Tra istituzioni, leadership e governance: quale politica estera per l’UE post-Lisbona?

18 settembre 2020
Editoriale Europe
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La politica estera è una delle aree di policy in cui si sono verificate molte delle crisi multiple che l’Unione Europea (UE) ha dovuto affrontare nell’ultima decade. Fra le altre, ad esempio, ci sono la difficile transizione politica in Nord Africa e Medio Oriente, il conseguente aumento dei flussi migratori, il conflitto in Ucraina, e le tensioni nei Balcani Occidentali. Per non parlare del terrorismo e del discontento, simboleggiato da BREXIT, all’interno dell’UE. E tutto questo, mentre il Presidente Americano, Donald Trump, inviava segnali contrastanti rispetto all’impegno della NATO in Europa e nel suo vicinato.

È su questo sfondo che il Trattato di Lisbona ha recentemente compiuto dieci anni. Tale trattato è stato ampiamente celebrato come uno spartiacque per l’istituzionalizzazione della politica estera europea. Senz’altro, i trattati precedenti avevano gettato le basi per una centralizzazione delle politiche estere degli stati membri. Ciononostante, il Trattato di Lisbona ha introdotto una serie di innovazioni che, secondo alcuni, avrebbero permesso all’UE di essere più coerente, e quindi efficace, nell’arena internazionale. Il rimodellamento della figura dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, in particolare, è stato celebrato come un meccanismo di ingegneria istituzionale capace di collegare i settori sopranazionali e quelli intergovernativi della politica estera.

Un esame del ruolo internazionale dell’UE nel corso dell’ultima decade tramite un focus su questa figura istituzionale può fornire informazioni importanti. Non solo perché si trova all’incrocio tra la dimensione intergovernativa e quella sopranazionale delle politiche europee, ma anche perché il decimo anniversario del Trattato di Lisbona corrisponde alla fine del mandato del secondo Alto Rappresentante post-Lisbona, Federica Mogherini. Se il focus sulle attività dell’Alto Rappresentante permette di andare oltre la divisione tra sopranazionalismo ed intergovernmentalismo, la fine del mandato del secondo titolare di questa carica offre l’opportunità di considerare fattori legati alla personalità in maniera più oggettiva rispetto al passato. Come dimostrato da un recente studio, una serie di domande, in particolare, consentono di effettuare una valutazione della figura dell’Alto Rappresentante, e quindi della politica estera nell’era post-Lisbona.

Prima di tutto, la costruzione istituzionale introdotta dal Trattato di Lisbona favorisce o limita il ruolo dell’Alto Rappresentante?

A prima vista, il Trattato di Lisbona ha concesso un ruolo importante all’Alto Rappresentante come presidente del Consiglio Affari esteri; come vicepresidente della Commissione incaricato di coordinare le relazioni esterne dell’UE; e come “capo” della rete diplomatica dell’UE, compreso il Servizio Europeo per l’Azione Esterna e le oltre 140 delegazioni in tutto il mondo. Tuttavia, a causa della natura prevalentemente intergovernativa della politica estera dell’UE, persistono vincoli istituzionali. Ad esempio, un’analisi dell’evoluzione delle relazioni dell’UE con la sponda sud del Mediterraneo suggerisce che i discorsi e le pratiche europee nei confronti dei paesi di questa regione sono ancora ampiamente definiti dall’accordo – o dal disaccordo – tra gli stati membri. Lo stesso vale per altri casi, come ad esempio la politica estera dell’UE nei confronti dei Balcani occidentali e del vicinato orientale, oppure in ambito di sicurezza e difesa. In queste situazioni, infatti, è stato dimostrato come le preferenze strategiche divergenti degli stati membri abbiano avuto un impatto negativo sul ruolo dell’Alto rappresentante.

In secondo luogo, dal punto di vista dell’individuo, come hanno modellato le due Alto Rappresentanti il loro ruolo istituzionale in relazione agli stati membri, alle altre istituzioni dell’UE e ad attori terzi?

Una valutazione delle attività delle due Alto Rappresentanti dimostra come, al di là dell’istituzione, il ruolo dell’individuo sia importante. La possibilità di confrontare i mandati di Ashton e Mogherini consente di far luce su fattori personali, e su come questi abbiano influenzato la politica estera dell’UE. Non solo il contesto istituzionale e quello situazionale, ma anche le qualità personali delle due titolari hanno determinato le loro prestazioni. La leadership di Ashton e Mogherini è stata diversa sia a livello istituzionale, che nelle relazioni con il pubblico esterno. Hanno adottato approcci differenti per far fronte alle tensioni istituzionali generate dalle complessità del Trattato di Lisbona. Questi approcci sono stati particolarmente evidenti nell’istituzione e nel consolidamento del Servizio Europeo per l’Azione Esterna e delle sue strutture di gestione delle crisi. Allo stesso tempo, senz’altro, l’uso fatto dall’Alto Rappresentante dei – nuovi – media ha influenzato informalmente la politica estera dell’UE, come dimostrato dal processo che ha portato all’elaborazione della Strategia Globale pubblicata nel giugno 2016. Tuttavia, anche in questo ambito, Ashton e Mogherini hanno impostato un diverso tipo di dialogo con il pubblico esterno alle istituzioni dell’UE, inclusi think-tanks, centri di ricerca, università, ecc.

Infine, che implicazioni ha avuto l’Alto Rappresentante post-Lisbona sulla governance della politica estera dell’UE?

Negli ultimi dieci anni, la governance della politica estera dell’UE è stata caratterizzata da una crescente complessità delle pratiche istituzionali tra stati membri e istituzioni. Nonostante la separazione verticale dei poteri prevista dal Trattato di Lisbona, sono emerse nuove dinamiche orizzontali e pratiche di leadership informale. È in questo scenario complesso che hanno operato le due Alto Rappresentanti del dopo Lisbona. In alcuni casi, la loro influenza è dipesa in larga misura dalla loro capacità di interagire con gruppi informali di stati membri particolarmente attivi in specifici dossiers di politica estera. I negoziati informali con l’Iran e le interazioni di Ashton e Mogherini con i cosiddetti directoires, sono un chiaro esempio di questa dinamica. In altri casi, il consenso in seno al Consiglio Europeo è rimasto una condizione necessaria perché l’Alto rappresentante potesse influenzare i processi di governance della politica estera dell’UE. Ad esempio, il Consiglio Europeo – e non l’Alto Rappresentante – è stato un attore istituzionale importante – se non il più rilevante – nel caso delle relazioni con Kosovo e Ucraina, e nelle nuove iniziative nell’ambito della difesa dell’UE.

 

Gli autori

Maria Giulia Amadio Viceré è assegnista di ricerca e docente presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss. Allo stesso tempo, è ricercatrice associata presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI). In precedenza è stata Assistant Professor all’Università di Leida (Paesi Bassi). Nel 2020 è stata vincitrice di una Marie Curie Individual Fellowship, da svolgersi presso il Robert Schuman Centre for Advanced Studies, basato allo European University Institute.


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Giulia Tercovich è Assistant Professor e Coordinator for Student Learning and Faculty Support and for the Executive Training in Global Risk Analysis and Crisis Management (GRACM) presso il Vesalius College di Brussels


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