Il rinnovo del contratto collettivo dei metalmeccanici. Questioni aperte e scenari futuri
14 ottobre 2020
Cancellati gli incontri successivi
Sarà un rinnovo assai sofferto visto che la trattativa si è interrotta al primo appuntamento quando si è iniziato a parlare di salario.
Annullati gli incontri successivi già fissati in precedenza (quelli dell’8,14 e 15 ottobre), siamo già allo stato di agitazione dei lavoratori (circa 1,4 milioni) con il blocco del lavoro straordinario.
Lo scontro qui è anzitutto di natura ideologica. La posizione di Federmeccanica si muove nel contesto delineato da Confindustria, o meglio dal suo nuovo Presidente, Bonomi, in linea del resto con la posizione già sostenuta dallo stesso quando si collocava alla guida di Assolombarda.
È un contesto che si ancora alla funzione storica dei Contratti Nazionali, o meglio dei suoi minimi tabellari, ovvero il recupero dell’inflazione. Una funzione, del resto, puntualizzata nel Protocollo Ciampi del 93, in occasione della fine della scala mobile,con l’ancoraggio dei rinnovi, quanto alla dimensione dell’incremento retributivo, all’inflazione programmata.
Ora questo contesto è dunque influenzato dall’andamento dell’inflazione e dalle problematiche connesse alla sua determinazione dopo il nostro ingresso nella zona euro. Qui il dato statistico e la percezione dell’effettività della sua corrispondenza al reale potere di acquisto dei lavoratori entrano in conflitto (tanto piu’ in assenza del “mitico” paniere della scala mobile), conflitto ulteriormente accentuato dalla pandemia (generatrice di rilevanti incrementi dei prezzi anche di beni di prima necessità per il libero dispiegarsi del rapporto tra domanda ed offerta).
Cosa influisce sugli esiti della questione
Questo spiega che per Federmeccanica se l’Istat colloca l’inflazione tra l’1% ed il 2%, l’offerta salariale per il rinnovo è pari al 2% (40 euro a regime al quinto livello) per i prossimi tre anni (2020-2022, essendo il Contratto scaduto a fine 2019). Ma spiega anche la richiesta di Fiom, Fim e Uim di un incremento dell’8% (144 euro a regime al quinto livello) ispirata ad una valutazione della perdita reale del potere di acquisto (richiamandosi ad incrementi delle tariffe come il 15% per gas e luce ovvero di beni primari come il 5% della frutta fresca).
Come si concluderà questa vicenda. Il conflitto sarà lungo e vivace, ma alla fine si arriverà ad un intesa.
Sulla conclusione un ruolo lo giocherà il mercato e quindi la domanda di produzione alla nostra industria manifatturiera. In questo senso la vicenda del rinnovo del Contratto Nazionale degli Alimentaristi offre un esempio significativo di come una posizione “forte” e condivisa da tutti i settori produttivi come quella di Confindustria possa essere aggirata (derogata?) da una incisiva richiesta di produzione al consumo (e quindi dal tipico rapporto costi-benefici che ispira l’operare di chi fa “intrapresa”).
Ancora, forse, sulla conclusione un ruolo potrebbe giocarlo l’esecutivo con un ulteriore rilancio della promozione (soprattutto fiscale) del Welfare territoriale ed aziendale, che fu la chiave del felice rinnovo del 2016 (unanimamente lodato come virtuoso ed esemplare, nonché traino per tutti i rinnovi degli altri settori produttivi).
Infine un ruolo per la conclusione dell’intesa lo avrà senza alcun dubbio il “Buon Senso”. Le imprese, strette tra il blocco dei licenziamenti e gli effetti economici della pandemia, cercheranno un punto di caduta compatibile per salvaguardare consenso e bilanci. I sindacati, prendendo atto della priorità del bene occupazione e della sua tutela post-covid e ammortizzatori sociali, opereranno per rendere compatibile la tutela del potere d’acquisto dei lavoratori e la sopravvivenza del posto di lavoro.
Insomma, come ci ha insegnato la storia, ci sarà un lieto fine; ed ancora una volta il merito dovrà essere attribuito al senso di responsabilità delle nostre Parti Sociali,vera guida del Paese nei momenti di crisi.
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