Il coraggio del futuro. L’Italia 2030-50
6 ottobre 2020
L’Italia è in bilico tra passato e futuro
Le sorti economiche e sociali dell’Italia fra dieci o trent’anni saranno in larga parte definite da scelte e comportamenti adottati oggi. Nella fase complessa che attraversiamo, quando viene citato Keynes (talvolta a sproposito) occorrerebbe sempre ricordare una delle sue principali intuizioni: nell’economia di mercato, il ruolo delle aspettative nel determinare gli esiti economici è fondamentale. Nessun provvedimento di politica economica, nessuna misura istituzionale, nessun capitolo di spesa, generano effetti positivi, rilevanti e durevoli senza che la strategia in cui si inscrivono venga compresa e validata dagli agenti economici. Non basteranno risorse ingenti, nè disposizioni di legge, se questo passaggio logico non sarà compreso e condiviso in tutte le sue implicazioni. Lo stiamo già sperimentando: senza una prospettiva credibile di sviluppo, il reddito anche emergenziale non si trasforma in spesa ma viene trattenuto sotto forma di liquidità; la disoccupazione aumenta nonostante le norme eccezionali introdotte; gli investimenti vengono rimandati. Se l’incertezza economica connessa con la pandemia si salda con aspettative poco convincenti sul corso della politica economica, gli attori rimandano le decisioni ed il meccanismo della prosperità rischia di incepparsi.
La stima del reddito pro-capite italiano in seguito alla crisi Covid indica meno 4300 euro; dopo essere aumentato fino al 2007, il reddito reale medio degli italiani è tornato oggi ai livelli di fine anni Ottanta. Sulla traiettoria su cui ci troviamo, senza una inversione di rotta e al netto di nuove deprecabili emergenze, saremo destinati a far parte dei Paesi europei in ritardo di sviluppo quando invece nel 1990 l’Italia era nel gruppo di testa. Occorre prendere subito coscienza della realtà; compiere e comunicare scelte chiare rispetto agli obiettivi; ed invertire presto una deriva che altrimenti richiederebbe due decenni per recuperare i livelli di benessere di quindici anni fa. Serve una rotta chiara per dare significato complessivo alle misure, e per tracciare la rotta serve un approdo. Questo volume configura un’idea ben precisa del nostro Paese, di come è oggi e di come potrebbe diventare in futuro. Non si tratta di un libro dei sogni e neppure di un mero elenco di proposte di interventi, anche se questi vi sono illustrati. Si tratta invece di un progetto che assume le grandi direttrici di trasformazione su scala globale, cambiamento climatico, impatto delle tecnologie sul lavoro, i mutamenti della globalizzazione, le tendenze demografiche, e le interpreta in una chiave di progresso possibile e necessario per l’Italia.
Una prospettiva alternativa
L’Italia verso cui tendere è più efficiente e più attenta alla sostenibilità, un Paese dove il merito viene incoraggiato e le competenze alimentate per riavviare una mobilità sociale sempre più inceppata. Dove aumentano le opportunità per giovani e donne, e le sfere di intervento del mercato e delle Stato sono ben definite e regolate. Non abbiamo la pretesa di occuparci di ogni aspetto di una società così complessa come la nostra, ma di indicare le priorità per innescare un processo di innovazione istituzionale e costruire una traiettoria di sviluppo che ci tragga fuori dalle secche di una crescita economica nulla o asfittica, che ci condannerebbe al regresso sotto ogni profilo. I cardini di riferimento sono due. Primo, la nostra collocazione nell’Unione in una fase in cui, dopo molti tentennamenti e con tuttora venature di timidezza, l’Europa sembra decidersi a prendere in mano il suo destino. Secondo, la centralità dell’industria per le sorti del Paese, dove non è un riflesso condizionato a definire la nostra visione bensì la convinzione che imprese e lavoratori siano, con l’ingegno e il risparmio, le leve per riprendere un percorso virtuoso interrotto da troppo tempo.
