Protezione, opportunità, stabilità. Verso una nuova Unione europea?
2 ottobre 2020
Non sappiamo se i progetti illustrati da Ursula von der Leyen nell’importante discorso sullo stato dell’Unione 2020 si potranno realizzare nella misura e con i contenuti preannunciati. Né sappiamo se gli auspici espressi qualche giorno dopo sul tema dell’immigrazione potranno essere condivisi da tutti i Paesi europei, così come l’accordo di Dublino impone di fare. Sappiamo però che si tratta di temi fondamentali per la stessa sopravvivenza dell’Europa e per il futuro del nostro Paese, poiché sono volti a creare “opportunità per il mondo di domani e non si limitano ad intervenire sui problemi contingenti del mondo di ieri”.
Siamo di fronte ad un discorso fortemente politico, nel senso “alto” del termine, che è stato poi ripreso dal Presidente di Confindustria Bonomi e dal Presidente del Consiglio dei Ministri Conte in occasione dell’Assemblea annuale di Confindustria. Al di là dell’affermazione delle priorità dell’Unione per il futuro (green, digitale), ormai entrate in maniera decisa nell’agenda europea, fino a rappresentare le due linee chiave di politica industriale per i prossimi decenni, von der Leyen torna sui tre obiettivi essenziali dell’Unione: protezione, stabilità, opportunità, e li declina coerentemente con i pilastri dell’Unione: stato di diritto, economia sociale di mercato, società aperta, multilateralismo. Il discorso della Presidente esprime una visione ambiziosa e traccia una strada fatta di piccoli e grandi passi per portare avanti la costruzione europea, rafforzandone la governance in chiave democratica e recuperando il senso che all’Unione vollero dare i padri fondatori, nella consapevolezza che non è possibile restare in equilibrio sulle due ruote senza pedalare, come pure l’Europa ha cercato di fare nel suo recente passato.
Nel discorso sullo stato dell’Unione è forte la focalizzazione sui diritti e sullo stato di diritto; si riafferma così ancora una volta quella che è la connotazione europea, la sua tradizione culturale, giuridica e sociale liberale. L’annuncio della presentazione di un report sul rispetto dello stato di diritto nei vari paesi membri rompe finalmente gli indugi residui e riafferma con chiarezza la linea che l’UE seguirà con riguardo a quei paesi nei quali questi principi continuino a essere messi a repentaglio. Allo stesso modo importantissimo il richiamo al rispetto dei diritti degli LGBTQI, alla non discriminazione, all’antirazzismo, al contrasto all’antisemitismo, richiamo che culmina nell’annuncio relativo alla nomina di un primo coordinatore della Commissione per l’antirazzismo.
Allo stesso modo von der Leyen sottolinea con chiarezza l’appartenenza all’asse atlantico, la volontà di confrontarsi e collaborare con la Cina, ma su basi paritarie e reciproche, l’importanza del multilateralismo, da ricostruire ma non da abbandonare. È forte qui la distanza rispetto all’America di Trump, riassunta nella frase “non è questione di prima l’Europa. Si tratta di essere i primi a rispondere seriamente alle chiamate importanti”. Frase ribadita successivamente a proposito della ricerca di un vaccino globale contro il Covid, “non Europe First, ma Europa responsabile”. Una frase che risuona in tutta la sua forza. E che pone l’Europa al di fuori e al di sopra rispetto alla corsa propagandistica ad arrivare primi nella ricerca del vaccino, a prescindere dai rischi, ma per esigenze di consenso.
La Presidente richiama poi la necessità di avanzare nella costruzione politica dell’Unione, a partire dal compimento della costruzione dell’Euro, attraverso il completamento dell’Unione bancaria e dell’Unione del mercato dei capitali. Ma, soprattutto, mediante il superamento del principio dell’unanimità, a favore della maggioranza qualificata, almeno per le decisioni che riguardano le sanzioni in tema di diritti umani. Un richiamo agli Stati membri, che lamentano le lentezze dell’Unione, un’affermazione dalle conseguenze significative, soprattutto rispetto al blocco dei paesi dell’Est, che troppo spesso hanno paralizzato le iniziative dell’Unione proprio sulle decisioni relative ai diritti umani. Aprire un varco rispetto al principio dell’unanimità, troppo spesso causa di veti paralizzanti, potrà avere conseguenze rilevanti. Basti pensare alle decisioni che dovranno essere prese in tema fiscale ed in tema di risorse proprie per finanziare il recovery fund, su cui il Parlamento europeo si è espresso nei giorni scorsi.
Il superamento dell’unanimità sarà un passaggio essenziale nell’avanzamento dell’Unione, anche per la soluzione di un problema ancor più spinoso per l’Europa e per i Paesi che affacciano sul Mediterraneo, come l’Italia e la Grecia. Il riferimento è alla questione dell’immigrazione, affrontato dalla Presidente attraverso un meccanismo definito da uno dei Commissari europei di “solidarietà obbligatoria”. In caso di forte pressione migratoria, lo Stato membro può chiedere il sostegno dell’Europa, che avrà l’obbligo di intervenire, proponendo ai Paesi membri di offrire accoglienza ad un certo numero di proponenti, oppure di finanziare i rimpatri, i centri di accoglienza nei paesi di primo ingresso, i programmi di sviluppo negli stati di origine dei migranti. Proprio su questo punto si sono avute le contrapposizioni più vivaci, tra chi ha considerato molto positivamente la proposta e chi la ha qualificata come un compromesso poco coraggioso. Certo è che, pur di fronte ad un fenomeno epocale da affrontare con visione innovativa, sarà molto difficile modificare l’accordo di Dublino, che incardina i migranti nei Paesi di approdo. Le ragioni le ha spiegate molto chiaramente Sergio Fabbrini, in un recentissimo editoriale, significativamente dedicato alla “Tirannia delle minoranze” che rischiano di paralizzare il cammino dell’UE in conseguenza della decisione assunta a suo tempo dai governi nazionali di deliberare sulla materia migratoria solo all’unanimità. Si tratta di considerazioni imprescindibili, se si vuole correttamente considerare come un importante – anche se non risolutivo – passo avanti quello di promuovere un Patto migratorio che, nel caso venisse approvato, definirebbe procedure comuni e consentirebbe all’Italia di condividere con l’Europa parte del peso dell’immigrazione proveniente dal Mediterraneo.
Proprio il principio di condivisione dei valori fondamentali rappresenta l’asse portante di questo discorso, rivolto alla nuova generazione di europei, ai nostri figli, ai nostri nipoti, che ci guardano, ci giudicano ed attendono da noi indicazioni per il futuro.
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