Pandemia e disuguaglianza. Ecco perché serve uno “Stato sociale del mondo”
16 agosto 2020
Lo scorso anno, economisti consapevoli hanno osservato che “il mondo fronteggia tre crisi esistenziali: una crisi climatica, una crisi di diseguaglianza, e una crisi della democrazia” (Stiglitz et al., 2019a, p. XIII). Lo shock sanitario ed economico epocale provocato dal coronavirus (poi ufficialmente denominato Covid-19 dall’OMS) ha aggiunto un’altra crisi alle suddette tre: una crisi pandemica temuta da alcuni ma sostanzialmente imprevista.[1] Solo per caso un’emergenza sanitaria non si è presentata prima. Nessun governo aveva però preso precauzioni per assicurare il benessere futuro della popolazione. Anzi, nonostante la sanità sia uno dei settori in cui l’“interdipendenza sistemica” si manifesta in modo particolare, i sistemi sanitari nazionali (SSN) sono stati oggetto negli ultimi decenni di continui tagli di risorse. Nei Paesi con sistemi a offerta sanitaria “mista” (pubblica e privata), la contrazione della spesa pubblica imposta dall’austerità ha colpito nella sanità in maniera più marcata. Tanto più la popolazione è composta da soggetti ad alto rischio di malattia, e quanto più i ricchi desiderano uscire dal SSN per assicurare la propria salute nel mercato, tanto meno risulta essere finanziato il sistema pubblico di mutua assicurazione del rischio, il che penalizza in primo luogo la tutela dei poveri.
Sanità privata e trend globali
La sanità privata gode della reputazione di raggiungere livelli di “eccellenza”. Questo ha fatto dimenticare il limite di concentrare gli investimenti nei settori più profittevoli, come tumori e cardiopatie, piuttosto che nel contrasto delle patologie caratterizzate da più alti costi, come gli strumenti sanitari di contrasto delle epidemie e le malattie della terza età. I diversi trend di diminuzione del numero dei posti letto in ospedale nelle varie nazioni sono in linea con l’impatto che il Covid-19 ha avuto sulla morbilità delle popolazioni. Germania e Francia, i Paesi che hanno un sistema sanitario in prevalenza pubblico, hanno mostrato una maggiore efficienza nel combattere il diffondersi del contagio. La Svezia, il cui Welfare è l’esempio di quanto l’austerità abbia inciso nell’obbligare i governi a rafforzare la “selettività” dell’universalismo e a restringere le politiche sociali, ha conosciuto il trend più ripido di riduzione nel numero di posti-letto ospedalieri. Un trend di continua diminuzione dei posti-letto è stato seguito dai Paesi Bassi, il cui Welfare è da tempo in contrazione. Anche nei due maggiori Paesi anglosassoni, i posti-letto sono stati di molto ridotti. I tagli alla sanità contribuiscono a spiegare perché questi Paesi abbiano deciso di privilegiare l’improvvido ricorso all’“immunità di gregge” rispetto al lockdown, salvo poi arrendersi alla necessità di arginare in qualche modo la crescita dei contagi. In netta controtendenza è la Cina, che negli ultimi decenni ha cercato di colmare il proprio divario in infrastrutture sanitarie e il cui numero di posti-letto ospedalieri oggi si colloca all’incirca nella media dei Paesi europei.
L’impatto economico della pandemia
L’impatto del Covid-19 andrà misurato sul lungo periodo. Assumiamo che nel corso del 2021 i sistemi economici tornino a funzionare a pieno regime e le “catene globali del valore” siano ripristinate. Non è tuttavia detto che la ripresa economica avrà le stesse caratteristiche del passato. Se è vero che lo shock è stato pressoché simmetrico in tutte le nazioni, le economie più deboli hanno subìto una caduta del PIL maggiore e conosceranno una ripresa più stentata. È prevedibile che il processo di convergenza del Sud verso il Nord del mondo rimarrà bloccato anche quando la brusca interruzione dei flussi commerciali sarà superata. All’interno dei Paesi, poi, l’impatto si suddividerà in modo non proporzionale fra ricchi, classe media e poveri. Sia nei Paesi arretrati che in quelli avanzati i lavoratori licenziati e la nuova forza lavoro giovanile potrebbero trovarsi di fronte un mercato del lavoro più selettivo di prima sul piano delle competenze (skills) richieste.
