Le ragioni della divisione in America
21 ottobre 2020
Gli elettori di Trump: antitesi del Presidente
Se è difficile prevedere cosa avverrà il prossimo 3 novembre in America, è altrettanto difficile spiegare perché le opinioni degli elettori siano così stabili. Qualsiasi cosa facciano o dicano i due candidati alla presidenza (Donald Trump e Joe Biden), gli spostamenti sembrano essere limitati. Più del 50 per cento degli elettori continua a dichiarare di votare per Biden, più del 40 per cento continua a dichiarare che voterà per Trump (è bene ricordare che in America l’elezione presidenziale non è diretta, quindi tale differenza non implica necessariamente la vittoria del primo e la sconfitta del secondo). In particolare, ciò riguarda Trump. Come ha scritto il New York Times, il suo elettorato lo sostiene “a prescindere”. Come spiegare ciò? E cosa dice a noi europei una tale vicenda?
White Anglo-Saxon Protestants, la retorica dell’autenticità
Cominciamo dalla prima domanda. Non c’è mai una sola causa dietro un fenomeno politico (o economico o sociale). La fedeltà nei confronti di Trump è dovuta a ragioni economiche, in quanto settori di ceti popolari lo percepiscono come la difesa dalle minacce della globalizzazione. E’ dovuta anche a ragioni religiose, in quanto comunità del mondo dell’evangelicalismo lo percepiscono come la barriera per fermare la secolarizzazione. Eppure, queste ragioni non riescono a spiegare perché individui vicini alla povertà continuino a riconoscersi in un miliardario evasore fiscale o uomini e donne di fede in un miscredente evasore morale. C’è dunque una ragione più profonda, definibile come identitaria. Trump rappresenta l’America che si sente sfidata dall’accresciuto carattere multietnico della società e dalla impetuosa evoluzione liberale della politica. Trump è la reazione all’elezione di Obama, un afroamericano, alla presidenza. Certamente, ha scritto Frank Fukuyama nel 2018, l’ascesa di Trump è parte di una tendenza, emersa in tutti i Paesi democratici (basti pensare a Brexit), a riaffermare le identità nazionali. Tuttavia, la riaffermazione identitaria ha un carattere diverso in un’unione di stati (come l’America) rispetto a quella emersa in uno stato nazionale (come il Regno Unito). Sin dalle sue origini, l’America ha dovuto porsi la domanda, per dirla con un libro di Samuel P. Huntington del 2004, “Who Are We?” (Chi siamo?).
Il bivio identitario
John Jay nel Federalista n.2 cercò di diffondere l’idea che esistesse un popolo americano omogeneo (“la Provvidenza ha avuto il piacere di offrire un Paese connesso ad un popolo unito”), ma quell’idea era al servizio della propaganda elettorale e non di un’analisi sociale (gli articoli del Federalista avevano lo scopo di convincere i cittadini dello stato di New York a sostenere la nuova costituzione del 1787). Infatti, il popolo americano non è mai stato unito. E’ stato attraversato da divisioni identitarie tra gli stati e tra le comunità etniche. L’arrivo di milioni di immigrati in quel Paese ha rappresentato una sfida esistenziale alla cultura divenuta dominante, “bianca, anglosassone e protestante” (nota come WASP), e alle élite da essa espressa. Una sfida a cui queste ultime hanno risposto con il tentativo di “americanizzazione” di quelle comunità (attraverso la melting pot, dal titolo del dramma teatrale di Israel Zangwill del 1909, per farle adattare alla cultura WASP). L’operazione non poteva funzionare. L’America non è l’esito di un popolo precostituito ed omogeneo, ma di popoli o comunità culturalmente disomogenei. Se oggi il suprematismo bianco che sostiene Trump celebra il mono-culturalismo, l’esperienza storica e la condizione empirica dell’America parlano invece il linguaggio del pluralismo (culturale e sociale). Un pluralismo che è stato contenuto dalla condivisione dei valori della costituzione e dal rispetto delle sue procedure. In un articolo del 1915, Horace M. Kallen sostenne che l’America doveva decidere quale strada prendere tra democrazia (intesa come pluralismo) e melting pot (inteso come mono-culturalismo). Un secolo dopo siamo allo stesso bivio identitario. Che vinca Biden o Trump, il bivio continuerà a riproporsi nel futuro di quel Paese.
