Capire la Cina. Il paradigma dell’efficacia e il socialismo del libero mercato
3 settembre 2020
La Cina del futuro
Alcuni tra i più importanti istituti di ricerca a livello internazionale prevedono che nel 2030 la Cina sarà la prima area del mondo nel settore delle nanotecnologie e nel 2050 la prima economia del globo. Più in generale, il Pil dell’Asia rappresenterà oltre il 35% della ricchezza totale, cioè quanto la somma del reddito complessivo dell’Unione monetaria europea e degli Stati Uniti. Negli ultimi due decenni, più del 15% della popolazione di questi ultimi è passata dalla middle class alla working class, mentre oltre 400 milioni di abitanti del Celeste Impero sono andati ad aumentare il ceto medio.
Il paradigma dell’efficacia
Attualmente, la Repubblica popolare cinese, anche attraverso una attenta politica di acquisizioni all’estero, è la maggiore produttrice di oro al mondo, condizione che le potrebbe permettere una rilevante riduzione delle riserve in dollari. Nonostante il corona virus, inoltre, il Pil cinese ha registrato una ripresa nel secondo trimestre di quest’anno di oltre il 3%, contro una perdita del 37% di quello statunitense. Al successo economico della Cina non è estranea la sua filosofia, che, come ha notato Gennaro Sangiuliano in suo recente volume, Il nuovo Mao, dedicato all’ascesa al potere di Xi Jinping, ne ha determinato una riformulazione del comunismo in una nuova chiave identitaria che esprime un forte richiamo al confucianesimo, tornato ad essere il principale punto di riferimento in una sorta di sostituzione del marxismo nell’era della globalizzazione.
Dopo il suo ingresso nella WTO, nel 2001, il Celeste Impero ha adottato una specifica strategia, speculare alla sua filosofia, fondata sul paradigma dell’efficacia. Questa, in Occidente, è l’espressione della modellizzazione e della sua applicazione, tipiche del pensiero europeo fondato sul linguaggio matematico attraverso Galileo, Descartes e Newton. Come insegna la filosofia greca, però, e in particolare Aristotele, tra di esse c’è una dispersione, perché la seconda non sempre riesce a realizzare concretamente la prima. In Cina, al contrario, la strategia è espressione dell’efficacia, quale ricerca dei fattori favorevoli da cui trarre delle opportunità. Uno tra i più importanti sinologi, François Julien, ha scritto che nella filosofia confuciana l’efficacia si identifica nel regolare le condizioni a monte in modo da usare “il potenziale di situazione” a proprio vantaggio. Insieme a un’altra condizione: “la trasformazione silenziosa”, che ha permesso un processo di demaoizzazione graduale e progressivo, da essere interiorizzato dagli stessi rivoluzionari. D’altronde, sin dal marzo del 1993 fu inserita nella Costituzione cinese la definizione di “socialismo di libero mercato”, che considerava quest’ultimo uno strumento per accelerare la crescita e non una categoria inerente soltanto al capitalismo, quindi una opportunità da cui trarre vantaggio attraverso il potenziale della situazione.
La Cina al centro del mondo
Il socialismo di libero mercato sostituiva la precedente economia pianificata, a conferma del lungo iter iniziato dalla fine degli anni 70 della cosiddetta politica della Porta aperta (Kaifang zhengce). Non a caso, nella Repubblica popolare il termine globalizzazione ha un significato opposto alla internazionalizzazione, perché tradotto con Quanqiuhua, che ha risonanza taoista e confuciana. Il termine è composto da Quan=Tutto, Qiu=Terrestre, Hua=Azione, e si riferisce al concetto di “Cina interna” o anche di “centro del mondo”, come testimonia la sua stessa auto-denominazione Zhongguo, cioè il “Paese del centro”, perché perno della civiltà universale (Tianxia). Perciò, la leadership post-maoista ha attuato un precesso di internalizzazione della globalizzazione tramite politiche di attrazione di capitali stranieri e tecnologie innovative necessarie a facilitare la modernizzazione del Paese, politiche che si sono avvalse dei vantaggi comparati che offre il Celeste Impero per il più basso costo del lavoro e per una normativa di fatto assai blanda sull’inquinamento, nonostante la sua condivisione del protocollo di Kyoto e degli accordi di Parigi. Questa strategia è stata recentemente ben sintetizzata dal presidente Xi Jinping, che si è posto come strenuo difensore della globalizzazione ma – come ha fatto inserire nello statuto del partito comunista – sempre nell’ambito di un “socialismo con le caratteristiche cinesi per una nuova era”.
Una nuova interpretazione della globalizzazione
Quest’ultimo è il sistema politico-economico progettato per la rinnovata interpretazione di Xi Jinping della globalizzazione, che vede nella Cina il centro di un nuovo universalismo culturale rivolto ai Paesi emergenti, e non solo, per abbattere la povertà e per realizzare un’accelerata crescita. Già nel 2016, Xi definiva questo modello “il sogno di felicità cinese” che deve essere interrelato “ai sogni di felicità perseguiti dai popoli di tutto il mondo” similmente a quanto dichiarava W.W. Rostow “fate come abbiamo fatto noi”, per l’affermazione del capitalismo nei Paesi definiti del terzo mondo, all’indomani della seconda guerra mondiale.
Liberismo e socialismo oggi attraversano una comune transizione dal capitalismo industriale, sia di mercato sia di Stato, al nuovo e diffuso capitalismo digitale che deciderà il primato nell’economia mondiale dell’Occidente o dell’Oriente. Questa sfida dovrebbe rispettare regole condivise di competitività. Ancora una volta, però, l’uso di dumping da parte del Celeste Impero ne sta determinando la preminenza. Robert Atkinson, Presidente dell’Information Technology and Innovation Foundation (ITIF), ha rivelato che il sistema 5G di Huawei è obbligato a “supportare, assistere e coadiuvare i servizi segreti statali cinesi” e a consegnare dati sensibili delle nazioni in cui opera. Questo spiega perché plurimi Paesi, tra i quali Stati Uniti, Canada, Australia, Estonia, Giappone, Taiwan o Nuova Zelanda, hanno messo al bando la nuova generazione dei sistemi di comunicazione cellulari 5G della Repubblica Popolare. Senza considerare, poi, che l’altra società di telecomunicazione cinese, la Zte, controlla ormai più della metà delle contrattazioni a livello mondiale. Valori ed errori, comunque, hanno costellato l’evoluzione sia dell’Occidente che dell’Oriente, perciò ci piace concludere con quanto ha scritto Federico Rampini nel suo ultimo volume: “Tra noi e loro è in atto da due millenni un gioco di specchi rovesciati, immagini manipolate … un gioco dove forse si stanno invertendo i ruoli, e presto sarà l’Oriente a dirci chi eravamo, chi siamo noi”.
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