Cashback. Reato di lesa maestà a Yves Mersch

29 dicembre 2020
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La recente lettera inviata dalla Banca centrale europea al Ministro dell’economia e delle finanze, Roberto Gualtieri, pone non pochi interrogativi sia metodologici che contenutistici. Anzitutto, essa è a firma di Yves Mersch, componente del comitato esecutivo della Bce e già governatore della Banca centrale del Lussemburgo. Mi piace ricordare, in proposito, che il Lussemburgo è un paradiso fiscale, dove ha sede il  Meccanismo europeo di stabilità (Mes), una società veicolo che grazie agli articoli 32 e 35 del suo regolamento gode di immunità totale da ogni forma di giurisdizione del suo personale, dei suoi beni e delle sue proprietà – compresa la documentazione inerente agli strumenti di debito -, nonché della inviolabilità di tutti gli atti scritti e documenti ufficiali redatti. Inoltre, la lettera è stata inviata alla scadenza del suo mandato e sembra più uno strumento di visibilità che di responsabilità. Al di là della opportuna risposta del Ministero dell’economia e delle finanze, che giudica le posizioni di Mersch in linea con una corrente d’opinione sempre meno rilevante all’interno della Bce e nel contesto europeo, dove, invece, è sempre maggiore l’impegno per la diffusione dei pagamenti digitali, voglio soffermarmi su un aspetto trascurato della missiva, missiva a mio avviso del tutto inconsistente nei contenuti rispetto agli obiettivi del Cashback, di cui,  e non solo a causa della crisi provocata dalla pandemia, la Bce farebbe bene a consigliarne l’uso in tutta l’Unione europea.

In Italia, già a metà 2020, il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto di circa il 6% con un aumento della propensione al risparmio di oltre 5 punti, propensione che ha raggiunto il 18,6%, più del doppio rispetto alla media del 2019. A ottobre, la liquidità degli italiani sui depositi bancari è aumentata, nel corso di un anno, del 9,5%, per un ammontare complessivo di 1714 miliardi.  La pressione fiscale, contemporaneamente, ha subito un incremento dell’1,8% e ha toccato, ormai, il 43,2%. È interessante notare, anzi, che secondo uno studio della Fondazione nazionale dei commercialisti, la pressione fiscale reale, cioè al netto dell’economia sommersa e illegale, ha oltrepassato il 48%. Concause che hanno ridotto i consumi finali dell’11,5%. Questi dati sono ancora più preoccupanti in alcune regioni del nostro Paese. Nel Lazio, per esempio, i consumi sono diminuiti, secondo una ricerca della Banca d’Italia, del 12%; più in generale, solo durante i primi mesi di lockdown la spesa media di ogni famiglia italiana si è ridotta di 2.300 euro. In questo contesto, appaiono del tutto estranee alle argomentazioni stesse della missiva alcune osservazioni di Yves Mersch. Dalla premessa della sua lettera, che la Bce ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione e che queste sono le uniche ad avervi corso legale (Sic et simpliciter), a numerose altre che sono, oltre che incongrue, contraddittorie se non pretestuose. In particolare, quando Mersch scrive che la Bce riconosce che incentivare le transazioni per mezzo di strumenti di pagamento elettronici per l’acquisto di beni e servizi allo scopo di combattere l’evasione fiscale può, in linea generale, costituire un interesse pubblico che giustifichi la disincentivazione dell’uso dei pagamenti in contanti. Pertanto, “sarebbe necessario dimostrare che limitazioni che incidono sul corso legale delle banconote in euro siano efficaci per conseguire le finalità pubbliche che legittimamente si intende raggiungere attraverso tali limitazioni”. Ciò implica che “dovrebbe sussistere una chiara prova che il meccanismo di cashback consenta, di fatto, di conseguire finalità pubbliche della lotta all’evasione fiscale”. E, come se non bastasse, che il decreto sul cashback deve rispettare il diritto dell’Unione. In particolare, perché “qualunque limitazione o disincentivo diretto o indiretto ai pagamenti in contanti deve rispettare i requisiti relativi al corso legale delle banconote in euro”.  Queste affermazioni appaiono come una battaglia di retroguardia a continuare l’uso del contante, allorquando la stessa Bce sta studiando modi e condizioni dell’adozione della moneta elettronica, e, conseguentemente, a (fingere di) ignorare che proprio le transazioni in contanti rappresentano il veicolo di maggiore diffusione dell’illegalità e dell’economia sommersa o informale, che nel nostro Paese ammonta a 215 miliardi, circa il 12% del Pil.  A riprova, l’Italia è al 24°posto nella Ue per numero di transazioni digitali pro capite (77), seguita dalla Germania (76,1), dalla Bulgaria (43,4) e dalla Romania (30,1). In termini di evasione fiscale pro capite, il nostro Paese è al primo posto.

Questi dati, ai quali se ne potrebbero aggiungere molti altri, mostrano l’importanza del cashback sia al fine di aumentare la propensione al consumo a vantaggio della ripresa economica del nostro Paese, sia per limitare l’evasione e l’elusione fiscale, obiettivi che nella concezione dell’Unione europea di Yves Mersch evidentemente non conseguono “finalità pubbliche” e che limitano – mi permetto di aggiungere – fortunatamente l’uso del contante. In queste condizioni sarebbe opportuno che l’euroburocrazia lasciasse spazio all‘euromeritocrazia e che l’austerità fosse definitivamente sostituita dalla solidarietà. I primi segnali di questa nuova visione del futuro dell’Unione europea si cominciano a intravedere con i recenti provvedimenti del Recovery Fund, dello Sure, della sospensione dei divieti degli aiuti di Stato e del Patto di stabilità e crescita. Su questa strada è necessario proseguire e non fare passi indietro, come ha stigmatizzato Mersch nella sua improvvida lettera.

 

L'autore

Giuseppe Di Taranto è Professore ordinario di Storia dell’economia e dell’impresa alla Luiss, dove insegna anche Storia del pensiero economico e Storia della finanza e dei sistemi finanziari.


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