La dignità del lavoratore nell’era digitale. Un nuovo mondo che risponde a vecchie regole
25 settembre 2020
Ovunque si parla, si dibatte, si scrive del lavoro che cambia per l’imperare delle nuove tecnologie e della digitalizzazione. Per molti il passaggio all’’Uomo Informatico ha più rilevanza di quello all’’Uomo Erectus. La conferma di questa travolgente corrente di pensiero addensatasi intorno all’Industria 4.0 si è avuta con la grande pandemia nel tempo in cui al lavoro agile si è sovrapposto e generalizzato il lavoro da remoto.
È davvero così? A veder bene il progresso tecnologico opera da secoli in continuità e le sue accelerazioni o i suoi arresti sono una costante anche in termini di scansioni temporali. Chi parla del mondo dei robot forse non rammenta la modifica del reparto verniciatura della Fiat, per molti, ancora negli anni ’80 una Cayenna. Così, se lo sguardo si proietta sul mondo dei servizi, anzitutto quelli alla persona, ben poco è cambiato negli ospedali quanto all’operare dei medici e degli infermieri (per questo vittime eroiche della pandemia); ma ugualmente nell’assistenza agli anziani e/o nella cura di una famiglia; allo stesso modo i sevizi di ristorazione non vedono modi-fiche nell’operare del loro personale, allo stesso modo di tutti gli altri servizi per il turismo, riproponendosi tra l’altro (come cento anni fa) una folla di prudenti bagnini.
E che dire poi dei salariati agricoli, regolari o nascosti, e della raccolta dei pomodori o delle olive ancora bisognose di un nuovo Di Vittorio? Se riflettiamo un attimo, se respiriamo, ecco allora ci rendiamo conto che l’ingresso delle piattaforme ha solo creato nuovi lavori deboli, sottopagati e d’incerta qualificazione. Basti ripensare agli autisti di Uber o ai riders di Foodora. La verità è che il lavoro cambia (è cambiato e cambierà), tutto o in parte, nelle sue modalità di svolgimento. Ma non cambia (e non cambierà mai) nell’essere uno scambio tra la subordinazione di un essere umano a un altro a fronte della percezione di un salario. Il compito quindi della Società Civile (tramite il Diritto del Lavoro ed il Welfare) è quello di garantire che quella subordinazione (in qualsiasi modalità venga svolto) sia sempre solo tecnico-funzionale così da tutelare la dignità della persona umana. In questa prospettiva il contratto collettivo dei rider (accusato di essere ‘pirata’ perché non sottoscritto dalle organizzazioni sindacali aderenti alle tre Confederazioni ‘storiche’) firmato pochi giorni fa appare lontano dagli standard europei, ma si presenta comunque come un primo passo per una regolazione di un fenomeno in crescita nelle sue dimensioni. Un fenomeno che a oggi rischia di concretarsi in una riedizione di esperienze di caporalato, diverse nelle modalità ma analoghe nella sostanza a quelle che da sempre hanno portato allo sfruttamento del bracciantato agricolo.
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