Quello che più allarma sul medio periodo è l’impatto sull’occupazione. La prima causa della tendenza a crescere dell’indice di diseguaglianza del reddito è la perdita del lavoro. Uno studio del Fondo monetario internazionale (Furceri et al., 2020), condotto sulle varie pandemie da virus (HIV, Sars, Mers, Aviaria, ecc.) occorse in 76 Paesi fra il 1997 e il 2017, rileva che nei cinque anni successivi a una crisi sanitaria la diseguaglianza di istruzione e formazione professionale aumenta e l’abbassamento del tasso di occupazione è concentrato nella forza lavoro con un solo livello di istruzione. A fronte di un crollo di redditi che già colpisce in proporzione molto maggiore i poveri e la classe media, anche la distribuzione della ricchezza è destinata ad assumere un ruolo rilevante nella direzione dell’incremento delle diseguaglianze. La classe proprietaria dei Paesi avanzati, quanto più è riuscita ad accumulare attività finanziarie e beni immobiliari, tanto più può compensare le perdite di guadagno nel mercato con la speculazione nei mercati finanziari, dove le quotazioni delle attività finanziarie vengono sostenute dall’ingente creazione di moneta immessa in circolazione dalle banche centrali. La classe media, d’altro canto, può difendere i livelli di consumo raggiunti rendendo liquidi i patrimoni che la propria propensione al risparmio le ha permesso di acquisire. Il ricorso alla ricchezza come bene buffer è invece precluso ai ceti più poveri, semplicemente perché ne sono privi.
Un segnale della gravità della crisi economica e sociale che seguirà alla pandemia è l’impatto che essa sta già avendo sull’ideologia del “primato” degli incentivi di mercato su cui si fonda l’equilibrio economico-sociale dell’austerità. Il messaggio che si fa strada fra gli stessi economisti ortodossi è che un ritorno alla gestione pubblica sia ineludibile. La preoccupazione per il futuro arriva a mettere in dubbio granitiche certezze teoriche. Charles Wyplosz, un economista paladino della “disciplina fiscale”, ha elogiato i flussi di espansione fiscale di portata epocale attivati per combattere le conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia. A sorprendere è soprattutto la motivazione. Wyplosz prende le distanze da un totem della teoria economica: “la spiegazione del perché gli Stati Uniti siano il solo Paese sviluppato che non ha un’assistenza medica universale è l’‘azzardo morale’. La responsabilità individuale è un buon concetto, ma esso ignora le esternalità causate dall’assenza di copertura sanitaria per gli individui ‘irresponsabili’ che vanno a infettare gli individui ‘responsabili’” (Wyplosz, 2020). Alfine, un economista ortodosso ammette che l’economia è calata in un contesto di “interdipendenza sistemica”, abiura l’ortodossia, e riconosce quanto si è qui prima sostenuto: l’“azzardo morale” non può essere la giustificazione per ignorare i bisogni e le aspirazioni di mobilità sociale dei ceti più deboli della società.
Un grande economista come Kenneth Arrow, che non cedette alle lusinghe del neoliberismo, non volle sfuggire alla domanda: deve essere data priorità all’efficienza oppure all’equità? In un fondamentale contributo teorico sull’economia della sanità, egli illustrò cosa sarebbe accaduto se nei piccoli centri l’unico ospedale locale fosse stato privatizzato. L’eguale dignità delle persone è un valore assoluto, non può cedere il passo alla ricerca del profitto. Quali conseguenze possano derivare dalla sostituzione della sanità privata alla sanità pubblica lo si è visto in molte nazioni durante la pandemia. Il Premio Nobel per l’Economia 1972 così concludeva: “nella sanità, la soluzione di lassez-faire non è tollerabile” (Arrow, 1963, p. 967).
