I nodi del Next Generation EU. Le architetture mancanti in Europa e in Italia
7 ottobre 2020
“La pelle dell’orso”
Già Esopo (uno scrittore greco vissuto nel VI secolo a.C.) aveva consigliato, in una sua favola, di non vendere la pelle dell’orso prima di averlo catturato. Eppure, si dà per scontato che l’Unione europea (Ue) abbia ormai approvato il programma post-pandemico Next Generation EU e che l’Italia ne sarà un sicuro beneficiario. In realtà, quel programma non è stato ancora approvato, così come l’Italia non è ancora pronta per beneficiarne. La vicenda di Next Generation EU mostra che, a Bruxelles, c’è una tecno-struttura che sa come gestire la post-pandemia, ma non c’è un governo politico che la possa indirizzare, mentre a Roma c’è un governo politico che non dispone però della tecno-struttura per gestire la post-pandemia. Sia a Bruxelles che a Roma, mancano elementi importanti nelle architetture decisionali, così da sbilanciare i loro edifici governativi. Mi spiego.
Le prossime mosse in Europa
Cominciamo da Bruxelles. I termini li conosciamo. Il 21 luglio scorso, i capi dei 27 governi nazionali (che si riuniscono nel Consiglio europeo) giunsero ad un accordo sulle dimensioni e sulla composizione sia del programma straordinario per il rilancio post-pandemico (Next Generation EU di 750 miliardi di euro) che del bilancio pluriennale ordinario 2021-2027 (di 1,074.3 miliardi). Per raggiungere l’accordo, fu importante l’azione del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, tuttavia l’accordo fu negoziato all’interno di una struttura di policy precisamente definita dagli apparati tecnici della Commissione europea (in collaborazione con i funzionari dei governi nazionali). Quell’accordo, però, è stato solamente un punto di partenza, non di arrivo. Next Generation EU e il bilancio pluriennale dovranno essere approvati all’unanimità dal Consiglio dei ministri nazionali e dovranno ricevere il consenso del Parlamento europeo. Poiché sia il bilancio che Next Generation EU richiedono nuove risorse proprie per essere finanziati, la decisione relativa a tali risorse dovrà essere approvata anche dai parlamenti nazionali dei 27 stati membri. Nel frattempo, il Consiglio dei ministri e il Parlamento europeo dovranno concordare un regolamento sul quadro finanziario pluriennale che stabilisca la spesa annuale e le condizioni del suo utilizzo. La Commissione ha proposto che i fondi non potranno essere assegnati ai Paesi che non rispettano lo stato di diritto al loro interno (come l’Ungheria, definita dalla vicepresidente Věra Jourová, una “democrazia malata”). La reazione ungherese non si è fatta attendere. Il premier Viktor Orban ha minacciato di mettere il veto alla decisione del Consiglio, ma soprattutto di far votare il parlamento ungherese contro l’incremento delle risorse proprie per Next Generation EU (bloccandone così l’approvazione), “se la vicepresidente non verrà smentita e licenziata”. È improbabile che Orban voglia davvero segare il ramo su cui è seduto (l’Ungheria, che rappresenta il 2 per cento della popolazione totale e l’1 per cento del Pil totale dell’Ue, riceve dal budget europeo fondi annuali superiori al 5 per cento del suo Pil nazionale, senza i quali non potrebbe crescere). E’ evidente, però, che a Bruxelles c’è una tecno-struttura (nella Commissione) che sa come costruire un programma innovativo, ma non vi è un governo politico, separato dai leader nazionali e protetto dalle loro minacce, che possa garantirne tempi e modalità di realizzazione. Ecco perché, lì, l’orso non è stato ancora catturato.
Le prospettive italiane
Passiamo a Roma. Qui le cose sono rovesciate. L’Italia ha un governo che dispone di una maggioranza parlamentare e che può prendere decisioni e definire strategie. Un governo che giungerà probabilmente alla scadenza naturale della legislatura (2023). Tuttavia, la maggioranza parlamentare che lo sostiene è risicata (in particolare al Senato), su questioni europee (come l’utilizzo dei fondi del MES) è divisa e, soprattutto, è minoritaria nel Paese (l’opposizione è in testa in ogni sondaggio ed è al governo in 15 regioni su 20).
È ragionevole ipotizzare che, nel 2023, una diversa maggioranza potrebbe andare al governo. Se è probabile che le difficoltà emerse a Bruxelles faranno slittare i tempi di realizzazione di Next Generation EU (anche se il 10 per cento verrà assegnato nella prima metà del 2021), allora è anche probabile che i fondi continueranno a giungere a Roma anche oltre l’attuale legislatura. Inoltre, nelle dettagliate linee guida pubblicate il 17 settembre scorso, la Commissione ha richiesto (p. 34) che ogni stato membro nomini “un ministro/autorità che abbia la responsabilità complessiva dei piani di ricostruzione e resilienza e che sia il punto di riferimento per la Commissione”. Nel nostro caso, un’Autorità che dovrà operare a cavallo di due legislature. Il governo italiano si è affidato al Comitato interministeriale per gli affari europei, coordinato dal ministro Enzo Amendola, che ha individuato le linee-guida relative all’utilizzo dei fondi di Next Generation EU. Non è stato un lavoro facile, vista la quantità di richieste particolari proveniente dai vari ministeri. Il lavoro fatto, però, non basta. Per garantire la continuità di indirizzi tra le due legislature, occorrerà costruire, intorno a quelle linee-guida (ridefinendole, se necessario), un consenso più ampio che coinvolga le forze disponibili dell’attuale opposizione. E, soprattutto, occorrerà creare un’Autorità, separata dalle logiche ministeriali e legittimata da indiscutibili competenze tecniche, che possa operare a cavallo di due legislature. Un’Autorità di coordinamento che traduca le linee-guida in progetti attendibili da realizzare in tempi attendibili e a costi attendibili. Alla recente assemblea di Confindustria, il premier Giuseppe Conte ha riconosciuto che l’Italia, per gestire Next Generation EU, abbisogna di “uno strumento normativo ad hoc”, ma non ha detto che caratteristiche dovrà avere. Ecco perché, anche qui, l’orso non è stato ancora catturato.
In un articolo dell’aprile scorso apparso su The Atlantic, Frank Fukuyama aveva osservato che le capacità di governo “stavano facendo la differenza” nella risposta alla pandemia. Ciò varrà vieppiù per il dopo-pandemia. Per questo motivo, è necessario che Bruxelles e Roma migliorino la loro architettura di governo, se si vuole davvero catturare l’orso di Next Generation EU.
Questo articolo è precedentemente apparso sul Sole 24 Ore il 4 ottobre 2020. Riprodotto per gentile concessione
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