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Il Golden Power al tempo dell’emergenza Covid-19. Uno strumento camaleontico a protezione del tessuto economico

Lo stop imposto dal governo britannico, per ragioni di sicurezza nazionale, a Hauwei per la rete 5G mostra quanto sia divenuto pervasivo lo strumento del golden power, sul piano del ridisegno dell’assetto geopolitico. Si tratta di una presa di posizione che avrà ripercussioni anche nell’Europa continentale e, in particolare, in Italia.

D’altra parte, anche nel nostro ordinamento il rilievo del golden power è in costante ascesa. Sicché accade sempre più spesso che il governo sia chiamato ad esercitare il complesso di poteri speciali volti a tutelare le imprese che operano in comparti ritenuti di interesse strategico da possibili scalate di aziende “estere” che potrebbero mettere a repentaglio la sicurezza nazionale.

Come si evince dalla relazione annuale appena presentata dal governo al Parlamento, mentre nel 2016 le notifiche su investimenti diretti esteri erano appena 14, nel 2017 esse sono più che raddoppiate a 30, nel 2018 si sono triplicate (43), nel 2019 sono esplose a 83 e nella prima parte del 2020 sono già giunte a 110.

A seguito delle novità introdotte dal decreto-legge Liquidità (artt. 15-17 del d.l. n. 23/2020, convertito in legge con l. n. 40/2020), c’è da attendersi quindi una ulteriore esponenziale crescita di rilievo dello strumento di controllo pubblicistico sugli investimenti di imprese straniere in Italia, sia sul piano quantitativo sia soprattutto sul piano qualitativo.

Vi è innanzitutto da chiarire che il golden power è uno strumento di protezione del tessuto economico e, come tale, è adattato dall’ordinamento che ne fa uso alle finalità politiche che, di volta in volta, vengono individuate dal Parlamento e dall’esecutivo. Tale istituto, in tal senso, è esercitato attraverso un potere “camaleontico”, i cui mezzi di espressione variano a seconda dell’adattamento al fine.

La pandemia ha prodotto una consistente accelerazione sull’uso del mezzo. Sotto la spinta dell’emergenza Covid-19 (e anche su sollecitazione della Comunicazione della Commissione UE del 26 marzo 2020, a protezione della filiera per l’assistenza sanitaria) numerosi Stati europei sono intervenuti a rafforzare lo strumento, al fine di tutelare l’interesse nazionale nell’attuale crisi.

Per l’Italia, il decreto Liquidità (art. 15-17, d.l. n. 23/2020) ha introdotto tre principali novità. Innanzitutto, il campo di applicazione delle prerogative del governo è stato ampliato, seppure in via temporanea, in modo consistente: lo “scudo dorato” di protezione (che già concerneva la difesa e sicurezza nazionale, il 5G, i settori ad alta intensità tecnologica, i servizi pubblici essenziali) riguarda oggi anche le aree finanziaria e creditizia (le banche e le assicurazioni), sanitaria e farmaceutica, agroalimentare (sulla falsariga del Regolamento UE 2019/452, sugli investimenti esteri diretti, che fa riferimento alla sanità, ai farmaci e alla sicurezza alimentare). Inoltre, le soglie per l’obbligo di notifica sono state riviste al ribasso e tale obbligo grava ora anche per le società ad azionariato diffuso: di fatto, ciò estende lo scudo protettivo alle piccole e medie imprese, allargando enormemente la potenziale platea dei golden powers. Infine, sino al 31 dicembre 2020 le misure di protezione varranno non soltanto per le aziende di paesi extra-UE, ma anche per le imprese di Stati membri dell’Unione, per acquisizioni che conferiscono il controllo dell’impresa e, per i soli paesi extra-UE, anche per quelle superiori al 10% della partecipazione. Come in passato, l’acquisto di quote societarie deve passare attraverso un’apposita procedura amministrativa, che prevede l’obbligo di notifica alle istituzioni pubbliche preposte. Peraltro, laddove sia omessa la notifica, l’esecutivo potrà adesso esercitare d’ufficio i poteri speciali, con ciò implicandosi la costituzione di una struttura organizzativa più forte e la definizione di meccanismi di intelligence economica, sulla scorta di quelli già presenti in altri paesi.