L’Unione Europea destina risorse importanti, per la prima volta definite anche con un indebitamento fiscale comune, per riparare i danni di una emergenza sanitaria ed economica senza precedenti e per modellare il futuro economico del Continente. Vanno utilizzate, tutte, per risalire la china della crisi compiendo subito le scelte di spesa e adottando le riforme che ci consentano di investire per un Paese diverso. L’Italia ha qui un importante ruolo da giocare, per partecipare da protagonista alle iniziative che saranno promosse e sfruttando appieno le potenzialità e le eccellenze del nostro Paese, a condizione che le risorse vengano orientate subito per progetti rilevanti, gestiti in modo efficiente e destinati ad aumentare il potenziale di crescita. Un Paese che torni interlocutore credibile sulla scorta dell’attuazione efficiente del Next Generation EU (il cosiddetto “Recovery Fund”), e protagonista nel definire le competenze esclusive dell’UE e le materie essenziali che richiedono una gestione sovranazionale e, progressivamente, una capacità governativa e fiscale dell’Unione. Da questo punto di vista, è essenziale una forte enfasi sulla tutela e sul completamento del Mercato Interno, nonché sulla garanzia di un effettivo level playing field: con circa 450 milioni di consumatori e 20 milioni di aziende, il Mercato Interno è il più grande asset strategico dell’UE. La globalizzazione sta in parte mutando aspetto, non solo a seguito della pandemia, e la crescita endogena del Continente europeo con il parallelo approfondimento delle filiere produttive intra-UE sarà una componente centrale del nostro benessere nei decenni a venire. Le istituzioni e gli attori sociali devono convintamente sostenere queste dinamiche e devono compiere passi immediati e rilevanti per adattare il sistema-Italia agli standard europei.
Il settore manifatturiero
I prodotti manifatturieri rappresentano il 98% delle esportazioni di beni italiani e l’80% delle esportazioni totali (compresi i servizi). Senza l’industria manifatturiera sarebbe impossibile raggiungere un equilibrio della bilancia dei pagamenti correnti, che è la condizione per sostenere la crescita di un’economia aperta nel medio e lungo periodo. In prospettiva, le nuove dinamiche della globalizzazione richiederanno un forte posizionamento delle imprese italiane nel contesto delle filiere europee, nell’ambito sia della riorganizzazione globale delle produzioni post-Covid sia dei programmi di sviluppo UE dal Green Deal alla Digital Europe. Senza una visione chiara e condivisa da tutti gli attori economici, che ponga la produttività del sistema-Italia al centro di un progetto per riaffermare il ruolo delle nostre aziende nell’ambito delle filiere europee, coglieremo solo marginalmente i benefici delle trasformazioni tecnologiche e geo-economiche in corso. Solo in una prospettiva di mercato si riprenderà il filo interrotto della crescita italiana della quale l’export è componente indispensabile, con un raccordo migliore tra imprese italiane medie e grandi depositarie di più competenze e tecnologie, ed imprese piccole spesso partner indispensabili e flessibili a monte ed a valle delle filiere, e con le antenne ben posizionate su preferenze e sentiment dei clienti sui mercati europei e globali.
Investimenti e tecnologia
Il settore manifatturiero è anche la principale fonte di investimenti tecnologici in Italia, quindi il principale motore della crescita della produttività a lungo termine per la sua economia. Nel 2017, il 51,3% degli investimenti lordi in R&S proveniva dal settore manifatturiero, ben al di sopra del contributo dei servizi ad alta intensità di conoscenza (30,8%). Analogamente, per quanto riguarda le tecnologie integrate in nuovi macchinari e attrezzature, nello stesso anno la manifattura ha attivato il 43,7% della spesa totale, seguita dal settore pubblico (amministrazione pubblica, difesa, istruzione, salute e assistenza sociale) con una quota del 10,6%. Più investimenti tecnologici, più innesti di competenze tecniche e manageriali nelle aziende, ed una dedizione alla crescita della dimensione d’impresa e della produttività sono le chiavi. È ormai dimostrato che il capitale immateriale delle industrie determina sia la partecipazione alle filiere internazionali sia l’estrazione da esse delle maggiori quote di valore aggiunto, il che è sinonimo di maggior produttività. Innovazione, formazione e crescita della produttività devono però riguardare l’intero sistema-Paese: non si può immaginare che senza servizi all’avanguardia, una Pubblica Amministrazione ridefinita su criteri di efficacia e merito, uno sviluppo adeguato del Fintech, l’industria italiana possa competere ad armi pari in Europa e nel mondo.
