Le scelte chiave per costruire il futuro della Ue
9 dicembre 2020
Il 10-11 dicembre si terrà una riunione del Consiglio europeo dei capi di governo che dovrà dare il via libera alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (MES), concordata pochi giorni fa dai ministri economici e finanziari dell’Eurozona. Oggi, il nostro Parlamento, dovrà votare per autorizzare o meno il premier Giuseppe Conte a sostenere la riforma in questione. Un gruppo di parlamentari del partito di maggioranza (M5S) si è dichiarato contrario a quella riforma. Se il Parlamento non autorizzasse il premier, si potrebbe verificare sia una crisi europea (con paralisi del Consiglio europeo, già prigioniero del veto di Ungheria e Polonia all’approvazione del Quadro finanziario pluriennale, 2021-2027, cui è collegato Next Generation EU) che una crisi italiana (con scioglimento delle camere). Ciò in presenza di una seconda ondata pandemica più estenuante della prima. E’ giustificabile avvicinarsi a questo baratro per la riforma del MES? La mia risposta è no, ma è bene capire come stanno le cose.
L’Unione europea (Ue), in pochi anni, è passata attraverso due crisi con drammatiche implicazioni finanziarie, la crisi dell’euro (all’inizio dello scorso decennio) e la crisi pandemica (all’inizio dell’attuale decennio). Le due crisi sono state affrontate con due paradigmi diversi. La crisi finanziaria con un paradigma intergovernativo, la crisi pandemica con un paradigma federale. Il MES emblematizza il primo paradigma, Next Generation EU (NG-EU) il secondo. Per il primo paradigma, la crisi finanziaria era il risultato delle scelte sbagliate dei governi di alcuni Paesi, cui spettava quindi di pagarne le conseguenze. Per il secondo paradigma, la crisi pandemica non è responsabilità di nessun Paese, con la conseguenza che spetta all’Ue affrontarla. Il MES fa parte del primo paradigma (tant’è che nel dicembre 2017, quando la Commissione propose al Consiglio dei ministri di trasformare il MES in un Fondo monetario europeo interno ai Trattati europei, la proposta fu rifiutata dai governi nazionali). NG-EU fa invece parte del secondo paradigma (se si riuscirà a neutralizzare il veto di Ungheria e Polonia). La riforma del MES va dunque vista in questo contesto.
Il MES è un’istituzione internazionale, creata attraverso un Trattato intergovernativo nel 2012, con lo scopo di fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell’Eurozona in difficoltà. Nella prima metà del decennio scorso, tale assistenza è stata fornita a Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro. In particolare, nel caso della Grecia, essa è stata accompagnata da condizionalità così dogmatiche da generare una reazione di rigetto populista nei confronti dell’Ue in quasi tutti i Paesi del sud d’Europa. Wolfgang Schäuble (ministro tedesco delle Finanze durante la crisi greca) potrebbe sostenere che quelle condizionalità (soprattutto la sua minaccia di fare uscire la Grecia dall’Eurozona) hanno favorito una riduzione dell’indebitamento di quel Paese. Nondimeno, come ha poi confessato, la consapevolezza dei costi sociali indotti da quelle condizionalità gli ha tolto il sonno. La riforma del MES non modifica quella logica intergovernativa (il Board of Directors è costituito dai ministri nazionali delle Finanze, con il rappresentante della Commissione ridotto allo status di “osservatore”), né riduce la sua logica accentrata (si ribadisce la sorveglianza fiscale e macro-economica nel quadro del Patto di stabilità e crescita, come se quest’ultimo non fosse stato sospeso e non fosse stata avanzata la necessità di una sua revisione). Vi è però, nella riforma in questione, una novità importante. Il MES diventerà il backstop (una sorta di paracadute) del Fondo di risoluzione delle crisi bancarie, facendo fare un passo in avanti all’unione bancaria e del mercato dei capitali (anche se ancora manca l’Assicurazione comune sui depositi). Se la politica monetaria rimarrà espansiva, e se partiranno i nuovi programmi post-pandemici, è probabile che nessun Paese farà mai ricorso agli aiuti del MES. Un esito che dovrà essere discusso, se non si vogliono lasciare immobilizzate risorse finanziarie importanti (oltre 400 miliardi). C’è comunque un’alternativa.
Rispetto al MES, infatti, NG-EU introduce una discontinuità nel paradigma per gestire le crisi sistemiche. I 750 miliardi di NG-EU non deriveranno da trasferimenti finanziari dei singoli stati membri dell’Ue (come nel MES), ma da debito europeo garantito da nuove risorse proprie europee. Debito che i mercati finanziari stanno accogliendo positivamente. Il 25 novembre scorso, ad esempio, la Commissione europea ha emesso la terza tranche di titoli europei di debito (scadenza luglio 2035) per 8,5 miliardi con cui sostenere il programma di prestiti con cui contrastare la disoccupazione dovuta alla pandemia (SURE). L’emissione ha registrato richieste di sottoscrizione 13 volte superiori ai titoli di debito disponibili, con il risultato di abbassamento dei tassi di interesse che gli stati dovranno pagare per la restituzione dei prestiti. Così verranno finanziati anche i 750 miliardi di NG-EU. Questi ultimi non deriveranno “dalle tasche dei contribuenti olandesi o austriaci” (come qualcuno si ostina a sostenere), ma da debito europeo garantito dalle istituzioni europee (e da tutti i cittadini europei). Con NG-EU non si trasferisce la sovranità fiscale dagli stati all’Ue, ma si dota l’Ue di una (limitata) capacità fiscale autonoma con cui promuovere politiche di interesse comune (mentre gli stati conservano la loro sovranità fiscale per sostenere politiche di interesse nazionale). Se l’approvazione della riforma del MES (che non implica il suo utilizzo) consente di ottenere l’impegno (di altri governi nazionali) a rendere permanente NG-EU, allora il gioco è valso la candela.
Insomma, il MES riflette la logica intergovernativa, NG-EU quella federale. Le due logiche sono destinate a convivere. Occorre costruire alleanze per rafforzare la seconda e indebolire la prima. Il nostro Parlamento potrebbe approvare la riforma del MES, accompagnando il voto con una dichiarazione critica nei confronti della sua logica intergovernativa ed un impegno a trasformare NG-EU nel precursore dell’unione fiscale. I buoni compromessi aprono generalmente nuove prospettive.
Questo articolo è precedentemente apparso sul Sole 24 Ore. Riprodotto per gentile concessione.
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