Una crisi globalizzata, ma diseguale
L’interconnessione planetaria fra le persone ha fatto sì che il coronavirus viaggiasse senza ostacoli da un continente all’altro. Le economie globalizzate, a loro volta, si sono subito vicendevolmente contagiate sul piano economico in una catena di blocchi della produzione e di crollo della domanda. Dopo solo pochi mesi dallo scoppio della pandemia, è già possibile indicare una serie di conseguenze pressoché certe. Due caratteristiche contraddistinguono questa crisi, rendendola diversa sia dalla Grande depressione succeduta alla crisi di Wall Street del 1929 sia dalla Grande recessione nata con la crisi finanziaria del 2008. Primo, quello che è stato salutato come il principale beneficio della globalizzazione, il processo di avvicinamento dei Paesi del Sud al Nord del mondo, è entrato in crisi. La convergenza in termini di reddito pro capite, guidata da Cina e India, subirà una brusca interruzione. Secondo, l’impatto della pandemia Covid-19 a livello mondiale è molto differenziato fra i Paesi ricchi, dove esistono una serie di istituzioni di Welfare che forniscono immediati ammortizzatori sociali, e i Paesi poveri, dove le istituzioni democratiche sono fragili o inesistenti e i programmi di protezione sociale sono limitati e spesso concessi non in base a diritti e bisogni ma in base alla vicinanza alle élite al potere. L’eguaglianza di opportunità consiste anche nell’obbligo di dare protezione a tutti gli individui, dovunque siano nati, nei Paesi ricchi o nei Paesi poveri. Alla più severa crisi sanitaria da un secolo a questa parte il mondo dovrebbe oggi opporre un enorme investimento nella salute pubblica globale. Il vaccino Covid-19 andrebbe somministrato su base egualitaria, evitando di abbandonare a sé stesse tante nazioni, a partire da quelle africane.
Come auspicato dal programma dei Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite, il Nord del mondo avrebbe il dovere di creare uno “Stato sociale del mondo” per il contrasto della povertà e la difesa dalle pandemie. La cooperazione internazionale per la produzione del vaccino contro il Covid-19 sta però fallendo. La “Teoria dei Giochi” insegna che in assenza di una governance mondiale prevale la ricerca del vantaggio competitivo di essere il primo paese a brevettare il vaccino. La collaborazione in corso fra governi nazionali e case farmaceutiche nella ricerca del vaccino avviene infatti su base bilaterale. Una strategia di cooperazione, invece che di competizione, fra i paesi, consentirebbe la condivisione dei risultati delle varie fasi di realizzazione del vaccino, farebbe risparmiare sui suoi costi e accorcerebbe i tempi necessari affinché la sua ricerca abbia successo. La “miopia” dei governi di non cercare con convinzione un accordo cooperativo su base internazionale provoca il “fallimento del bene pubblico” della salute globale. L’esito finale per la comunità internazionale sarà sia inefficiente, sia non equo, per le popolazioni che saranno le ultime a poterne disporre.
Né va dimenticato che il mondo è nel pieno di una grave crisi all’indomani di un’altra. Alla fine del 2019, al momento della “fuga” dal mercato di Wuhan del coronavirus, la Grande recessione non era stata ancora superata da molti Paesi. Quando nacque negli anni Novanta, la finanziarizzazione dell’economia prese la forma della creazione dei “derivati”. I titoli emessi sulla base di altri titoli fungevano da garanzia della restituzione del prestito una volta che fosse giunto a scadenza. L’incertezza sulla sostenibilità dell’ingente ammontare di titoli emessi ha avuto l’effetto di aumentare il “grado di rischio”. Quale che sia il canale di trasmissione fra moneta e produzione[2], in tutte le maggiori economie è già oggi incredibilmente alto il rapporto fra l’indebitamento delle imprese e il PIL che esse creano. D’altro canto, la caduta dei PIL nazionali rischia di prolungarsi nel tempo: si domandano pochi beni perché il denaro serve innanzitutto a pagare i debiti e si investe poco perché il rendimento atteso è basso e incerto. La pandemia, pur essendo fronteggiata sia con ingenti emissioni di debito pubblico sia con un ulteriore incremento nella creazione di moneta, è destinata ad aggravare gli squilibri sociali. Il quantitative easing (QE), l’enorme quantità di moneta messa in circolo dalle maggiori banche centrali durante lo scorso decennio, cui si è aggiunto il programma PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) diretto a contrastare la crisi economica post-Covid-19, è l’aiuto “di ultima istanza” per salvare imprese e banche dal default. Questo sostegno delle banche centrali – indispensabile per garantire la “sostenibilità sistemica” – rispecchia la gerarchia di potere che vede i ricchi al comando dei mercati reali e finanziari, mentre la tutela della classe media e dei poveri è subordinata a quanta liquidità i governi riusciranno a ottenere nei mercati finanziari per finanziare le politiche pubbliche.