È evidente che, con tale normativa, il “camaleonte” golden power ha mutato aspetto. Sono tre i profili che sembrano interessanti da segnalare.

Innanzitutto, se lo scopo è quello di preservare gli interessi nazionali strategici, se ne ricava che la disciplina virale ha prodotto una diversa percezione del nocciolo duro dello Stato rispetto al passato. Esso, infatti, non coincide più soltanto con l’idea tradizionale dello Stato “guardiano notturno”, ma ormai investe anche quella dello Stato erogatore dei servizi pubblici a carattere sociale. Il diritto alla salute dei cittadini entra quindi nel nucleo duro ed essenziale delle prerogative dello Stato. L’aver compreso l’approvvigionamento di alimenti e la filiera dell’agroalimentare indica che si è considerato indispensabile introdurre una forma di tutela alla nazionalità delle aziende del settore della sopravvivenza o della vita dello Stato e dei suoi cittadini: acqua, alimenti, salute.

In secondo luogo, il Regolamento UE 2019/452 aveva tentato di orientare le modalità di verifica degli investimenti diretti esteri in direzione della sovranità europea, costruendo un ombrello comune di regole per tutti gli Stati membri. La disciplina italiana virale è andata oltre, nella direzione dello Stato “doganiere”. Il rafforzamento del golden power è l’ennesimo segnale di un ritorno dello Stato e, in particolare, di una trasformazione dei suoi modi di intervento in economia, con un cambio di ruolo orientato soprattutto ai settori dell’innovazione tecnologica, produttivo di effetti sulla pianificazione industriale e sulla protezione dello sviluppo economico nazionale.

In terzo luogo, la conseguenza di maggior impatto immediato tra le novità del golden power in epoca di Covid-19 riguarda il mutamento di ambito soggettivo della normativa. Con il decreto Liquidità si introduce ufficialmente un temporaneo scudo virale anche nei riguardi delle imprese di Stati membri UE, al fine di evitare che, con il forte calo dei titoli in borsa, imprese di altri paesi, anche europei, possano fare acquisti speculativi a prezzi di saldo. Al di là della contingenza emergenziale, è evidente che tale disposizione implichi un mutato modo di rapportarsi con l’Unione Europea e con i temi della concorrenza: vi è chi ha parlato, al proposito, di recessività dell’interesse all’apertura dei mercati nell’attuale assetto geopolitico e chi ha segnalato il rischio che l’esercizio dei golden powers possa dar luogo a forme di mascherato protezionismo. È l’ennesimo accadimento che fa tornare alla mente un’Europa dei confini che pareva retaggio del passato.

Ora, se la cessione del controllo di aziende nazionali strategiche a imprese straniere può condurre dell’impoverimento del tessuto industriale in aree di particolare interesse nazionale e a possibili rischi di difesa e sicurezza nazionale, è anche vero che porre eccessivi ostacoli agli investimenti esteri diretti è anch’esso, di per sé, potenzialmente produttivo di nocumento economico, dal momento che potrebbe deprimere il tessuto economico e finanziario del Paese.

È fondamentale, pertanto, rinvenire il giusto equilibrio nell’esercizio di poteri speciali di protezione del tessuto economico e industriale nazionale, soprattutto nei settori più delicati sotto il profilo della sicurezza nazionale, come quelli della gestione dei dati a seguito dell’innovazione tecnologica. Sotto questo profilo, va riconosciuto che, nella prassi, i golden powers, sin qui, sono stati esercitati dall’esecutivo con saggezza e moderazione: appena 13 volte il potere speciale è stato realmente esercitato sotto forma di prescrizioni e condizioni (in particolare, nel settore delle comunicazioni e dell’energia, per i possibili rischi alla cibersecurity a causa della tecnologica 5G) e soltanto una volta è stato posto il veto, nel 2017, con il caso Altran-Next Ast, per ragioni di sicurezza nazionale.