Il conflitto tra Azerbaigian e Armenia sul Nagorno Karabakh. Una contesa etnico-nazionalistica fuori dalla portata europea
2 novembre 2020
Policy Brief n. 14/2020 della Luiss School of Government
Il 27 settembre si è riacceso su larga scala un pericoloso conflitto militare che era rimasto congelato da quasi trent’anni. Al centro della contesa c’è il Nagorno Karabakh, una piccola regione a maggioranza armena, ufficialmente appartenente all’Azerbaigian ma oggi controllata, insieme ad altri territori limitrofi, dalla Repubblica dell’Artsakh, un’entità statuale non riconosciuta dalla comunità internazionale e sostenuta dall’Armenia. Una questione che da oltre trent’anni contrappone cause storico-culturali al diritto internazionale, il principio di autodeterminazione a quello di integrità degli Stati, narrative vittimiste, interessi politici e potenze regionali rischia di infiammare nuovamente il Caucaso meridionale. Attuando il principio di divide et impera, nel 1923 Stalin assegnò questa regione, a maggioranza armena, alla RSS Azera nella quale godette di una certa autonomia. Durante la perestrojka, le cause nazionali delle repubbliche si riaccesero sulle questioni linguistiche, e la piccola regione chiese l’unificazione con Erevan. Da lì, seguirono scontri tra armeni e azeri nelle rispettive repubbliche e il conflitto si trasformò in una guerra su larga scala nel quale gli armeni ebbero la meglio. Il conflitto si sarebbe arrestato con un cessate il fuoco nel 1994, ma non venne mai stato risolto tra i due paesi e rimase “congelato”. Da allora, il miracolo economico azerbaigiano – legato al boom degli idrocarburi in Azerbaigian e all’apertura dell’oleodotto BTC – permise enormi investimenti nel settore militare e l’introduzione di nuove tecnologie offensive (inclusi i droni) fornite anche grazie a una nuova collaborazione con Israele. L’Armenia invece rafforzò la propria cooperazione strategica con la Russia e rimaneva impantanata nella questione karabakha per la quale Mosca non aveva avuto un coinvolgimento diretto. Più ingombrante è stato il ruolo della diaspora armena che ha investito molto nella causa karabakha mentre la questione rimase un’arma di distrazione di massa in entrambi i paesi e soprattutto per Aliyev che continuò a legittimare un regime dinastico neopatrimoniale sul ripristino della sovranità azerbaigiana sul Karabakh. In questo quadro complicato e teso, la Turchia appoggia apertamente gli azeri e – dopo Libia e Siria – apre un ulteriore partita con la Russia. A seguito delle proteste di piazza che solidarizzavano con la causa azera, l’Iran invece, da neutrale mediatore degli anni Novanta e paese amico dell’Armenia, ha assunto un atteggiamento più vicino a Baku. Infine, l’Unione europea, “superpotenza civile” che sembra aspirare all’uso esclusivo del diritto, non riesce ad avere un ruolo risolutivo in un conflitto nazionale d’altri tempi che appare al momento fuori dalla propria portata, geopolitica e addirittura culturale.
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