È necessario riformare la giustizia elettorale italiana. Le indicazioni dalla Corte europea dei diritti dell’uomo

30 luglio 2020
Editoriale Sostiene la corte
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Indicazioni per l’Italia 

Dalla Corte europea dei diritti dell’uomo arrivano indicazioni importanti anche per l’ordinamento italiano: l’idea che il Parlamento possa essere giudice esclusivo della correttezza dei risultati elettorali pone seri problemi di rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla CEDU. In una pronuncia resa lo scorso 10 luglio nel caso Mugemangango c. Belgio sono stati affrontati diversi nodi problematici che – presto o tardi – potrebbero venire in rilievo anche nei confronti dell’Italia.

Italia e Belgio, infatti, insieme a pochissimi altri Stati europei (Danimarca e Islanda, pur con notevoli differenze), risultano essere gli ultimi a conservare un modello di verifica dei risultati elettorali con il parlamento medesimo come protagonista esclusivo. Al contrario, la linea di evoluzione della massima parte degli altri ordinamenti continentali si è indirizzata verso il riconoscimento della possibilità di accedere alla giurisdizione (ordinaria o amministrativa), o addirittura di coinvolgere le Corti costituzionali. La stessa Corte di Strasburgo aveva in passato lanciato segnali in questa direzione: una sua pronuncia, resa nel caso Grosaru c. Romania del 2010, aveva condotto quello Stato ad abbandonare la verifica parlamentare per l’adozione di un sistema fondato su commissioni elettorali indipendenti. Anche le “buone pratiche” suggerite da organismi internazionali che si occupano di elezioni da tempo suggeriscono la necessità di individuare, se non altro come giudice di appello, organi terzi e imparziali, auspicabilmente di tipo giurisdizionale. È il caso, ad esempio, della Commissione per la democrazia attraverso il diritto (la c.d. Commissione di Venezia), operante all’interno dello stesso Consiglio d’Europa, che ha indicato questa direzione nel suo Codice di buona condotta in materiale elettorale del 2003, nel quale sono raccolti i principi del “patrimonio elettorale europeo”.

Tornando alla pronuncia in esame, il ricorrente lamentava un errore nel computo dei voti nelle elezioni del 2014 del parlamento vallone, dal quale emergeva la sua mancata elezione per soli 15 voti, dinanzi a un numero significativo di schede dichiarate bianche, nulle o contestate (21.385) nella sola circoscrizione di Charleroi. Veniva quindi richiesto il riconteggio di queste ultime, così da verificare l’effettiva correttezza dei risultati e, se del caso, la modifica dell’esito elettorale. Secondo il diritto belga – che, nella sua impostazione generale, risulta analogo all’art. 66 della nostra Costituzione, anche se in premessa la Corte EDU richiama la tutela preelettorale, che in Italia si svolge davanti a un organo composto da magistrati di Cassazione – il giudice dei risultati elettorali è lo stesso organo parlamentare, per cui il candidato escluso presentava ricorso dinanzi al parlamento vallone. L’organo istruttorio all’interno di questo (la Commission de vérification des pouvoirs, un omologo delle “nostre” Giunte delle elezioni) aveva anche riconosciuto le sue ragioni, ma tale impostazione è poi stata sovvertita da un voto – a maggioranza – dell’Assemblea, senza che fossero fornite puntuali motivazioni per tale ribaltamento.

Il ricorrente procedeva quindi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, lamentando la inidoneità di tale procedimento a garantire il rispetto del diritto a libere elezioni (di cui all’art. 3, Prot. 1, della CEDU), nonché del diritto a un ricorso efficace (art. 13 della stessa Convenzione).

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto sostanzialmente tutti i profili denunciati dal ricorrente, riconoscendo, nell’ordine: che l’organo parlamentare chiamato a dirimere le controversie elettorali non era imparziale; che le procedure delineate dai regolamenti interni non hanno escluso comportamenti arbitrari; che la decisione finale non è stata basata su un ragionamento equo, oggettivo e motivato.

Cosa ha rilevato la Corte

Nello specifico, la Corte ha rilevato come sia nell’organo istruttorio, sia nella Assemblea che ha deliberato in maniera definitiva sul ricorso, fossero presenti e abbiano partecipato alla discussione (e, nel secondo caso, anche alla votazione) finanche i parlamentari eletti nella stessa circoscrizione di Charleroi, dunque direttamente interessati al mantenimento dell’esito elettorale. L’assenza di procedure tali da garantire un obbligo di astensione o una esclusione dagli organi decidenti dei parlamentari interessati è stata interpretata dalla Corte EDU come un indicatore di possibile arbitrarietà del processo decisionale. Inoltre – e questo è il punto di maggiore interesse per l’osservatore italiano – il fatto che la decisione ultima sia rimessa a un voto del plenum è stato assunto quale conferma del carattere politico della decisione finale. Per di più, l’assenza di specifiche motivazioni e di maggioranze qualificate per il superamento delle determinazioni dell’organo istruttorio (come è avvenuto nel caso di specie) è stata considerata incompatibile rispetto alla necessità che la decisione sulla verifica dei risultati elettorali fosse posta al riparo dalle logiche contrappositive tra maggioranza/opposizione, finendo così per replicare anche in questo ambito le tipiche dinamiche partisan che caratterizzano il confronto politico.

Oltre alle specificità delle procedure previste dall’ordinamento belga (che, tra l’altro, sono state successivamente modificate proprio in vista dell’esito del contenzioso dinanzi alla Corte EDU), molti sono i tratti di analogia con il sistema di verifica dei poteri presenti in Italia, da tempo oggetto di riflessione critica. Solo per citare l’ultimo (e decisivo) profilo censurato dalla Corte, il dualismo giunte/Assemblee è ben rinvenibile nell’ordinamento italiano: molto spesso, al progressivo innesto nel procedimento istruttorio di elementi ispirati alle garanzie tipiche di procedimenti giurisdizionali si è opposta la politicizzazione del voto in seduta plenaria, secondo logiche totalmente di parte e al solo fine di consolidare e confermare la maggioranza di turno. Osservatori internazionali come l’Office For Democratic Institutions and Human Rights (ODIHR) dell’OSCE hanno ripetutamente segnalato, almeno dal 2006, la problematicità delle procedure italiane di verifica dei poteri.

Nel maggio dell’anno scorso, proprio in Luiss, si è svolto un convegno sul tema, i cui atti sono stati raccolti nel numero 2019 della rivista Il Filangieri. In quella sede si sono appunto evidenziati i rischi di “disallineamento” del sistema italiano di verifica dei poteri dai principi del “patrimonio elettorale europeo”. Alla luce della recente pronuncia della Corte di Strasburgo, sembra proprio che quei dubbi fossero fondati.

L'autore

Giovanni Piccirilli è ricercatore di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss, dove è anche Vice Direttore del Centro di Studi sul Parlamento, Coordinatore del Corso di Perfezionamento in Drafting legislativo (organizzato nell’ambito della Luiss School of Law), e academic coordinator dell’Erasmus + Joint Master on “Parliamentary procedures and legislative drafting“, co-organizzato dalla Luiss, dall’Università Complutense di Madrid e dall’Institute of Advanced Legal Studies di Londra.


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