Come la Corte costituzionale sta rivoluzionando il fine vita in Italia
3 ottobre 2020
Che la sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale italiana avesse enormi ripercussioni sulla problematica del fine vita e del suicidio assistito era affermazione sostanzialmente pacifica in dottrina. Che questa affermazione stia diventando indubitabile emerge chiaramente dopo la decisione del c.d. caso Trentini. Con una sentenza assai corposa sul piano delle motivazioni (quasi 50 pagine), la Corte di Assise di Massa ha infatti assolto Marco Cappato e Wihelmine Schett dai reati di cui agli artt. 110 e 580 cod. pen. Ai due era stato contestato il fatto di avere rafforzato ed agevolato il proposito di suicidarsi di Davide Trentini, affetto dal 1993 da sclerosi multipla a decorso cronico progressivo, e morto in una clinica svizzera il 13 aprile 2017. Il P.M. aveva richiesto, previa concessione delle attenuanti generiche, la condanna per entrambi ad una pena di tre anni e 4 mesi, mentre sia la difesa di Cappato che quella della Schett chiedevano l’assoluzione, o, in subordine, la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale.
Secondo la Corte, i due imputati vanno assolti con la formula prevista dall’art. 530, comma 1, cod. proc. pen. («perché il fatto non sussiste») in ordine alla condotta delittuosa di rafforzamento del proposito, e con la formula prevista dall’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. («perché il fatto non costituisce reato»), per quanto riguarda la condotta delittuosa di agevolazione dell’esecuzione di suicidio. Per quanto riguarda il primo profilo, vengono richiamate le testimonianze della madre, della sorella e della ex-convivente di Trentini, tutte concordanti nel ritenere che la decisione di porre fine alla propria vita da parte di Trentini risalisse al 2016, momento precedente a quello in cui era entrato a contatto con i due imputati. Di conseguenza, prosegue la Corte, gli imputati non avevano influito in alcun modo sul processo volitivo che aveva condotto Trentini a decidere di suicidarsi.
Per quanto riguarda il secondo profilo, invece, la Corte di Assise ritiene che si possa applicare la scriminante prevista dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 242/2019. Come è noto, con questa sentenza la Corte costituzionale italiana ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 cod. pen. nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 l. n. 219/2017, agevoli l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale ed affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psichiche ritenute intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Secondo la Corte di Assise, tutti gli elementi tipici che emergono dalla sentenza della Corte costituzionale (l’irreversibilità della patologia accertata da un medico; la grave sofferenza fisica e psicologica verificata da un medico; la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale; l’accertamento della capacità della persona malata di prendere decisioni libere e consapevoli; la volontà dell’interessato manifestata in modio chiaro ed univoco; una adeguata informazione del paziente in ordine alle sue condizioni ed alle possibili soluzioni alternative, segnatamente l’accesso alle cure palliative) sussistono nel caso in questione.
Una cospicua parte della argomentazione (circa una decina di pagine) viene riservata alla verifica della dipendenza di Trentini dai trattamenti di sostegno vitale, tesi sostenuta dal consulente tecnico della difesa, Dr. Riccio. La Corte di Assise argomenta, in primo luogo, sulla attendibilità delle dichiarazioni del dott. Riccio e sulla loro utilizzabilità ai fini della decisione. In secondo luogo, la Corte ritiene di potere argomentare autonomamente l’affermazione di tale dipendenza. La Corte osserva preliminarmente che il divieto di interpretazione analogica in diritto penale riguarda solo l’analogia in malam partem, non quella in bonam partem. Ciò consente, a suo avviso, di applicare in via analogica le norme che prevedono le scriminanti. In particolare, la Corte sottolinea che l’interpretazione analogica permette di arrivare a ravvisare la sussistenza del requisito della dipendenza di trattamenti vitali facendo riferimento alle condizioni in cui viveva Trentini, quali risultavano dalle testimonianze e dalla documentazione medica acquisita.
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