Le premesse per uno sviluppo sostenibile
Con queste premesse, ci poniamo l’obiettivo di una transizione economica ed ecologica che riconduca l’Italia su un sentiero di sviluppo significativo e sostenibile e che conduca ad una crescita reale del PIL non inferiore a regime all’1.5 percento medio annuo. Nella prima fase, che possiamo definire di ripresa post-Covid, gli investimenti sono il traino del rilancio, con una contributo alla crescita che consente di collocarsi su un sentiero superiore rispetto a quello di politiche invariate. Nelle simulazioni che presentiamo, gli investimenti fissi lordi (privati e pubblici) crescono in media del 2,8 percento all’anno tra il 2021 ed il 2030, rispetto ad uno scenario di base di sostanziale ristagno. I programmi comunitari del Green Deal e della Digital Europe, assieme alla spinta del Next Generation EU, sono i driver principali assieme agli investimenti infrastrutturali già previsti e che vanno accelerati.
Il volume si articola in analisi e proposte che riguardano numerosi aspetti della nostra economia e società. Per fare un esempio, sappiamo ormai che senza un indirizzo forte ed azioni coerenti sul versante degli investimenti in ricerca, innovazione e nuove tecnologie, e su quello della formazione delle competenze, la nostra economia sarà destinata al declino. Se l’Italia vuole essere parte della nuova Strategia industriale europea, va definito un piano di medio termine che individui interventi efficaci per colmare i suoi gap e valorizzare i suoi punti di forza. Le imprese sono pronte a fare la loro parte, con impegno e responsabilità. Si discute molto di economia della conoscenza e del digitale: in questo Rapporto si indicano strategie concrete per dare un impulso in tale direzione. Per quanto riguarda -ad esempio – la Knowledge-Economy, tre sono gli assi principali su cui intervenire per creare processi di sviluppo basato su R&S: l’ecosistema della ricerca e innovazione; i grandi progetti Paese in partenariato pubblico/privato su tematiche prioritarie; e gli strumenti a supporto della R&S. Potenziare il credito d’imposta in Ricerca, Sviluppo e Innovazione, e rafforzare il Patent Box sono esempi di misure per l’ultimo di questi assi. Per rafforzare al contempo gli investimenti tecnologici di “Industria 4.0”, che per inciso hanno dato ottimi frutti anche sul versante occupazionale, occorrono: la stabilizzazione degli incentivi per almeno un triennio; l’immediata fruibilità del credito d’imposta per le imprese, introducendo il meccanismo dello sconto in fattura e della cedibilità del credito d’imposta al sistema finanziario; e l’innalzamento delle aliquote per quel che riguarda gli investimenti in ricerca sviluppo ed innovazione ed i progetti Industria 4.0 ed economia circolare. Per completare il quadro, l’investimento in capitale umano è strategico e complementare rispetto a quello in capitale fisico, per fare sì che l’impresa sia effettivamente in grado di trasformare la maggiore complessità richiesta dagli investimenti in opportunità di creazione di valore. La complessità è sia tecnica che organizzativa, e richiede pertanto lo sviluppo di competenze sia specialistiche che manageriali. Occorre potenziare, nel nostro Paese, il percorso professionalizzante al livello di istruzione terziaria, in grado di alzare il livello complessivo delle competenze tecnico-professionali. Gli Istituti Tecnici Superiori non sono sufficienti, non per qualità ma per numero (contano ad oggi solo 17 mila iscritti), mentre sono ancora allo stato embrionale le lauree a orientamento professionale (in fase di sperimentazione, ma già con evidenti criticità dal punto di vista della didattica, sovente poco flessibile e troppo accademica). Va inoltre corretta la diffusa tendenza a posticipare l’incontro con il lavoro: in Italia appena il 4,4% degli under-25 studiano ed hanno al tempo stesso un primo contatto con le aziende, mentre in Germania questa percentuale è del 36,8%.
