Molteplicità. Il segreto per srotolare il gomitolo dell’innovazione? Scienza e umanesimo
24 dicembre 2020
«Il 20 maggio 1747, selezionai 12 malati di scorbuto, a bordo della Salisbury durante la navigazione. Feci in modo che i loro casi fossero i più simili possibile. In genere essi hanno tutti gengive putride, le macchie e stanchezza, con debolezza alle loro ginocchia. Essi giacciono insieme in un posto, divenendo un luogo adatto per i malati della stiva di prua. E hanno una dieta comune, vale a dire pappa fatta con acqua addolcita con zucchero la mattina; frequentemente fresco brodo di montone per cena; altre volte brodini leggeri, biscotto bollito con zucchero, e per la cena l’orzo e l’uvetta, riso e ribes, sago e il vino, o simili».
Gli appunti del medico scozzese James Lind sono considerati non solo la nascita della prevenzione contro un male che nei secoli aveva falcidiato decine di migliaia di marinai ma l’invenzione stessa del concetto di «terapia». Lind risolse il problema affidandosi alla matematica: il gruppo di 12 malati venne diviso in sottogruppi con diverse diete controllate. Fu così che riuscì a scoprire che del semplice succo di limone aveva efficacia contro lo scorbuto, una grave carenza di vitamine. Lind sciolse un vero e proprio «nodo, o groviglio, o garbuglio, o gnommero che alla romana vuol dire gomitolo», come diremmo con una citazione presa da «Quer pasticciaccio brutto de via Merulana», di Carlo Emilio Gadda, che Italo Calvino utilizzò per introdurre la sua lezione sulla molteplicità. Uno «gliuommero de sberretà», un gomitolo da liberare come sintetizza il protagonista di Gadda fondendo romano e molisano. Per Calvino la molteplicità è la complessità della conoscenza (il romanzo enciclopedico da Proust a Gadda, che lo scrittore definisce il Joyce italiano), la pluralità delle cause che bisogna tentare di srotolare senza scorciatoie, come fece Lind creando un metodo che sarà poi seguito nella medicina:divide et cura.
La medicina personalizzata viaggia in questa direzione, lasciandosi alle spalle l’era del farmaco orizzontale. Le biotecnologie partono dal singolo con estrazioni del DNA e al singolo ritornano. Sebbene, le soluzioni saranno uniche, personalizzate appunto, le variabili sono tante, molteplici, proprio come nel moltiplicatore con cui John Maynard Keynes definì il reddito di una nazione e, dunque, le politiche economiche che possiamo elaborare (Y=C+I, cioè reddito uguale consumi più investimenti privati e pubblici, nella sua forma più elementare). Ma la molteplicità, scrive Calvino, è anche il «mondo come un sistema di sistemi, in cui ogni sistema singolo condiziona gli altri e ne è condizionato». Oggi lo chiamiamo ecosistema e lo applichiamo per mappare, e quindi descrivere, l’evoluzione dei settori industriali che, a seguito del fenomeno della convergenza tecnologica, progrediscono in veri e propri sistemi di settori. In questa prospettiva, il campo di analisi e di azione per le politiche industriali e dell’innovazione diventano necessariamente gli ecosistemi. Il focus su un settore singolo — per quanto importante possa essere per l’economia di una regione o di un Paese — rischia di tralasciare concrete opportunità di innovazione che possono emergere tra le intersezioni tecnologiche delle singole aree.
L’evidenza empirica sottolinea infatti che i processi innovativi allignano sempre di più in ecosistemi dell’innovazione e imprenditoriali: l’idea innovativa per evolvere verso il mercato necessita dell’energia cinetica congiunta — sinergia! — di un numero crescente di attori. I processi innovativi sono sempre più multi-attore e multi-organizzazione, poiché la natura stessa dell’innovazione è molteplice. Le conoscenze scientifiche e tecnologiche di uno smartphone che racchiudiamo nel palmo di una mano sono molteplici e soprattutto non solo squisitamente tecnologiche: la sapiente integrazione delle tecnologie digitali, meccaniche ed elettroniche richiede intersezioni ed interpolazioni con le humanities.
