Un’altra vittima della pandemia: l’udienza penale di appello
12 novembre 2020
I procedimenti pendenti in secondo grado
Il Governo ha modificato, sia pure provvisoriamente, il giudizio penale di appello (art. 23 d.l. 9 novembre 2020 n. 149). Ora i procedimenti penali pendenti in secondo grado risultano suddivisi in tre diversi tipi: quelli nei quali la relativa udienza dinanzi al giudice di appello è fissata fra il 9 e il 24 novembre 2020; altri, la cui udienza è stata fissata fra il 25 novembre e il 9 dicembre 2020; altri ancora, la cui udienza è calendarizzata fra il 10 dicembre 2020 e il 31 gennaio 2021.
Per il primo gruppo sembrerebbe che nulla cambi con riguardo alla celebrazione del dibattimento di appello: si applicano le regole consuete e non quelle appena introdotte.
Con riguardo al secondo gruppo, invece, si stabilisce il tendenziale divieto di celebrazione dell’udienza penale, a meno che una parte non abbia espressamente richiesto la discussione orale entro il termine ‘capestro’ di 5 giorni dall’entrata in vigore delle nuove norme (vale a dire entro il 14 novembre p.v.) ovvero, entro lo stesso termine, l’imputato non abbia richiesto attraverso il suo difensore di comparire in udienza. Il menzionato divieto di udienza è stabilito anche in relazione ai procedimenti del terzo gruppo, a meno di una richiesta di discussione orale proveniente dalla parte o di comparizione personale proveniente dall’imputato (che però anche in questo caso può essere presentata esclusivamente dal difensore), da formulare al più tardi 16 giorni prima dell’udienza. Comunque, anche quando vi sia richiesta di discussione orale o di comparizione personale dell’imputato, l’udienza prevista non è un dibattimento penale ma una camera di consiglio nascosta agli occhi dei più, celebrata senza alcun controllo del pubblico.
Le conseguenze
Molte le perplessità suscitate da un simile quadro normativo.
Senza pretesa di esaustività, eccone alcune. Come conciliare il diritto fondamentale della persona umana di “difendersi da sé” (art. 6, § 3, lett. c C.e.d.u.) con la previsione che solo mediante il difensore possa essere presentata la richiesta dell’imputato di comparizione davanti al giudice? Oppure, come armonizzare questo tendenziale divieto di udienza con l’altro diritto fondamentale di «ogni persona» «ad un’equa e pubblica udienza» (art. 6 § 1 C.e.d.u.)? Infine, come giustificare sul piano costituzionale, nelle more della conversione del d.l., l’emissione di sentenze penali di appello la cui pronuncia, di per sé, esclude ogni possibilità che la norma introdotta per decreto governativo sia suscettibile di perdere «efficacia sin dall’inizio» in caso di mancata conversione in legge (art. 77 III co. Cost.)?
Nel processo penale l’udienza è tutto. É sacra come l’eucarestia per un cristiano. Come le libere elezioni per una democrazia. Pensare che si possa irrogare un ergastolo senza celebrare l’udienza è qualcosa che nemmeno Manzini e Rocco erano riusciti a concepire negli anni trenta del secolo scorso. E certe garanzie non possono essere a richiesta.
A tacer d’altro, le nuove previsioni esprimono l’inequivoca insofferenza verso un istituto, l’appello, senz’altro problematico e bisognoso di approfondita e meditata rivisitazione legislativa.
Conclusioni
Nondimeno, la pandemia in corso non può costituire l’alibi per ‘certificare’ a livello normativo la asserita superfluità di questo grado di giudizio, testimoniata dalla inutilità della celebrazione della relativa udienza.
La giustizia penale – si sa – vive di equilibri sempre difficili da trovare, perché non è mai facile realizzare una simmetria fra l’imputato, che nel processo si gioca tutto, e il pubblico ministero, che non si gioca nulla. A questa insopprimibile problematicità si aggiungono le specifiche criticità della disciplina delle impugnazioni nel nostro Paese, che senz’altro rivestono un peso eccessivo nell’economia generale dell’amministrazione della giustizia.
Proprio per questo, approfittare della pandemia per sperimentare quanto diventerebbero agili e rapidi i processi senza celebrare le udienze di appello non pare una scelta apprezzabile.
La comparazione giuridica ci offre già esempi di giustizia penale che presentano una struttura delle impugnazioni “leggera”, a basso impatto sistematico e applicativo. Ciò accade nella common law, dove però i verdetti di non colpevolezza non possono essere impugnati dal pubblico ministero come da noi.
Come è stato detto, «il problema non è solo quale tipo di processo vogliamo, ma anche in quale tipo di potere ci troviamo» (M.R. Damaska).
È questo il nodo. Ineludibile. In altre parole, nessun alleggerimento del ‘peso’ delle impugnazioni sarà mai possibile senza prima mettere in discussione la stessa ammissibilità del potere d’impugnazione del pubblico ministero e, più in generale, l’attuale assetto di potere implicato nella funzione di accusa.
Nel frattempo, non è accettabile squilibrare il sistema facendo leva sull’esigenza di distanziamento sociale imposto dalla pandemia.
L’udienza penale è istituto di respiro universale, consolidatasi in una tradizione più che millenaria, che ha attraversato pestilenze, guerre, disastri di ogni genere. Che ora il Covid-19 ci imponga di rinunciare ad essa nel giudizio di appello pare francamente davvero stravagante.
In corso di pubblicazione su “Italia Oggi”
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