Riforme e investimenti
Potremmo continuare, su altri fronti, dalle policies per la crescita dimensionale e patrimoniale delle imprese, a quelle per una organizzazione del lavoro attenta alle nuove tecnologie e rivolta all’aumento della produttività, per la transizione energetica e digitale, per le infrastrutture e la mobilità sostenibile, per la coesione territoriale, per un nuovo Welfare, più universale ed equo. Nel Rapporto si indicano, per ciascuno di questi aspetti, proposte concrete e soprattutto coerenti che vanno nella direzione di una economia ed una società più avanzate, dove il ruolo e le responsabilità dei corpi intermedi sono ben delineate.Gli investimenti, pur decisivi, non bastano per compiere quel salto di paradigma che può ripristinare uno sviluppo sostenuto, se non accompagnati da una revisione profonda di assetti normativi ed organizzativi che incidano sui comportamenti degli attori sociali. Le riforme che illustriamo, nel nostro scenario vengono implementate ed entrano in vigore a partire dal 2021, con effetti che si producono già nel 2021-23 ma che dispiegano completamente il loro potenziale nel 2024-2025. Si tratta di gettare le basi di una nuova organizzazione del lavoro e del Welfare, di una progressiva ristrutturazione del tessuto industriale in chiave di filiere europee e di nuove competenze, di assetti istituzionali meno conflittuali e più coerenti con le esigenze di qualità e tempestività delle decisioni pubbliche e di una rinnovata burocrazia più efficace ed alleata dello sviluppo. Gli obiettivi che devono guidare questi processi di innovazione non possono che essere la produttività nel sistema economico e l’effettività nel sistema amministrativo. Stabilire un legame stretto tra merito e premialità, tra risultati e compensi, tra competenze e carriere, tra impegno e opportunità: riteniamo questa la via maestra per contrastare le ineguaglianze nel medio e lungo periodo, assieme con i necessari investimenti in capitale fisico ed immateriale. Solo se entrambe le coordinate della nuova rotta saranno perseguite, più investimenti e profonde riforme, si potrà puntare verso una destinazione consona alle grandi potenzialità dell’Italia.
Obiettivi concreti di crescita
Una volta che investimenti e riforme saranno realizzati, progressivamente durante il decennio 2021-2030 e poi a regime verso il 2050, stimiamo una crescita in termini reali della produttività del lavoro di un punto percentuale in media annua, riconducibile ai tre effetti del miglioramento della dotazione e qualità del capitale umano e delle infrastrutture, di una più efficace organizzazione del lavoro capace anche di generare più innovazione, e di una Pubblica Amministrazione riformata. Questo consentirebbe al sistema-Italia di allinearsi alle performance dei principali Paesi industriali avanzati. La crescita dell’occupazione a regime è di 0.5 punti percentuali in media annua, con una maggior partecipazione di donne e giovani che sono stati più pesantemente colpiti dalla crisi attuale. Queste dinamiche consentirebbero di ricondurre il rapporto debito pubblico/Pil in un alveo fisiologico e sostenibile, realizzabile con tassi di interesse reali inferiori a un tasso di crescita reale di almeno l’1.5 percento, anche in presenza di un aumento dell’inflazione verso l’obiettivo del 2 percento fissato dalla BCE nel medio termine, e con un avanzo primario in media analogo a quelli registrati prima della crisi Covid-19. La ricomposizione della spesa pubblica verso investimenti in capitale materiale (infrastrutture) e immateriale (istruzione, competenze, ricerca) ne aumenterebbe l’efficacia. Il rapporto tra export e Pil tornerebbe ai valori pre-Covid (attorno al 30 percento), anche grazie al maggior inerscambio con l’Europa nell’ambito di filiere continentali più integrate. Non vi è futuro per le nostre società senza le energie e le intelligenze di giovani e donne. Un progetto che guardi al lungo termine, oltre il 2030 e verso il 2050 non può che indicare tra le priorità un assetto di Welfare che consenta un ripristino della natalità, per scongiurare le stime attuali che indicano in 4.6 milioni il calo della popolazione in età attiva già nel prossimo decennio. Scuola, università, formazione di lavoratrici e lavoratori richiedono investimenti importanti e di ristabilire un altrettanto importante nesso tra opportunità e merito. Nel medio termine, non si contrastano le ineguaglianze solo con meccanismi di trasferimento ex post, ma con un recupero serio del principio di mobilità sociale: più opportunità con più responsabilità e merito. Questo vale per i giovani che si stanno formando, e vale anche per chi ha il compito nobile e cruciale di formarli: misurare obiettivi e risultati si può, e sulla base di questo si deve orientare la bussola della premialità.