L’articolo proposto è un estratto dall’ebook Pandemia e disuguaglianza. Note sullo Stato sociale di Francesco Farina, pubblicato il 4 agosto dalla Luiss University Press nella serie Eureka!, una collana ebook distribuita gratuitamente e in esclusiva solo per gli iscritti alla newsletter della casa editrice. Qui il link per iscriversi https://www.luissuniversitypress.it/luissup/newsletter/signup
[1] La SARS, l’Ebola, la MERS sono solo alcune fra le tante epidemie recenti che avrebbero potuto divenire pandemie se avessero avuto appena una ulteriore mutazione genetica.
[2] Nei Paesi anglosassoni, nei quali la trasmissione monetaria ha luogo principalmente con la liquidità presa a prestito dagli operatori finanziari, la moneta creata dalle banche centrali è andata ad alimentare innanzitutto la circolazione finanziaria. Uno di motivi è che il primo obiettivo di CEO e manager è diventato quello di sostenere le quotazioni di borsa. Se si parla oggi del pericolo di una “stagnazione secolare” è proprio perché il denaro creato dal QE va in primo luogo a ripianare le perdite. D’altro canto, le cose non vanno meglio nelle economie, in cui il risparmio delle famiglie è tradizionalmente alto e trova sbocco nel mercato del credito bancario. In economie quali Germania, Giappone e Italia, le banche sono ancora oggi un importante canale di finanziamento dell’economia reale. Con tassi vicini a (o sotto lo) zero, la remunerazione del credito è troppo bassa in relazione al rischio che ci si assume, sicché le banche sono scoraggiate dal dare a prestito.

Newsletter
Articoli correlati
20 ottobre 2021
La fine di Alitalia rappresenta il capolinea di un’era per l’Italia e per molti: lavoratori e viaggiatori. L’ultimo volo visto da un passeggero del volo AZ 1466 fra commozione e rabbia.
Lost in Translation? La sinistra europea alla ricerca di se stessa
6 settembre 2021
Nel panorama politico dell’Europa occidentale degli ultimi anni è generalmente accettato che i partiti di sinistra, e in particolare i partiti socialdemocratici, abbiano sperimentato un inarrestabile declino elettorale. Giornalisti ed esperti hanno evidenziato il drammatico crollo recente dei partiti socialdemocratici in diversi paesi. Vediamo le cause.
Regimi fiscali e visioni dell’Unione euopea
4 agosto 2021
Dopo l’estate inizierà la discussione sul futuro del Patto di stabilità e crescita (PSC), il perno del sistema fiscale dell’Eurozona momentaneamente sospeso. Già ora, però, gli schieramenti si stanno formando. L’Eurozona ha bisogno di un framework fiscale per funzionare, ma la sua natura è oggetto di divisioni. Vediamo perché.
L’Europa apra le porte solo alle vere democrazie
27 luglio 2021
Non era mai sparito dall’agenda, ma l’obiettivo dell’ulteriore allargamento dell’Unione europea (Ue) è stato recentemente riproposto. Come valutare le pressioni verso un nuovo allargamento? La visione internazionalistica è in contrasto con la realtà istituzionale dell’Ue? Ecco un’analisi di Sergio Fabbrini.