ci siano prove convincenti che non darebbero alcun vantaggio a nessuna delle parti.

Figuriamoci, dunque, cosa potrebbe accadere in paesi con istituzioni più deboli e servizi postali meno diffusi. Secondo International IDEA, un’organizzazione intergovernativa che sostiene la democrazia nel mondo, oltre sessanta paesi hanno rinviato le elezioni a livello nazionale a causa della pandemia. In molti casi, potrebbe essere la decisione meno democratica e allo stesso tempo dunque la più sbagliata.

Per evitare l’insorgere di governi autocratici la Kofi Annan Foundation ha raccomandato che qualsiasi decisione di rinviare le elezioni sia guidata da regole concordate dal governo e dall’opposizione, che queste regole siano chiaramente comunicate al pubblico e che assicurino l’inclusione delle minoranze. Come per l’uso di app di tracciamento potenzialmente invasive, i ritardi elettorali dovrebbero essere limitati nel tempo, fondati sulla legge e sulle competenze tecniche e proporzionati al pericolo rappresentato dal virus.

Un rinnovo democratico

Proteggere i diritti, la privacy e l’integrità delle elezioni durante una pandemia è un compito difficile, ma non è impossibile. Richiederà ai politici, ai burocrati e ai cittadini di limitare le proprie libertà personali, di fare affidamento ai pareri degli esperti e aderire volontariamente a tutte le misure d’emergenza di monitoraggio e controllo.

Prima della pandemia, politici con orientamento democratico in paesi diventati autocratici erano riusciti a dimostrare che attraverso campagne ben strutturate era ancora possibile fare dei piccoli cambi di rotta in senso democratico.

Per esempio, una campagna di “amore radicale” in Turchia ha portato l’opposizione a una straordinaria vittoria nelle elezioni comunali dello scorso anno, e ancora, a Praga nel 2018 e a Budapest lo scorso ottobre i partiti di opposizione hanno vinto le elezioni comunali.

Anche in assenza di un capovolgimento elettorale, campagne locali simili – cioè che affrontano questioni concrete e trascendono le divisioni politiche – possono limitare la capacità degli autocrati di rafforzare il proprio potere sulla scorta della pandemia. Pure l’opinione pubblica può aiutare a difendere i confini sfilacciati della democrazia. L’originale legge sui poteri di emergenza che l’ufficio di Duterte ha inviato al Congresso delle Filippine a marzo avrebbe consentito al presidente di assumere temporaneamente il controllo di qualsiasi attività privata. Ma la resistenza del Congresso e del pubblico ha costretto Duterte a fare un passo indietro, limitando il controllo solo al bilancio e agli ospedali. 

Per una nuova e rinnovata leadership degli Stati Uniti

L’effetto della pandemia sulle democrazie del mondo verrà sicuramente influenzata dall’effetto che avrà sulle democrazie più solide e sui paesi più industrializzati, ma soprattutto dagli Stati Uniti. In un momento in cui la Cina e le altre autocrazie stanno usando la pandemia per scalfire l’efficacia della governance democratica e promuovere la loro capacità di affrontare le emergenze pubbliche, i governi liberi devono dimostrare di essere all’altezza del compito. Alcuni l’hanno già fatto. Ironia della sorte, l'”altra” società cinese – Taiwan – ha chiaramente dimostrato che un governo in grado di fronteggiare una pandemia non ha bisogno di violare le libertà personali. Anche Australia, Germania, Israele, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud hanno ottenuto buoni risultati nel contenere il virus. I governi più efficienti hanno attuato misure rapide con test diffusi e tracciabilità dei contatti, e hanno comunicato con le persone in modo trasparente e coordinato, mettendo sempre in primo piano il parere degli esperti. Purtroppo, pochi grandi Paesi hanno ottenuto risultati peggiori degli Stati Uniti, dove Trump ha più volte infranto regole basilari come indossare la mascherina, rispettare la scienza, fidarsi degli esperti e non promuovere cure voodoo.

Il danno è stato incalcolabile, non solo in termini di vite umane, ma anche per la considerazione globale della democrazia americana e quindi per la democrazia stessa.

Il ripristino di una democrazia globale richiederà uno sforzo importante da parte degli Stati Uniti, ma questo non sarà possibile se prima non si risolvono i problemi interni. Fortunatamente, le forniture di ventilatori polmonari e dispositivi di protezione sono aumentate rapidamente, ma quel che ancora manca è una leadership nazionale che abbia disciplina e visione strategica.

Il governo degli Stati Uniti non deve solo spronare la propria gente a seguire le regole, ma deve anche guidare le attività internazionali impegnate a distribuire dispositivi di protezione e, non appena disponibili, vaccini e medicinali. Quando il coronavirus sarà sconfitto, gli Stati Uniti devono tornare ad essere un punto di riferimento per tutte le democrazie del mondo in difesa della libertà e contro l’autoritarismo, la corruzione e il dispotismo.

L’articolo è precedentemente apparso su Foreign Affairs.