L’accordo di libero scambio in Asia: un nuovo mercato unico?
27 novembre 2020
Il 15 novembre scorso, al termine del vertice ASEAN e dopo otto anni di negoziati, è stato firmato l’accordo di libero scambio noto come Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP). Quindici in totale i paesi firmatari: oltre ai paesi-membri dell’ASEAN anche Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. La portata economica dell’intesa è senza precedenti: l’accordo interessa il 30% del commercio globale e raggiunge un mercato di 2,2 miliardi di consumatori.
Nato su iniziativa dell’ASEAN, le negoziazioni del RCEP perseguono dal 2011 un duplice intento: da un lato, migliorare gli allora già esistenti accordi di libero scambio ASEAN + 1 e, dall’altro, rimarcare la centralità dell’organizzazione nell’architettura economica regionale. Nello specifico, a partire dagli anni Duemila l’obiettivo dell’ASEAN è stato quello di trovare una valida alternativa ai due progetti di partenariato economico disponibili sino a quel momento su scala regionale sebbene altamente competitivi e, di fatto, rivali: il CEPEA, il Partenariato economico globale per l’Asia Orientale proposto dal Giappone, e l’EAFTA, l’Accordo di libero scambio dell’Asia orientale, proposto dalla Cina. L’accordo RCEP ha dunque riequilibrato gli assetti regionali, con una evidente ricaduta positiva sul ruolo giocato dall’organizzazione come garante del processo d’integrazione economica nell’Asia-Pacifico.
Il grande assente da queste dinamiche sono gli USA, che pure per decenni dal dopo guerra in poi hanno portato avanti l’integrazione economica mondiale e che sono paese tanto atlantico quanto pacifico. Gli affondi della presidenza Trump hanno spinto il paese verso una logica di bilateralismo. A dire il vero, a livello commerciale, la presa d’atto dell’impossibilità di procedere con un multilateralismo universalista è precedente a Trump. È a seguito dell’impasse del Doha Round (lanciato nel 2001) che il Quad (USA, EU, Giappone, e Canada) ha dovuto prendere atto dell’impossibilità di guidare il commercio mondiale in modo sostanzialmente “unilaterale” come in passato. La forza dei paesi BRIC e degli altri paesi emergenti ha, di fatto, paralizzato le negoziazioni mondiali. La risposta statunitense sotto Obama è stata quella della ricerca di accordi interregionali (TTIP con UE e TPP con paesi asiatici) che escludevano i rivali BRIC. Entrambi sono risultati infruttuosi: il TTIP è naufragato tra reciproci veti e il TPP è stato paralizzato dalla rinuncia americana del 2017. Le mosse di Trump seguono e accentuano questa traiettoria. Da accordi mondiali, ad accordi interregionali, fino ad accordi bilaterali. Il segno di un’egemonia declinante.
La Cina, dal canto suo, ambisce a presentarsi sempre più come il campione del multilateralismo, come esplicitato più volte da Xi nelle ultime sessioni del World Economic Forum. Come in vasi comunicanti, laddove si crei del vuoto, subito esso sarà riempito dell’altro vaso. La Cina, dunque, coglie l’occasione del RCEP per diventare sempre più l’hub del commercio mondiale e già annuncia di star considerando l’adesione anche al nuovo TPP senza USA. L’approccio cinese ai negoziati RCEP è apparso sin dall’inizio in linea con il pragmatismo caratterizzante la politica estera cinese. In primo luogo, con RCEP Pechino ha rafforzato la propria immagine nel contesto internazionale come difensore della globalizzazione economica, proponendosi come valida alternativa agli Stati Uniti. La decisione di ritirare gli Stati Uniti dalla TPP all’inizio del 2017 ha confermato la frammentazione distruttiva del sistema globale voluta dall’ex-presidente USA a partire dal 2016, eliminando non solo la possibilità di creare un multilateralismo estremamente favorevole agli Stati Uniti ma anche di porre un freno al capitalismo di stato cinese. All’improvviso, la RCEP è diventata un accordo altamente significativo per accelerare il processo di integrazione economica nell’Asia-Pacifico, di fatto offrendo alla Cina l’opportunità di plasmare l’ordine economico regionale in linea con i propri interessi. Così facendo, l’amministrazione Trump, con le sue politiche protezionistiche e la retorica “America first” ha aperto una finestra di opportunità inaspettata per la Cina, che può ora presentarsi come un paese responsabile, in contrasto con un’America isolazionista e sempre più impegnata sul fronte interno. Secondo Pechino, è Washington che indebolisce l’attuale ordine economico internazionale, e i partner asiatici – Cina in testa – sono molto più affidabili come sostenitori del libero commercio e di un sistema economico aperto e inclusivo. Allo stesso modo, poiché l’ascesa della Cina avviene all’interno di un sistema consolidato di istituzioni internazionali, aumentare il proprio impegno con iniziative multilaterali su scala regionale garantisce a Pechino la possibilità di non abbandonare la linea che vede la Cina assumere un ruolo guida tra i paesi in via di sviluppo e ancor di più in Asia.
È un nuovo ordine economico regionale improntato al multilateralismo quello della regione Asia-Pacifico, in virtù di accordi che mirano a stabilire un regime economico sempre più integrato su scala regionale. Il RCEP riordina, infatti, un’intricata rete di accordi di libero scambio trasversali preesistenti tra le economie asiatiche (noodle bowl), armonizzando le disposizioni vigenti sulle regole di origine dei prodotti e promuovendo la riduzione dei dazi. Rimangono, tuttavia, questioni irrisolte e un’ancora limitata ambizione. L’accordo RCEP non è ancora completo: tutti i paesi firmatari desiderano proteggere i rispettivi mercati e RCEP fa relativamente poco per stabilire standard comuni per i prodotti. Per non parlare delle questioni ambientali e di quelle relative ai diritti umani collegati alle condizioni lavorative che non sono state affrontate.
Firmare accordi commerciali di libero scambio non ha soltanto un effetto interno di crescita economica tra gli aderenti, ma anche e in modo significativo un effetto esterno e indiretto di determinazione di standard nei confronti degli attori economici esclusi dall’accordo. Creare un mercato significa anche che gli attori esterni dovranno adottare le pratiche e gli standard di quel mercato per potervi accedere. Chi fissa gli standard gode sempre di un notevole vantaggio relativo. Chi adotta standard altrui deve pagare costi di adattamento. Questo era il progetto obamiano TTIP/TPP: cogliere (forse l’ultima) chance per l’occidente di fissare i termini e gli standard dell’economia mondiale e imporre quindi agli altri, Cina in primis, di dover rincorrere. Ora invece sembra che tale prerogativa sarà esercitata dai paesi asiatici e che l’occidente sarà costretto ad adottare standard decisi da altri.
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