Lo Stato di diritto e la corruzione
14 dicembre 2020
L’accordo faticosamente raggiunto dall’Europa con i Paesi sovranisti che rifiutavano di condizionare la distribuzione del recovery fund al rispetto dello Stato di diritto rappresenta un fondamentale passo avanti nel cammino comune che l’Europa sta compiendo. L’intesa infatti non solo ha sbloccato il piano di finanziamenti eccezionali, ma ha mantenuto fermo il principio che tutti Paesi membri devono rispettare le regole dello Stato di diritto (libertà di stampa, indipendenza della magistratura, diritti umani), pena comunque la sottoposizione al giudizio della Corte di Giustizia. Per comprendere meglio i termini del dibattito occorre chiedersi perché sia tanto importante, per assicurare una corretta distribuzione dei fondi, verificare la tenuta democratica del Paese che li riceve. È dato a tutti noto che le dittature si accompagnano spesso a fenomeni estesi di corruzione, consentiti da apparati di controllo privi di autonomia. La corruzione è un reato che si nutre di omertà, in cui il patto occulto è tenuto accuratamente nascosto dal corrotto e dal corruttore. Per scoprirla, occorre attrezzarsi con organi investigativi ben preparati e a loro volta non corruttibili. Questi organi investigativi devono essere guidati da magistrati che sappiano seguire le tracce del denaro nero e dei reati -presupposto che ne alimentano il flusso (ad esempio fatture per operazioni inesistenti), che siano completamente indipendenti dagli altri poteri e che possano dunque indagare e giudicare in piena autonomia.
Nei numerosi viaggi che ho compiuto come Rappresentante della Presidenza OSCE per la lotta alla corruzione ho potuto constatare che l’Italia viene considerata davvero esemplare, anche se gli stessi italiani non ne sono pienamente consapevoli. Negli ultimi anni, infatti, il nostro Paese non solo ha apprestato uno degli apparati normativi più completi per la prevenzione e la repressione della corruzione, ma è anche dotato di un sistema giudiziario fortemente presidiato da garanzie di indipendenza, di un apparato di polizia giudiziaria competente e costantemente aggiornato, di organismi autonomi, come l’ANAC, creati per svolgere attività di prevenzione fondamentali quando si devono valutare appalti pubblici. Un assetto da preservare soprattutto in momenti come questo, in cui l’eccezionalità della crisi economica in atto potrebbe portare a semplificare i processi di selezione, ma non deve far abbassare il livello di vigilanza preventiva sulla meritevolezza di erogazioni e di controllo successivo sulla destinazione del denaro. A noi italiani appare scontato che i casi di corruzione nella magistratura e nei corpi di polizia siano davvero rare eccezioni. Ma non è così. In tanti Paesi nei quali le cosiddette “velvet revolutions” hanno portato, grazie alle proteste della società civile, al rovesciamento di regimi dittatoriali corrosi dalla corruzione, il tentativo di introdurre leggi di contrasto al fenomeno non ha prodotto i frutti sperati, a causa di assetti giudiziari e di polizia contaminati da anni di corruzione e da un sistema di nomine politiche che ha fortemente inciso sulla indipendenza del potere giudiziario. Per non parlare di una stampa spesso condizionata dal governante o dal potentato di turno e quindi privata della libertà di denunciare questa situazione di radicata illiceità.
Il nuovo faro della lotta alla corruzione deve quindi accendersi sul tema della democrazia che, tutelando l’autonomia della magistratura e la libertà di stampa, rappresenta l’antidoto più efficace al diffondersi della corruzione.
L’Italia presiederà quest’anno il G20 e all’interno di esso darà grande visibilità al tema della lotta alla corruzione. L’auspicio è che in occasione di questo importantissimo incontro multilaterale i temi della rule of law e del law enforcement rappresentino il punto centrale di discussione sui mezzi di contrasto ai fenomeni di approfittamento illecito di risorse pubbliche e private.
Il legame che ha unito i Paesi europei in un Trattato pone i principi dello Stato di diritto a fondamento dell’Unione e basa quindi i progetti comuni non solo su motivazioni economiche ma anche ragioni di diritto rendendo doveroso impedire che finanziamenti costruiti sulle risorse dei cittadini europei finiscano nelle mani di Nazioni che non garantiscono la tutela di valori fondamentali come l’autonomia della magistratura e la liberà di stampa.
L’articolo è precedentemente apparso su La Stampa. Riprodotto per gentile concessione.