È noto che le imprese high tech coinvolgono nei team di sviluppo nuovo prodotti oltre ad ingegneri, designer, e marketer anche antropologi e filosofi per acquisire prospettive ed angolature insolite, discordanti, necessarie per alimentare il pensiero divergente, linfa vitale dell’esplorazione di innovazioni radicali. Cominciano ad emergere, inoltre, evidenze empiriche interessanti sulle relazioni tra creatività industriale ed arte: l’esposizione e la partecipazione di ingegneri e designer a momenti artistici nutre la loro creatività. Le molteplici dimensioni che caratterizzano la pandemia indicano che le sfide che affronteremo in futuro saranno sempre più complesse. La molteplicità è al tempo stesso problema e soluzione, come svela Calvino. Molteplicità è diversità di approcci, discipline, e culture. Saper inquadrare o re-inquadrare un problema — problem framing o re-framing — nelle sue fattezze ed articolazioni, prima di poterlo risolvere — problem solving — richiede un approccio multidisciplinare che dovrà evolvere in un approccio interdisciplinare. Nonostante le resistenze di base in Italia influenzate anche dall’eredità della riforma scolastica di inizio Novecento (Gentile-Croce), i modelli educativi stanno riabbracciando un approccio che Fabiola Gianotti definisce rinascimentale: quando scienza e cultura umanistica erano infatti indissolubilmente aggomitolate.
Ne è un esempio concreto il lavoro del Cern, il più importante centro di fisica delle particelle al mondo, dove si stanno raccogliendo big data di estrazione e provenienza diversa (ambiente, spostamenti, migrazioni commerciali, salute umana, indicatori economici) per offrire risposte efficaci al tema mondiale della diffusione del virus SarsCov-2. L’interdisciplinarità, tuttavia, non tradisce le singole discipline, ma le supera e le valorizza. Modelli e percorsi educativi interdisciplinari non sono tentativi velleitari di formare esperte ed esperti in un vasto numero di discipline, ma piuttosto laboratori per esporre loro al pensiero interdisciplinare. Il pensiero interdisciplinare ha sia una dimensione cognitiva — di pensiero, appunto — sia una dimensione organizzativa: agire l’interdisciplinarità significa saper dialogare, lavorare con esperti di discipline altre per poter valorizzare il contributo di ciascuno. Ri-emerge con forza l’importanza della dimensione generalista delle conoscenza — come discusso brillantemente da David Epstein in «Generalisti», Luiss University Press — non fine a stessa e quindi asfitticamente olistica, ma unita ad una dimensione specialistica. Riecheggia l’idea del polymath, alla lettera l’ecclettico, l’erudito, esperto profondo di un’area, ma sapiente anche in altre aree: in una formula, il generalista-specializzato. Negli anni Ottanta e Novanta del Novecento, il successo delle imprese giapponesi nell’automotive e nell’elettronica di largo consumo risiedeva nell’organizzazione dei processi innovativi attraverso team multifunzionali e quindi multidisciplinari guidati dai cosiddetti manager T-shaped — ancora generalisti-specializzati.
Il presente e soprattutto il futuro dei processi innovativi — e non solo — dovrà muoversi attraverso la creazione di team di generalisti-specializzati che porta con sé il vantaggio della «saggezza del team» che agisce in maniera coesa ma distinta. Affiora nuovamente la meta-lezione ossimorica delle Lezioni Americane di Calvino: la molteplicità disciplinare — se opportunamente gestita — valorizza l’unicità. Anche in questa lezione, Calvino sembra profetizzare, grazie alla magia della letteratura, l’evoluzione della scienza: il moderno concetto di nicchie biologiche sta ormai modificando anche la nostra idea di evoluzionismo. Influenziamo il nostro ambiente ma ne siamo anche influenzati in un ciclo continuo e indistricabile, proprio come nel gomitolo di Gadda. Così l’epigenetica, lo studio dei fattori ambientali in cui vive una madre e che influenzano il DNA di un feto durante la gestazione, si va a sommare alle trasmissioni genetiche familiari. Che a loro volta non sono solo il risultato di un albero verticale della vita — quello tratteggiato da Charles Darwin in uno dei suoi taccuini scomparsi dall’Università di Cambridge ed entrato nell’immaginario comune — ma anche di uno spostamento orizzontale tra specie. E quello che ci suggerisce il lavoro di un biologo americano, Carl Woese, descritto bene da David Quammen nel suo ultimo libro (L’albero intricato, Adelphi). Anche qui uno «gnommero».
Questo articolo è apparso su Corriere Innovazione il 18 dicembre 2020. Riprodotto per gentile concessione.
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