Il mercato del lavoro e i diritti dei lavoratori. Intervista a Roberto Pessi

20 luglio 2020
Intervista Open Society
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Ritiene ci possa essere correlazione tra il mercato del lavoro stagnante e una maggiore tutela dei diritti dei lavoratori?

Non credo.‎ Penso piuttosto che il mercato sia meno stagnante di quello che sembra. Penso ai moltissimi mini Job del sommerso e del semi-sommerso.

Storicamente la tutela dei diritti dei lavoratori sembra porre in contrapposizione datori di lavoro e lavoratori dipendenti, spesso appartenenti al settore operaio. Pensa che sia ancora questo il settore che ha più bisogno di rappresentanza?

Credo che si debbano abbandonare gli stereotipi del passato. La classe operaia è ancora forte e ben rappresentata dalle organizzazioni sindacali. Le relazioni industriali sono collaborative ed il dialogo con i datori di lavoro e le loro associazioni soddisfacente. Il problema è la grave crisi di alcuni settori produttivi, indotta dalla accelerazione della rivoluzione digitale e dalla globalizzazione, oggi accentuata dalla pandemia.

Quale ritiene sia la categoria più dimenticata da chi legifera in materia di diritto del lavoro?

Non penso che vi siano categorie dimenticate dal legislatore. Penso invece che molte delle norme manchino di effettività come evidenziato dall’abnorme dimensione del lavoro nero e dell’evasione fiscale. Trovo poi incredibile che si inizi ad applicare la disciplina sul caporalato (rigorosa e condivisibile) sui riders‎  (dove peraltro il fenomeno può concretizzarsi, seppur solo in modo marginale),quando abbiamo decine di migliaia di braccianti agricoli clandestini che operano da sempre nelle nostre campagne per la raccolta dei pomodori, delle olive, della frutta in condizioni non lontane da quelle dei servi della gleba e degli schiavi.

Si ha l’idea generale che i diritti dei lavoratori siano tutelati maggiormente in Italia che in Regno Unito, ma le testimonianze di chi cerca di farcela – ad avere un lavoro stabile, con contratto – in Italia, chi “ce l’ha fatta” dopo tanto tempo o chi non ed è emigrato fanno pensare che in realtà non sia così. Qual è la sua idea in merito?

Credo che lo statuto protettivo del lavoro subordinato a tempo indeterminato nelle imprese con più di quindici dipendenti in Italia sia migliore di quello del Regno Unito (e forse sia tra i migliori del mondo). La sua sensazione è diversa (direi rovesciata) perchè quando si esce da questo ambito lo statuto protettivo si riduce perchè viene meno la stabilità reale del posto di lavoro (per intenderci la reintegra del prestatore d’opera licenziato ingiustamente). Ecco allora che la maggior dinamicità del mercato del lavoro del Regno Unito sembra offrire maggior tutela al lavoratore in cerca (dopo la risoluzione del rapporto) di nuova occupazione. Ma non è così. Ed infatti questo spiega la Brexit che è il tentativo di riservare ai cittadini britannici le opportunità occupazionali sin qui conquistate dai migranti in forza della libera circolazione.

Ritiene ci sia un distacco tra le richieste dei lavoratori – o coloro che vorrebbero esserlo in maniera sicura – e la percezione della classe dirigente?

Francamente no. Semmai è la risposta della classe dirigente a suscitare perplessità perchè orientata a privilegiare formule assistenziali (reddito di cittadinanza, ammortizzatori sociali,ecc), piuttosto che ‎pensare ad un rilancio del sistema produttivo. Certo le risorse sono scarse. Ma credo che la ricetta per combattere la disoccupazione sia ancora il metodo di John Maynard Keynes.

Tag italia, lavoro

intervista a

Roberto Pessi è professore ordinario di Diritto del lavoro alla Luiss e Prorettore alla didattica dello stesso Ateneo.


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