La piaga delle disuguaglianze
Le infrastutture per la mobilità e per il digitale costituiscono una chiave per contrastare un’altra dimensione dell’ineguaglianza che affligge il nostro Paese, quella territoriale. Anche qui, tuttavia, non sarà sufficiente investire per connettere meglio tutta l’Italia, senza un ritorno alla responsabilità dei cittadini verso lo Stato, e viceversa. Il buon disegno e dosaggio di incentivi, implementazione coordinata e sanzioni, è un ingrediente indispensabile affinchè ingenti risorse non si disperdano in spesa rivolta soltanto all’oggi, ma inutile per il futuro.Gli investimenti e le riforme che indichiamo nel volume sono il cuore del progetto. Assisteremo nei prossimi anni ad un tumultuoso processo di trasformazione delle economie, con investimenti importanti che disegneranno un nuovo panorama produttivo, accompagnando peraltro l’uscita dalla recessione odierna. Investire in imprese più forti e resilienti, creando condizioni favorevoli per lo sviluppo di mercati ed intermediari finanziari che favoriscano innesti di nuovi capitali privati nelle aziende. Investire in competenze ampie e rinnovate, per riavviare l’ascensore sociale e per inserire giovani con skill tecnici, scientifici e manageriali nelle aziende. Investire nella trasformazione ecologica e digitale, e nelle infrastrutture per colmare i divari territoriali e sociali italiani. Investire nella ricerca e nelle filiere industriali che si vanno ricomponendo in Europa, anche a seguito di una globalizzazione sempre più centrata su piattaforme continentali. Investire davvero in una organizzazione del lavoro – nella fabbrica come nell’ufficio pubblico – dove la produttività sia la bussola per orientare interventi e compensazioni. Investire in politiche attive efficaci, che accompagnino i lavoratori nell’inevitabile rimodellarsi delle professioni. Investire in una demografia sostenibile, e in un Welfare di marca europea e dove tutti siano chiamati a contribuire in modo razionale. Ne uscirà un’Italia più moderna, più forte, più equa.
Governi, norme e istituzioni
La qualità delle istituzioni, delle regole e dei processi in Italia ed in Europa è il prerequisito per realizzare un progetto di Paese che ci tragga fuori dalle secche in cui siamo precipitati. In particolare, due temi fondamentali per gli assetti politico-istituzionali sembrano emergere con forza: la fiducia e l’effettività delle regole. La pandemia ha rafforzato l’idea che la gestione della complessità in una democrazia matura come la nostra debba poter far leva su solidi rapporti di fiducia, sia “verticali” (tra cittadini e istituzioni), sia “orizzontali” (tra gli stessi cittadini e tra le diverse istituzioni), per garantire l’efficacia e il rispetto delle decisioni assunte .
Il ruolo delle aspettative
I governi sono chiamati quindi a fare in modo che prevalgano prevedibilità e certezza delle regole, attuazione tempestiva e qualità delle decisioni. Per realizzare un’azione riformatrice in questa direzione, fondata sulla capacità di costruire e riadattare le politiche pubbliche in base agli obiettivi perseguiti, due aspetti della fiducia istituzionale sono fondamentali. Il primo riguarda la fiducia nei produttori di regole, vale a dire nelle loro competenze e nella loro integrità, con i temi connessi della selezione delle classi dirigenti e del rapporto tra pubblici funzionari e destinatari delle regole. Il reticolo di regole e responsabilità che caratterizza l’esercizio del potere amministrativo nasce da un clima di sfiducia verso gli apparati pubblici, cioè verso coloro che sono chiamati ad applicare le norme prodotte, i quali, a loro volta, reagiscono con atteggiamenti difensivi e conservativi. Questo impedisce un processo di ammodernamento del nostro sistema amministrativo fin troppo rimandato, e necessario per rendere il Paese competitivo.Il secondo aspetto riguarda la fiducia nel sistema di produzione di regole nel suo complesso, che presuppone una valutazione non solo sul profilo formale della loro elaborazione, ma anche sulla coerenza tra risultati raggiunti e obiettivi perseguiti. Più competenze e una gestione più efficiente dei processi nella Pubblica amministrazione sono missioni prioritarie, al pari della buona attività di regolazione e controllo, e della fornitura ai cittadini di beni pubblici. Fiducia, valutazione ed effettività dei processi, compreso un sistema giudiziario coerente con una logica di servizio e al passo con i tempi e le dinamiche dell’economia, sono premesse necessarie per un rapporto virtuoso tra Pubblica Amminstrazione e sistema delle imprese. Solo con un disegno condiviso che accompagni imprese e lavoratori che operano sui mercati e si confrontano con la concorrenza internazionale, una ripresa economica sostenibile ed inclusiva potrà arrivare da qui al 2030, e poi al 2050.
Un ringraziamento ai professori Luiss:
Andrew Davies
Livia De Giovanni
Sergio Fabbrini
Nicola Lupo
Bernardo Mattarella
Marcello Messori
Andrea Prencipe
Fabiano Schivardi
Maria Rita Testa
Le proposte espresse nel volume riflettono esclusivamente le posizioni di Confindustria
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