USA e la ratifica del 6 gennaio. L’ultima sfida di Trump
31 dicembre 2020
Dopo la decisione del collegio elettorale dello scorso 14 dicembre resta un ultimo atto prima che Joe Biden sia proclamato ufficialmente presidente. Il 6 Gennaio la Camera dei rappresentanti e il Senato in una sessione congiunta dovranno ratificare il risultato dei cinquanta stati della federazione, uno per uno. Sono cinquanta certificati elettorali che i rappresentanti e i senatori eletti lo scorso 3 Novembre possono accettare o contestare.
Prima di Trump era un atto solenne ma formale. Il 6 gennaio potrebbe non esserlo.
Diciamo subito che non esiste nessuna concreta possibilità che il risultato deciso in sede di collegio elettorale venga rovesciato. Ma questo ultimo atto, prima della inaugurazione del nuovo presidente il 20 gennaio, rappresenta per Trump e i suoi sostenitori una sede ideale per riaffermare ancora una volta in modo clamoroso la tesi che l’elezione di Biden sia illegittima e per fare in modo che il GOP continui a essere il partito di Trump anche dopo la sua uscita dalla Casa Bianca. Con quali conseguenze per il partito e per la democrazia americana è difficile prevedere oggi.
La Costituzione americana dice poco su questo ultimo atto. Si limita ad affermare che spetta al Presidente del Senato aprire i certificati trasmessi dagli stati e contare i voti.
Solo nel 1887 con il passaggio dell’Electoral Count Act il ruolo del Congresso è stato specificato. Per contestare uno qualunque dei certificati elettorali trasmessi dagli stati occorre che la ratifica sia messa in discussione congiuntamente da un membro della Camera e da un membro del Senato. In questo caso ciascun ramo del Congresso dovrà riunirsi e avrà due ore di tempo per decidere se approvare o meno il risultato dello stato in questione. Perché il risultato sia rigettato occorre che Camera e Senato siano d’accordo. Nel passato è accaduto che singoli membri di una delle due camere abbiano sollevato obiezioni. Ed è anche accaduto- l’ultima volta nel 2005- che un deputato e un senatore abbiano agito di comune accordo. Ma sono stati atti senza conseguenze.
Sul piano sostanziale anche il 6 Gennaio non ci saranno conseguenze. Infatti, anche se tutti i senatori repubblicani, che -dopo il voto in Georgia- potrebbero essere ancora in maggioranza, si esprimessero contro la ratifica, il loro voto non avrà alcun effetto, visto che i democratici controllano la Camera. Quindi è certo che il Congresso approverà la decisione del collegio elettorale e alla fine del conteggio dei 50 certificati il presidente del Senato Pence dichiarerà ufficialmente- forse con qualche imbarazzo- Joe Biden presidente degli Stati Uniti.
Ma l’importanza di quanto avverrà il 6 gennaio non sta nella formalizzazione della elezione di Biden che, come abbiamo detto, è scontata ma nella posizione del partito repubblicano nel caso in cui Camera e Senato siano chiamati a votare su uno o più certificati elettorali. Come voteranno deputati e senatori repubblicani? A favore della ratifica e quindi riconoscendo la correttezza della elezione di Biden o contro avvalorando le tesi di Trump e la sua strategia di delegittimazione del processo elettorale? Fino a oggi non si sono trovati davanti a una scelta così netta. C’è chi ha appoggiato Trump in maniera decisa e chi lo ha fatto tiepidamente e c’è anche chi è stato semplicemente in silenzio. Il 6 Gennaio dovranno scegliere tra fedeltà a Trump e attaccamento alle istituzioni.
Che probabilità ci sono che si arrivi a votare per rigettare o meno il voto di uno o più stati ? Si sa già che un gruppo di eletti repubblicani alla Camera, guidati da Mo Brooks deputato dell’ Alabama, hanno intenzione di impugnare il risultato di cinque stati. Ma da soli non possono farlo. Devono trovare un collega al Senato che firmi insieme a loro la richiesta. La sorpresa di questi giorni è che il leader del partito repubblicano al Senato Mitch McConnell, che dal 3 Novembre in poi aveva sempre sostenuto tutte le mosse di Trump, ha deciso di riconoscere l’elezione di Biden e si sta dando da fare per convincere i suoi colleghi senatori a non appoggiare l’iniziativa dei repubblicani della Camera.
McConnell è un trumpiano, ma non è uno sprovveduto. Ha capito il pericolo che uno scontro frontale il 6 Gennaio rappresenta per il suo partito. E’ facile immaginare che un voto del genere potrebbe rappresentare un passo ulteriore nella definitiva trasformazione del GOP nel partito di Trump ovvero potrebbe spaccarlo irrimediabilmente. Per questo vuole evitare questa ultima sfida al processo elettorale da cui Trump è uscito sconfitto. Così facendo mostra un coraggio inaspettato, visto che sa bene che il presidente uscente ha dalla sua la grande maggioranza degli elettori repubblicani del tutto convinti che Biden abbia vinto grazie a frodi massicce. Ma a ben vedere non è tanto il coraggio che lo guida, ma il calcolo razionale. McConnell è un politico di lungo corso che cerca di limitare i danni in attesa che passi la nottata.
Tra pochi giorni si vedrà come andrà a finire. Non c’è dubbio che ci siano senatori repubblicani sensibili al richiamo dell’ultima sfida. E ci sono pochi dubbi che Trump cambi idea prima del 6 Gennaio. Perciò anche questo ultimo atto del lungo e farraginoso processo di selezione del Presidente USA servirà a capire cosa possano aspettarsi Joe Biden e la democrazia americana nel prossimo futuro.
Questo articolo è precedentemente apparso sul Sole 24 Ore. Riprodotto per gentile concessione.
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