L’idrovolante europeo che non affonda ma non decolla nemmeno. Il fondo UE e il rebus sovranista

28 luglio 2020
Editoriale Europe | Focus Ripresa
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Il Consiglio Europeo che si è concluso all’alba di martedì scorso è destinato a dare uno scossone robusto alla fragile scena politica italiana, sia nella maggioranza di governo sia fra le opposizioni. Le tre reazioni differenti che hanno avuto i tre partiti di destra – Forza Italia favorevole alle conclusioni del Consiglio, Fratelli d’Italia critica ma disponibile, Lega del tutto contraria – dimostrano che da quelle parti è in corso una riflessione che potrebbe preludere a un processo di riposizionamento politico tutt’altro che banale.

Intendiamoci: l’entusiasmo europeista che ha salutato la conclusione del Consiglio è alquanto esagerato. Per almeno due ragioni. Innanzitutto perché, se la decisione di fare debito comune è di rilievo indiscutibile, è vero pure che nemmeno una catastrofe epocale come la pandemia ha saputo modificare la direzione di marcia del progetto europeo. Anzi, l’andamento del Consiglio e le sue conclusioni hanno semmai rafforzato la dimensione intergovernativa dell’Unione, un’arena di conflitti e compromessi fra interessi nazionali ben più che una federazione. L’Europa conferma così di essere – se mi si consente l’immagine – un idrovolante impegnato a disegnare arabeschi sulla superficie dell’acqua: non sta fermo e non affonda, ma non decolla nemmeno.

L’entusiasmo degli europeisti italiani è esagerato, in secondo luogo, perché i finanziamenti sono subordinati a condizioni molto stringenti. Il che vuol dire per un verso che ci sarà bisogno ancora di molti passaggi perché i soldi continentali si materializzino davvero nelle tasche degli italiani. E per un altro che le conclusioni del Consiglio contengono un ricatto nemmeno troppo velato agli elettori della Penisola: non vi azzardate a mandare al governo i sovranisti, altrimenti… Non bisogna essere Salvini per ritenere che questa parte dell’accordo sia quanto meno discutibile.

Queste premesse, d’altra parte, se pure circoscrivono la portata del fatto politico di fondo, non sono certo tali da cancellarlo: da martedì è diventato assai probabile che fra il 2021 e il 2023 l’Italia possa davvero utilizzare una quantità imponente di risorse provenienti dall’Unione. Risorse delle quali non può fare a meno. A questo fatto politico le opposizione cosiddette sovraniste – Lega e Fratelli d’Italia – possono reagire in due maniere opposte.

Possono enfatizzare i limiti del compromesso raggiunto dal Consiglio – che, come detto, sono tutt’altro che immaginari o secondari. Scommettere sul fatto che i soldi arriveranno in ritardo, o saranno meno di quelli promessi, o non arriveranno per niente. E raccogliere infine i frutti elettorali dell’eventuale fallimento europeo. Oppure possono prendere realisticamente atto dell’iniziativa dell’Unione e convertire la propria opposizione «di sistema» in un’opposizione «nel sistema». Ragionando più o meno così: «i finanziamenti europei servono all’Italia e noi non li rifiutiamo né rifiutiamo le condizioni alle quali vengono dati, ma non faremo sconti alle forze di governo, al loro statalismo e assistenzialismo, ai loro ritardi e alle loro inefficienze, e pretenderemo che ogni euro sia speso presto e bene per la modernizzazione delle infrastrutture e il rilancio produttivo del Paese». Un ragionamento per altro che, considerate le condizioni politiche nelle quali versano il governo e la maggioranza, spalancherebbe alle destre delle praterie politiche assai vaste.

Vedremo nelle prossime settimane, e con ogni probabilità soprattutto dopo le elezioni regionali di settembre, quale di queste due vie sceglieranno i sovranisti. Vedremo in particolare che cosa farà Salvini, che come s’è detto si è dimostrato da subito più ostile di Meloni al piano europeo. Fin d’ora, a ogni modo, è possibile abbozzare in via conclusiva due considerazioni. La prima: se l’opposizione sovranista dovesse restare «di sistema», le tensioni fra la condizionalità europea e l’opinione pubblica italiana rischierebbero di montare ulteriormente. Visto che l’idrovolante continentale, per quanto incapace di decollare, non pare avere la minima intenzione di affondare, sono tensioni pericolose per l’Italia. La seconda considerazione: se invece i sovranisti passassero all’opposizione «nel sistema», dovrebbero riuscire a farlo senza perdere elettori. Perché il problema non è tanto che Salvini e Meloni salgano sull’idrovolante, ma che lo facciano gli italiani che li votano.

 

Questo articolo è precedentemente apparso su La Stampa il 23 luglio 2020. Riprodotto per gentile concessione

L'autore

Giovanni Orsina è il Direttore della Luiss School of Government


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