Regno Unito: quel disegno di legge che viola il Withdrawal Agreement
13 ottobre 2020
L’intervento di Bruxelles
Lo scorso 1° ottobre la Commissione europea ha inviato al Regno Unito una lettera di messa in mora per aver violato gli obblighi stabiliti dal Withdrawal Agreement, concluso il 17 ottobre 2019 tra Regno Unito ed Unione europea a valle di un lungo e complicato processo di negoziati ed entrato in vigore dal 1° febbraio 2020.
A far scattare l’intervento di Bruxelles è stato il disegno di legge sul mercato interno (United Kingdom Internal Market Bill), presentato dal Governo britannico il 9 settembre e approvato dalla House of Commons il 15 settembre. Tale proposta di legge consentirebbe alle autorità del Regno Unito di non rispettare il Protocollo sul confine tra Irlanda e Irlanda del Nord, che fa parte del suddetto Withdrawal Agreement e che prevede l’applicazione di una serie di norme di diritto europeo, comprese le norme doganali, in materia di aiuti di Stati e di sussidi, nonché in materia di commercio, al fine di consentire il pacifico svolgimento delle pratiche commerciali tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica di Irlanda senza la creazione di barriere doganali tra le due. La ratio sottesa alla sottoscrizione di tale Protocollo era quella di evitare che si arrivasse a segnare un confine effettivo tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica irlandese, vanificando di fatto la situazione di pace raggiunta con la conclusione dell’Accordo del Venerdì Santo del 1998.
La violazione
Andando al merito del disegno di legge, criticato sia dagli oppositori interni sia dai vari esponenti europei, l’Internal Market Bill prevede alla sezione 41 “un accesso illimitato al mercato interno” nel Regno Unito per le merci provenienti dall’Irlanda del Nord, vietando qualsiasi controllo aggiuntivo sulle merci tra l’Irlanda del Nord e la Gran Bretagna. La sezione 42 attribuisce ai Ministri il potere di “disapplicare o modificare” tramite regolamento alle misure previste, comprese quelle stabilite nel protocollo per le merci che circolano tra l’Irlanda del Nord e la Gran Bretagna, soprattutto nel caso in cui sia necessario garantire che le merci dell’Irlanda del Nord beneficino di un accesso illimitato al resto del mercato interno del Regno Unito. Infine, la sezione 43 del suddetto disegno di legge consentirebbe al Segretario di Stato di emanare regolamenti sull’interpretazione dell’articolo 10 del Protocollo in materia di aiuti di Stato, compreso il fatto che non deve essere interpretato in conformità con il diritto dell’UE. Ciò posto, la sezione 45 del disegno di legge prevede che le sezioni 42 e 43 hanno effetto a prescindere da “qualsiasi norma internazionale o nazionale pertinente con cui potrebbero essere incompatibili o incoerenti” e che i regolamenti emanati ai sensi degli articoli 42 (1) e 43 (1) non possono considerarsi illegittimi a causa dell’incompatibilità o dell’incoerenza con il diritto internazionale o nazionale di riferimento, nell’ambito del quale rientra, sempre secondo quanto stabilito dalla sezione 45, “qualsiasi disposizione del protocollo dell’Irlanda del Nord [e] qualsiasi altra disposizione dell’accordo di recesso dell’UE”.
In altre parole, sulla base di tale disegno di legge, qualora venisse approvato anche dalla House of Lords, il Regno Unito sarebbe autorizzato a derogare, in via permanente e del tutto legittima, agli obblighi contenuti nel Protocollo sull’Irlanda e sull’Irlanda del Nord sulla circolazione delle merci.
L’obbligo di buona fede
Come anticipato in premessa, la Commissione europea, dopo aver invitato infruttuosamente gli amici britannici ad eliminare entro la fine di settembre le disposizioni critiche dal disegno di legge in questione – che rappresenta, riprendendo le parole della Presidente Von der Leyen, per sua stessa natura una violazione dell’obbligo di buona fede stabilito nell’accordo di recesso – ha annunciato di aver inviato al Regno Unito la lettera di costituzione in mora, primo passo per l’apertura della procedura di infrazione ex art. 258 TFUE, per la violazione dell’Accordo di recesso, il cui articolo 5 stabilisce che “l’Unione europea e il Regno Unito devono adottare tutte le misure appropriate per garantire l’adempimento degli obblighi derivanti dall’accordo di recesso e che devono astenersi da qualsiasi misura che possa compromettere il raggiungimento di tali obiettivi. Entrambe le parti sono vincolate dall’obbligo di cooperare in buona fede nell’esecuzione dei compiti derivanti dall’accordo di recesso”.
Un terreno scivoloso
Non è mancata la secca reazione del Premier Johnson, che tramite un suo portavoce ha fatto sapere che la risposta arriverà a tempo debito, pur avendo già chiarito le ragioni alla base della presentazione delle misure contestate, dettata dalla necessità di “creare una rete legale di sicurezza per proteggere il mercato interno del Regno Unito” e di “tutelare il processo di pace” irlandese.
Come annunciato dalla Presidente della Commissione UE, il Regno Unito avrà trenta giorni a disposizione per presentare le proprie osservazioni sulla lettera di costituzione in mora inviata dalla Commissione europea, che, valutate le eventuali controdeduzioni del Governo britannico, potrà decidere di emettere, se del caso, un parere motivato e ricorrere dinnanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, che, per tutto il periodo transitorio e fino al 31 dicembre 2020, mantiene la competenza giurisdizionale in ordine al rispetto e alla corretta applicazione delle norme di diritto europeo e del predetto Accordo di recesso.
Il cammino verso la Brexit è ancora lungo e di sicuro inciampo. Permangono le incognite di un recesso del Regno Unito dall’Unione europea senza alcun Accordo formale (No deal) e la vicenda in esame pare confermare, sullo sfondo – si rammenta – di una delle più gravi crisi sanitarie degli ultimi tempi, che complica ancor di più le difficili prove di dialogo in corso, che il clima di calda amicizia, richiamata dalla Commissione europea e accolta con benevolenza dal Premier britannico, non sia altro che il tiepido tentativo di consegnare alle parole dell’interlocutore la responsabilità di un accordo ancora indigesto.
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