Analogie con l’Europa
Vediamo ora la seconda domanda. Se l’America è differente dagli stati nazionali europei, tuttavia la sua esperienza ci fornisce indicazioni per capire le implicazioni dell’aggregazione di quegli stati nazionali all’interno dell’Unione europea (Ue), geneticamente simile ad essa. Infatti, a parte la Svizzera (una aggregazione di cantoni/stati precedentemente indipendenti e con culture disomogenee), nessuno stato europeo (anche se federale) è assimilabile all’esperienza americana. Il federalismo tedesco postbellico, ad esempio, nasce dalla disaggregazione di uno stato iper-centralizzato ed ha continuato a basarsi su una cultura nazionale omogenea (digerita a fatica dai Laender dell’est annessi nel 1990). Seppure gli stati europei abbiano seguito percorsi storici diversi nella formazione della rispettiva nazionalità (la nazione è stata creata dallo stato in Francia, ha preceduto lo stato in Germania), essi sono giunti al processo di integrazione europea con identità nazionali distinte. L’Ue non potrà seguire né la strada francese né la strada tedesca. L’identità europea non può che essere plurale (plurinazionale), non già singolare (mono-nazionale). Tale pluralismo, per consolidarsi, richiede la condivisione di valori politici (che si scelgono) e non culturali (che si ereditano).
Ciò che lega gli Stati fra loro
Solamente la democrazia può tenere insieme gli europei (con le loro lingue diverse, religioni diverse, memorie storiche diverse), solamente il liberalismo può fornire i criteri costituzionali per regolare le tensioni tra di loro. In un’unione plurinazionale, il rispetto dello stato di diritto e della democrazia costituzionale costituisce la condizione del suo consolidamento. Ecco perché la sfida, da parte di Paesi come la Polonia e l’Ungheria, ai principi della rule of law mette in discussione le fondamenta stesse dell’Ue. Su quei principi, non ci può essere un compromesso, se è vero che le unioni di stati (come l’America ci indica) si basano su di essi.
Insomma, la vicenda elettorale americana solleva problemi molto più complessi di una competizione tra liberals e conservatives. In gioco, c’è l’identità di quel Paese. Dovremmo rifletterci anche noi, dato che l’Europa integrata si trova da tempo di fronte al suo bivio identitario.
Newsletter
Articoli correlati
Il Presidente Biden e la riforma della US Supreme Court
9 settembre 2021
Hanno ormai superato la boa di metà percorso i lavori della Commissione presidenziale per la riforma della Corte Suprema statunitense, istituita dal Presidente Biden lo scorso aprile con l’Executive Order 14023. Ecco il punto di Aldo Sandulli.
Lost in Translation? La sinistra europea alla ricerca di se stessa
6 settembre 2021
Nel panorama politico dell’Europa occidentale degli ultimi anni è generalmente accettato che i partiti di sinistra, e in particolare i partiti socialdemocratici, abbiano sperimentato un inarrestabile declino elettorale. Giornalisti ed esperti hanno evidenziato il drammatico crollo recente dei partiti socialdemocratici in diversi paesi. Vediamo le cause.
La crociata di Biden contro le fake news sui vaccini
26 luglio 2021
Il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, negli scorsi giorni si è rivolto con inusitata durezza contro le piattaforme social e in generale quei new media che veicolano false informazioni sui vaccini anti Covid-19. Dai più alti livelli politici, dunque, torna a essere sollevata la questione di come gestire l’attuale fase di information disorder.
Quale mondo dopo la pandemia?
16 giugno 2021
Poiché la pandemia ha le caratteristiche di una guerra, occorre delineare le nuove strutture del mondo post-pandemico. Nel 2008, si trattava di ritornare al mondo precedente la crisi finanziaria, nel 2021 si tratta di ridefinire il mondo che emergerà dalla pandemia. Quali sono le sfide economiche e politiche da affrontare?