La costruzione di un centro vitale a Roma e Bruxelles. Come difendere la società aperta dai suoi nemici

12 agosto 2020
Editoriale Europe | Focus Ripresa
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 Ci sono stati passaggi storici durante i quali la società aperta (democrazia liberale ed economia di mercato) è stata sfidata sia dalla destra (estrema) che dalla sinistra (estrema). In quei passaggi, ha scritto lo storico americano Arthur M. Schlesinger Jr. (in un libro del 1949, “The Vital Center”, che ha influenzato generazioni di democratici americani e che oggi ispira i consiglieri di Joe Biden), è stato necessario costruire un “centro vitale” per difendere la società aperta “attraverso la sua riforma”. Da noi, la società aperta è promossa dal progetto di integrazione europea, l’unico che è riuscito a mettere in sicurezza le democrazie degli stati europei e il mercato unico a cui partecipano. Ed è questo progetto ad essere oggi sfidato dalle destre (sovraniste), oltre che dalle frange radicali della sinistra (nazionalista) e dai movimenti populisti. Poiché la pandemia ha destrutturato equilibri istituzionali e sociali, ciò potrebbe costituire un terreno favorevole per quelle destre. I nemici della società aperta hanno sempre usato le difficoltà per fare avanzare la loro agenda illiberale e nazionalista. Le forze europeiste hanno risposto alla pandemia, tuttavia tale risposta non ha ancora condotto alla necessaria riforma, sia a Roma che a Bruxelles. Ci vuole un “centro vitale” per farlo. Vediamo meglio.

Continuità a Roma

Necessariamente, la discussione pubblica si è focalizzata sulle priorità della ricostruzione post-pandemica. Legittimamente, è stato criticato il governo per non avere ancora definito, in modo chiaro e trasparente, la sua strategia, oltre che gli specifici programmi di policy che dovranno essere formalizzati nel programma nazionale di riforme da sottoporre alla Commissione il prossimo mese. Ma c’è un aspetto che quella discussione ha sottovalutato. La ricostruzione post-pandemica richiederà un periodo di anni più lungo del tempo rimasto all’attuale governo (e all’attuale legislatura). I finanziamenti di “Next Generation EU” verranno allocati (sulla base di periodiche verifiche) tra il 2021 e il 2026 (con una massa critica iniziale), mentre l’attuale legislatura potrà durare fino al 2023. Una politica di ricostruzione, coerente con il programma avanzato dalla Commissione europea nel novembre scorso, richiederà dunque una continuità di indirizzi tra una legislatura e l’altra. Poiché quella politica dovrebbe basarsi (principalmente) su investimenti (e non già su spesa corrente), allora essa non potrà esaurirsi nei 2-3 anni rimasti all’attuale legislatura. Gli indirizzi di una politica di investimenti non possono cambiare con il cambio del governo, perché ciò condurrebbe ad uno spreco irrimediabile di risorse e di tempo. Eppure, se l’attuale destra sovranista ed antieuropea diventasse domani maggioranza, sarebbe di conseguenza una ridefinizione delle priorità del Paese. Come se non bastasse, i 200 e passa miliardi di “Next Generation EU”, oltre agli 80 miliardi provenienti dagli altri programmi europei, difficilmente condurranno al “secondo miracolo economico” italiano se verranno gestiti da un sistema di governo caratterizzato (come l’attuale) da rapporti confusi tra esecutivo e legislativo, oltre che tra centro e regioni. A sua volta, un fallimento italiano metterebbe a rischio lo stesso progetto europeo. Come creare un “centro vitale” nazionale che aiuti il Paese a ricostruirsi in modo efficiente e coerente, rafforzando nello stesso tempo l’Ue?

Organizzazione a Bruxelles

L’Ue ha dimostrato di esistere, dando una risposta immediata alla pandemia e quindi delineando (attraverso “Next Generation EU”) le policies della ricostruzione post-pandemica. Il raggiungimento di entrambi gli obiettivi ha silenziato le destre sovraniste. Queste ultime sono state marginali nel Parlamento europeo, hanno giocato (attraverso i governi dei Paesi dell’est) un ruolo del tutto parassitario nel Consiglio europeo, non hanno potuto ostacolare l’azione della Commissione europea. Tuttavia, non hanno perso la voce, come si renderà evidente appena l’Ue mostrerà le sue inevitabili difficoltà di funzionamento. Dopo tutto, essa continua ad essere prigioniera della confusione istituzionale che caratterizza sia i rapporti (orizzontali) tra le istituzioni di Bruxelles che i rapporti (verticali) tra queste ultime e le istituzioni nazionali. Consideriamo i rapporti verticali. Quando è esplosa la pandemia non si sapeva chi doveva fare cosa. Gli stati membri hanno la competenza per intervenire, ma non avevano i mezzi per farlo. Si considerano (non tutti) “i signori dei Trattati”, rivendicando la loro preminenza decisionale, ma sono spesso costretti a ricorrere all’intervento delle istituzioni sovranazionali. Senza l’iniziativa della Banca centrale europea o della Commissione europea, sarebbe stato impossibile contenere la sfida pandemica. Dopo tutto, l’Ue funziona, come nel mercato unico, là dove vi è un equilibrio tra governi nazionali (rappresentati dal Consiglio dei ministri) ed elettori europei (rappresentati dal Parlamento europeo). Là dove però sono in gioco risorse (finanziarie o militari o di sicurezza), i governi nazionali non hanno accettato quell’equilibrio istituzionale. Anzi, per decidere le politiche che per loro contano, si sono trasferiti direttamente a Bruxelles, creando un’istituzione intergovernativa (il Consiglio europeo) che fonde il livello nazionale di governo con quello europeo. Con buona pace della sussidiarietà. La separazione delle competenze nazionali da quelle europee è così confusa che è impossibile sapere chi deve fare cosa (in particolare nelle crisi). Vento nelle vele per le destre sovraniste, che si alimentano della confusione. Quest’ultima richiederebbe di essere riformata, se si vuole difendere l’Ue dai suoi nemici. Come creare un “centro vitale” europeo per farlo?

Insomma, in passaggi storici come l’attuale, la politica democratica deve ripensare sé stessa, se vuole fornire l’infrastruttura necessaria per difendere il progetto europeo attraverso la sua riforma. Occorre creare un “centro vitale” nazionale, per dare continuità alla ricostruzione post-pandemica, e un “centro vitale” europeo, per dare continuità al progetto unionista. Gli insegnamenti di Arthur M. Schlesinger Jr sono utili anche a coloro che, a Roma e a Bruxelles, oltre che a Washington D.C, sono impegnati a difendere la società aperta dai suoi nemici.

Questo articolo è precedentemente apparso sul Sole 24 Ore l’8 agosto 2020. Riprodotto per gentile concessione.

L'autore

Sergio Fabbrini è professore di Scienza politica e Relazioni internazionali e direttore del Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss. È anche Pierre Keller Professor presso la Harvard Kennedy School. 


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