La retorica populista sul populismo. Note a margine della vittoria di Joe Biden
10 novembre 2020
Il voto repubblicano
Uno dei luoghi comuni dei commentatori (giornalisti ma spesso anche accademici) è che i populisti vincono fra il “popolo” mentre “le sinistre” vincono nei quartieri borghesi e benestanti. Esistono in realtà molti studi – anche italiani – che mostrano uno scenario diverso e molto più articolato, che mette in crisi una semplificazione che si accompagna ad altre semplificazioni. Il cleavage “spazio urbano/provincia”, per esempio, è sicuramente un dato di fatto ma spesso viene usato in maniera approssimativa, sovrapponendo peraltro la localizzazione geografica con i cluster di reddito, come se nelle città non vivessero precari, disoccupati, giovani a basso reddito e così via.
Voto e disuguaglianze
Lo stesso schema discorsivo è stato usato nei commenti alle elezioni presidenziali USA. La retorica populista sul populismo ha nuovamente usato l’argomento che Biden sarebbe stato eletto dalle “caste” cittadine e Trump preferito dall’America profonda. In realtà, le cose non stanno proprio così. Sebbene sia presto per fare analisi sociali approfondite, i sondaggi post-voto ci restituiscono uno scenario diverso. I lavoratori, infatti, hanno votato in maggioranza per Biden, soprattutto quelli appartenenti a minoranze o a basso reddito (dove il 58% di essi ha preferito il candidato democratico). I primi dati sul rapporto reddito-voto, inoltre, evidenziano che i soggetti con redditi sotto i 50mila dollari hanno votato per Biden (fra il 57 e il 58%) mentre Trump si sarebbe assicurato la maggioranza del voto (circa il 54%) dei soggetti con redditi sopra i 100mila dollari. Diviso a metà il “ceto medio” bianco, quello “non bianco”, invece, ha dato il suo voto a Biden per oltre i due terzi. I sondaggi, inoltre, individuano nelle diseguaglianze razziali un altro elemento a favore di Biden.
La pandemia, poi, spesso usata per spiegare la vittoria del candidato democratico, ha giocato un ruolo importante proprio per confermare o spostare su Biden il voto dei gruppi sociali marginali o impoveriti; al contrario gli elettori di Trump sembrano non aver dato alcun peso alla pandemia, considerata una sorta di accidente indipendente dalla volontà del “loro” Presidente. In altri termini, la pandemia (e la pessima gestione della crisi da parte dell’amministrazione Trump) ha rafforzato il voto democratico ma non ha scalfito quello repubblicano.
Black lives matter
Un altro dato che viene usato dalla retorica populista riguarda il grande numero di voti per Trump un uno scenario di grande affluenza al voto: due terzi degli aventi diritto vi hanno preso parte e questo è sicuramente un dato importante. Ma è proprio l’incremento della partecipazione che spiega anche il gran numero di voti per Trump, in una competizione elettorale peraltro mai così polarizzata. Non è un caso che la sensibilità sociale per il voto sia stata accompagnata dalle numerose marce delle donne e dalle proteste che hanno poi dato vita al movimento Black Lives Matter. I dati, inoltre, ci dicono che il ticket democratico ha avuto oltre 4 milioni di voti in più di Trump e addirittura 5 milioni di voti in più rispetto al ticket Obama-Biden del 2008. Dati che ci aiutano a contestualizzare la vittoria di Biden, molto più netta di quanto la retorica populista (anche degli intellettuali populisti) tenti di affermare.
Una svolta progressista
Infine, bisognerebbe anche ricordare che in termini di voti assoluti, i democratici vincono a livello federale ininterrottamente dal 2008: e anche questo è un dato politico. Si potrebbe, poi, anche notare come – nonostante un livello di engagement sui social molto più elevato di quello di Biden – Trump non sia riuscito a vincere. Un dato che conferma molte delle teorie e degli studi che una parte delle ricercatrici e dei ricercatori nei media studies tenta da anni di mettere in evidenza.
C’è, infine, un altro elemento che raramente viene preso in considerazione. Durante le elezioni presidenziali USA, si vota anche per referendum a livello statale o cittadino. Il dato che emerge è politicamente significativo. La Florida ha approvato l’incremento del salario minimo; il Montana, il Sud Dakota, l’Arizona e il New Jersey hanno legalizzato la marijuana; il Colorado ha approvato una legge per incrementare a 12 settimane pagate i congedi familiari; l’Arizona, infine, ha approvato una legge che incrementa le tasse per i ricchi al fine di finanziare l’istruzione pubblica. Una vera e propria “agenda politica progressista”, come l’ha giustamente definita Bernie Sanders.
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